Confidenza: intervista al regista Daniele Luchetti

Il nuovo film del regista è un thriller esistenziale che parte da una confessione misteriosa e terribile: abbiamo parlato con lui del senso dell'assenza

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Confidenza è il nuovo film di Daniele Luchetti. In sala dal 24 aprile 2024, distribuito da Vision Distribution, con Elio Germano e Vittoria Puccini tra i protagonisti. Il film è tratto dal romanzo omonimo di Domenico Starnone, e racconta di Pietro, professore di lettere che si innamora ricambiato di una sua studentessa, Teresa (Federica Rossellini): una volta insieme, decidono una sera di raccontarsi l’un l’altro un segreto inconfessabile.

È Teresa stessa a volerlo, ma una volta venuta a conoscenza della confidenza dell’uomo non riesce ad accettarlo e lo lascia. Per tutta la vita, Pietro sarà perseguitato dalla consapevolezza che la donna conosce una parte di sé nascosta e a quanto pare tremendamente oscura, vivendo nella costante paura che lei possa rivelarla al modo rovinando la vita e la professione di Pietro, intanto divenuto scrittore di successo.

Partiamo ovviamente da Confidenza, il nuovo film adesso in sala. È un film abbastanza spiazzante per chi segue la sua filmografia, perché in un certo senso vira sui toni poco abituali del thriller esistenziale, anche se viene confermata la sua cifra stilistica. Che è poi un’asciuttezza impeccabile nella messa in scena delle emozioni in una dimensione interpersonale, in uno spaccato del rapporto uomo/donna. Continua la collaborazione con Domenico Starnone: eppure Confidenza racconta qualcosa in maniera differente rispetto al passato…

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Si, penso che si debba sempre rinnovarci e sperimentare. Questo è un film di sperimentazione, che mette in campo delle cose che ho già fatto in Lacci, magari, cioè il dramma relazionale, ma qui l’ho fatto non con la chiave classica che ho spesso usato anche io, cioè la commedia, ma in chiave thriller.

Daniele Luchetti: mi piace fare il cinema che cerco come spettatore

La drammaturgia delle relazioni viene raccontata con le caratteristiche del cinema del terrore, in un certo senso, e dico del terrore e non dell’orrore non a caso: perché il terrore è qualcosa che viene suggerita, è qualcosa che si spalma nella scena su ogni personaggio. Ricordo ancora un film che ho visto da ragazzino, Angoscia, di George Cukor (del 1944: la storia di una giovane coppia e dei deragliamenti psicologici legati alla manipolazione psicologica.

Il film ha dato vita al termine gaslighting, proprio il genere della manipolazione violenta e subdola nella quale vengono presentate alle vittime false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa percezione, ndr), non so se rivederlo oggi mi farebbe la stessa impressione però ricordo di essere stato pervaso, durante la visione, dall’inizio alla fine, di un panico incredibile.

Era anche quello un film con una storia matrimoniale: quindi in qualche modo Confidenza è stato un modo, anche da spettatore, di liberarmi di una commistione di generi che mi affascinava.

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La storia è chiaramente incentrata sulla tensione di questa confidenza che alla fine noi non conosceremo, ed è anche giusto così. Perché alla fine non è quasi per niente importante cosa si siano detti i due protagonisti, se non per aumentare la tensione drammatica: in questo senso, questa frase è qualcosa che si presta ad una serie di interpretazioni che possono essere le più svariate.

La più immediata senza dubbio è quella che vede la forza distruttiva delle parole, la loro potenza, non conoscendo mai il fatto in sé assistiamo solo a quanto un insieme di parole sussurrate possano condizionare l’intera vita di Pietro. O forse anche, considerando i tempi, potrebbe riportare al terrore dell’uomo che si vede sgretolare le proprie certezze difronte ad una donna realmente, totalmente, anche rovinosamente libera e indipendente da ogni cosa (come è Teresa). Proprio per questo il senso della confidenza non viene mai rivelato…

…assolutamente. Questa interpretazione che è legittimissima, che mi piace, che è profonda, allo stesso tempo sarebbe stata azzerata qualora io avessi dato un’interpretazione univoca. Ed è proprio questo che mi piace, la molteplicità delle proiezioni che si possono fare su questa cosa, tenendo presente che non ho evaso il compito: ho messo però quello che a me piace trovare nel cinema, cioè uscire dalla sala con qualcosa che rimane, che mi fa fare delle domande, con risposte che riguardano non solo il significato letterale del film.

