Shōgun: La recensione della serie TV con Hiroyuki Sanada

Si è da poco concluso Shōgun, il secondo adattamento televisivo del romanzo di James Clavell, una storia di intrighi e giochi di potere che attinge a piene mani dalla storia vera

Shogun
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E’ tornato in televisione Shōgun, una versione romanzata della vera storia del Giappone del 1600. Il primo adattamento, del 1980 (cinque anni dopo il libro), ebbe un clamoroso successo e viene identificato come tra i principali responsabili dell’esplosione di interesse nei confronti della cultura giapponese negli Stati Uniti.

Ancora più straordinario se si pensa che in questa serie i personaggi giapponesi parlano la loro lingua per tutto il tempo, spiazzando tanto il personaggio dal cui punto di vista seguiamo la sera quanto lo spettatore. L’idea dietro era chiara: “quello che lui (Blackthorne) non capisce non dovremmo capirlo”. Funzionò 24 anni fa, funziona ancora oggi. Anzi, funziona ancora meglio perchè possiamo seguire le parti in giapponese grazie ai sottotitoli.

Shōgun: la trama

La storia inizia agli albori del XVII secolo e segue le vicende di John Blackthorne (Cosmo Jarvis), preso prigioniero dai samurai dopo il naufragio della nave mercantile olandese su cui viaggiava. Per sopravvivere sarà costretto a destreggiarsi tra i giochi di potere e le ambizioni dei signori feudali giapponesi, uomini che stanno costruendo e che faranno la storia del Giappone.

Shōgun: La recensione

La miniserie del 1980 poteva vantare attori eccellenti nei due ruoli principali: Richard Chamberlain nel ruolo di Blackthorne (basato sul primo occidentale a diventare Samurai, William Adams) e niente meno che Toshiro Mifune nei panni di Yoshi Toranaga (basato su Tokugawa Ieyasu). Eredità pesanti, ma Cosmo Jarvis e Hiroyuki Sanada reggono facilmente il confronto e Anna Sawai completa il terzetto con un’interpretazione delicata e forte allo stesso tempo, una perfetta Yamato Nadeshiko.

Ma non sarebbe giusto limitarsi ad elogiare solo loro: tutto il cast è semplicemente eccellente. Non c’è un solo momento in cui la recitazione smette di convincere, non un istante in cui ci si viene tirati fuori dal momento e ci viene ricordato che stiamo guardando una serie TV.
Ogni parola, ogni movimento, ogni sguardo è significativo e distintivo. Ogni personaggio è unico nei modi e nella personalità, immediatamente distinguibile.

C’è un’incredibile quantità di informazioni che viene trasmessa solo con il linguaggio del corpo, scene che vengono dominate da gesti, sorrisi abbozzati. Un’impresa difficile, che riesce solo grazie alle capacità del cast. Ereditare il ruolo che fu di Toshiro Mifune è una grande sfida, ma Hiroyuki Sanada è perfetto, interpretando il ruolo con maestria, senza farsi legare dal canone dettato da Mifune e porta sullo schermo dignità, carisma e potere.

Set e i costumi sono quasi perfetti, riproducono quanto più fedelmente possibile il Giappone del 1600 (con alcune, inevitabili eccezioni come abbiamo già riportato in questo articolo). Ma, soprattutto, si evita quell’impressione di falso e sempre nuovo che molte serie TV purtroppo hanno. I luoghi, così come i costumi, hanno quell’aria di vissuto che va oltre la semplice applicazione di una patina di sporco per far finta che sia stato usato: l’impressione che si ha è quella di un mondo che esisteva da prima che la telecamera lo inquadrasse e che continuerà ad esistere dopo.

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Non mancano in Shōgun quei dettagli che esperti e appassionati possono apprezzare, quale ad esempio la possibilità di capire quale samurai è un veterano e quale no già dalla posa di guardia. Piccoli dettagli che aggiungono tanto se si presta attenzione ma che non tolgono nulla allo spettatore che manca della preparazione per coglierli.

L’unico appunto riguarda il CGI, che non sempre convince e che tende a distrarre. Fortunatamente viene usato soprattutto per riempire i background, quindi non è particolarmente d’ostacolo alla generale qualità, ma non è difficile percepire cosa è stato filmato davanti alla telecamera e cosa aggiunto dopo.

Veniamo portati in un mondo con valori differenti dai nostri, che possono sembrarci strani, arcaici e forse anche crudeli, ma che vengono mostrati con rispetto e senza giudizio. Shōgun rispetta la cultura giapponese senza adularla, e ci mostra la filosofia, il modo di pensare, un mondo che è del tutto estraneo all’occidentale Blackthorne, che si trova suo malgrado coinvolto in letali giochi di potere.

Shōgun ci mostra un mondo dove l’onore vale ben più della vita e dove essere condannati a vivere può essere una condanna. Un mondo che, dietro gli inchini ed i rituali, sa essere spietato.