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Del resto è la stessa cosa che ha fatto Starnone scrivendo il libro, anche lui ha scritto il segreto e poi l’ha tagliato! Anche io ho scritto il segreto ma poi l’ho rimosso dalla sceneggiatura!

Confidenza: il perturbante sullo schermo

Oltretutto, è questo il vero cinema interattivo, quando lo spettatore viene coinvolto in prima persona perché senza soluzione preconfezionata lui viene chiamato in causa per costruirsi propri pensieri, proprie verità riguardo a quanto ha visto.

Mi sono accorto he tante sequenze è come se si bloccassero a metà: come ad esempio quando Pietro è in viaggio e chiama la moglie Nadia,  interpretata da Vittoria Puccini, e lei dice di essere sola ma poi la vediamo entrare nel letto e andare verso un punto che a noi è proibito vedere, senza capire se è davvero sola o no. In tante sequenze azione o dialogo staccano a metà…

Io volevo che ci fosse sempre un senso di insoluto. Volevo che ogni volta ci fosse qualcosa di perturbante o per il montaggio, o per una porta chiusa o buia, o qualcosa di sgradevole: noi siamo abituati a film dove ogni cosa, ogni immagine deve avere una coerenza, un senso all’interno dell’intero svolgimento.

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Volevo stravolgere quest’abitudine, come a dire a chi guarda non come sempre “attenzione a quest’indizio perché ritornerà” bensì “attenzione a quest’indizio perché NON ritornerà”. Io ad esempio rimango sempre molto deluso dai film con un segreto finale: perché alla fine quando viene rivelata la backstory la mia aspettativa o la mia immaginazione era sempre molto più alta, e io rimango deluso.

Le storie incentrate sul mistero non possono essere all’altezza di ciò che ci aspettiamo. Questa è la quarta volta che Daniele Luchetti lavora con Elio Germano, due film drammatici (La Nostra Vita e Mio Fratello è Figlio Unico) e una commedia nera (Io Sono Tempesta), adesso cambia ancora: come ha lavorato con quest’attore incredibile per dare al suo personaggio una nuova e inedita dimensione narrativa? Elio nel film ha lo sguardo costantemente terrorizzato…

Abbiamo lavorato esattamente su questo: sul segreto. Cioè se dovevamo condividerne uno, condividere il suo, il nostro, quello che Starnone tagliò, o addirittura se crearne uno per l’attore, cioè che avesse un peso per lui.

Confidenza

È una cosa che ovviamente non diremo mai! Ma oltre a questo c’è la capacità di alcuni attori, compreso Elio, di dare un senso obliquo oltre al testo, ma c’era anche la paura, la soggezione anche quando non doveva esserci, in tua figlia piccola, in un’allieva incontrata in pizzeria… se uno leggesse solo il copione credo non vedrebbe il film che alla fine abbiamo fatto, perché è come quando uno ascolta una melodia senza conoscere l’armonia. Nella sceneggiatura c’è la melodia: il film ha l’armonia.

Tornerà mai alla serialità televisiva? Non dimentichiamo che Luchetti ha diretto alcuni degli episodi più centrati dal punto di vista politico e sociale de L’Amica Geniale: quindi lei si trova molto a suo agio con questo tipo di narrazione lunga…

A me piace molto la serialità, sia farla che vederla. Ha un privilegio rispetto al cinema, poi. Prima era la durata MENO il cinema, adesso invece è la durata PIU’ il cinema, perché le possibilità economiche che ti danno le piattaforme non ti limitano su nulla. Così tu puoi fare il cinema con la disposizione del tempo: un film di otto ore come L’Amica Geniale è stato molto gratificante farlo perché aveva il passo del grande romanzo.

Il cinema oggi deve essere molto personale, è giusto che quando proponi un film debba essere qualcosa di nuovo per te: invece il bisogno quotidiano della narrazione è quello che fa benissimo la serialità, lo fa meglio del cinema.

Che ne pensate?

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