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La serie contiene scene violente e scene molto grafiche ma anche queste vengono presentate con classe. Dopo anni in cui siamo stati abituati a pensare alla violenza sullo schermo come qualcosa che “deve esserci” se il prodotto ha pretese di essere realistico, questa serie ci ricorda che forse, e dico forse, non è poi così necessario metterla sempre in primo piano.

Quando assistiamo alla prima decapitazione non c’è fretta di andare via ma non c’è neanche il macabro gusto di soffermarci a guardarne gli effetti; la scena va alla giusta velocità, trasmettendo allo spettatore lo stesso impatto che ha per i personaggi.

E questa è la modalità con cui tutte le scene più intense vengono presentate: la violenza non viene glorificata, esibita con gusto, con tanto di primissimo piano su decadenti budella. La violenza è un dato un fatto, una naturale conseguenza, quello che succede quando un metro di acciaio affilato incontra un collo. Lo stesso può dirsi per le sporadiche scene di nudo.

Un approccio con cui Shōgun ci ricorda che maturo non equivale a esplicito e che realistico non vuol dire grottesco. La storia in sé è affascinante come solo qualcosa ispirata da eventi reali può essere. Veniamo catapultati in un mondo di ambizioni, di giochi di potere dove la vita del singolo vale poco e dove, dietro i titoli ed i rituali, si nascondono interessi e avidità.

C’è una frase che, nella sua diretta semplicità, illustra perfettamente tutto questo: “siete un uomo buono. Ma non abbiamo bisogno di un uomo buono. Abbiamo bisogno di uno Shōgun”. Prima di passare per i campi di battaglia, la storia del Giappone si scrive nelle stanze dei Daimyo, impegnati in delicati giochi di potere ed alleanze in cui il non detto pesa quanto il detto, una delicatissima e sanguinosa partita di go, dove ogni vantaggio può essere quello decisivo.

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Shōgun non è una storia che si può seguire rimanendo al cellulare o che può fare da sfondo mentre si fa altro; la serie pretende (e merita) la piena attenzione dello spettatore, che comunque non si annoierà mai. Ma va detto che questa non è una serie d’azione. Ci saranno scontri e sarà versato sangue, ma non ci saranno battaglie campali, eserciti in marcia e gesta epiche sul campo di battaglia.

Shōgun è stato definito da alcuni come il “Game of Thrones” giapponese, un titolo che ha del fondamento. Certamente ci sono elementi di contatto, ma meno di quanto si pensi. Se Martin è stato ispirato dalle Wars of the Roses, Shōgun è una semplificazione romanzata degli eventi che hanno portato all’instaurarsi dello Shōgunato Tokugawa, al punto dal far esibire a Toranaga gli emblemi che furono di Tokugawa Ieyasu. A differenza di Game of Thrones, però, Shōgun evita lo shock value.

Questo non vuol dire che manchino i momenti in cui si salta dal divano. Anzi, più di una puntata finisce lasciando lo spettatore con il desiderio di conoscere subito quello che succederà, in un crescendo di tensione ed eventi imprevedibili. Niente succede per caso in Shōgun. Ogni azione comporta delle conseguenze che costringeranno i personaggi a cambiare i propri piani.

La serie si conclude in 10 episodi, arrivando a mettere punto esattamente dove finisce il libro. Il finale può lasciare insoddisfatti quegli spettatori alla ricerca di una resa dei conti campale, ma sarebbe dovuto essere chiaro a questo punto che tipo di serie TV è Shōgun.Quello che si è ottiene però è un finale che soddisfa pienamente l’arco narrativo di ogni personaggio. Un finale che non lascia niente in sospeso, che risolve ogni mistero e ogni domanda ancora senza risposta, lasciando lo spettatore soddisfatto.

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Proprio per questo motivo una seconda stagione non solo non è nei piani, ma potrebbe anche essere fuori luogo. La storia ha raggiunto la sua perfetta conclusione, chiudendosi esattamente dove si chiude il libro che l’ha ispirata, e non serve andare oltre. In definitiva, Shōgun è quanto più vicino alla perfezione è possibile raggiungere: l’adattamento rispetta l’originale senza esserne pedissequo, è interpretato magistralmente, la ricostruzione storica è eccellente e la storia viene portata a compimento senza sbavatura.

Per quanto può essere prematuro dirlo, si è di fronte a un serio candidato a Miglior Serie TV del 2024.

Shōgun: il cast

Hiroyuki Sanada as Lord Yoshii Toranaga
Cosmo Jarvis as Pilot Major John Blackthorne
Anna Sawai as Toda Mariko 
Tadanobu Asano as Kashigi Yabushige 
Takehiro Hira as Ishido Kazunari 
Tommy Bastow as Father Martin Alvito
Fumi Nikaido as Ochiba No Kata

Shōgun: il trailer

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