Fallout: la serie Amazon è un adattamento perfetto | RECENSIONE

Fallout
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La serie tratta dai videogiochi di Fallout è un ottimo adattamento di una IP videoludica, e conferma che per l’intrattenimento degli anni ’20 questa strada è quella giusta

Fallout: come si adatta un videogioco

Chi avesse ancora dubbi, li abbandoni pure: la serie tratta dai videogiochi di Fallout è riuscitissima. Una scommessa vinta, sorta dalla collaborazione tra la storica casa videoludica Bethesda (che oltre a Fallout ha fatto anche la serie di giochi di Elder Scrolls, Starfield e molto altro) e Jonathan Nolan (sì, il fratello del regista) e Lisa Joy, già co-creatori di Westworld.

Il confronto si impone con l’altro grande adattamento videoludico che ha già fatto scuola: The Last of Us. Anche in quel caso, una grande realtà dei videogiochi come Naughty Dog (e Neil Druckmann, nello specifico) e un grande autore e regista, cioè Craig Mazin, creatore di Chernobyl. Il teorema è dimostrato: fare le cose bene, affidandole ad autori capaci e prendendole seriamente, ripaga.

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Walton Goggins interpreta un ghoul, un umano non-morto mutato dalle radiazioni

Rispettare lo spirito della IP originale

Fallout è la dimostrazione di come l’entertainment americano – in profonda crisi, perso tra remake e sequel disperati e la fabbrica eterna dei cinecomic – possa aver trovato una nuova strada da imboccare. Ma la lezione va imparata e seguita: lo spirito della IP che viene adattata va rispettato, capito e interpretato nel nuovo medium, in questo caso quello della serie, sfruttando tutte le possibilità che l’operazione comporta.

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Lo stesso boss di Bethesda, Todd Howard, ha ammesso che l’alchimia con Nolan, fine conoscitore dei giochi della saga, è stata fondamentale per l’avvio della produzione della serie tv. Così, il pericolo di un adattamento trash inguardabile si è evitato e l’operazione è andata a buon fine, con otto episodi gustosi capaci di catturare sia i fan dei videogame che chiunque sia in cerca di una nuova serie da bingiare che avvinghi e catturi.

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Ella Purnell e Aaron Moten in una scena della serie

Semplicità, fedeltà e attenzione ai dettagli

Come ci sono riusciti? Con semplicità: buona regia, buon casting (spiccano Ella Purnell, Walton Goggins e l’irresistibile Johnny Pemberton, più il buon vecchio Kyle MacLachlan) e una attenta ricostruzione del mondo di gioco che però funge più da sfondo a una storia originale, la quale a sua volta si rifà in parte a diverse storyline viste nei videogiochi.

Non mancano parecchi riferimenti all’open world della saga, dai più ovvi come la Nuka-Cola o il Vault Boy ai più sottili come l’apparizione di specifiche location o la ricostruzione di dinamiche di gaming (le uccisioni “al rallentatore”, per esempio). Non manca mai quella sottile ironia critica nei confronti del crollo su sé stessa della civiltà del consumo, le cui ipocrisie si ritrovano ereditate del resto anche nella post-apocalisse.

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Ella Purnell (Lucy) con il suo Pip-Boy

Commedia, violenza, filosofia, ironia, gore

I toni della serie passano da una black comedy che non è mai trash né demenziale a riflessioni importanti sulla natura e sul destino dell’umanità che non si fanno pompose né pesanti. L’estetica e il pensiero della distopia atompunk servono per spiegare le motivazioni dei personaggi, la distruzione di un mondo e la nascita di un altro che si compenetrano, in eterni conflitti ed eterne ricerche da cui sorgono domande (per ora) senza risposta.

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Allo stesso tempo, alla leggerezza che accompagna la serie (fatta di gag, battute ma anche espedienti tecnologici da non prendere troppo sul serio, più un uso saggio e limitato della CGI) fa da controcanto una sparuta violenza ma che quando è presente è lancinante, sforando nel gore come in The Boys e non tralasciando il carattere parossistico, cinico, nichilista e disperato delle desolate terre devastate dalle guerre atomiche.

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Uno dei mostri mutanti nell’universo di Fallout

Una serie per tutti, e un esempio da seguire

Concludendo, Fallout ha tutto quel che deve avere una serie tv moderna e fresca, e anche tutto quel che serve a un adattamento come si deve. Può piacere agli appassionati dei giochi ma anche allo spettatore occasionale, non fa mancare intuizioni importanti (con commenti abbastanza trasparenti sulla nostra epoca) ma si può anche guardare per passare il tempo.

Presenta perciò diversi livelli di lettura, e lo fa risultando comunque in un prodotto che funziona benissimo come intrattenimento, tra il serio e il faceto come si dice, adatto a tutti purché si abbia un minimo di mentalità aperta e uno stomaco un po’ forte. Ora non resta che aspettare la seconda stagione, per capire se la formula vincente sia risultata da un calcolo e non da un caso.

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Il Super Duper Mart è una storica location nei videogiochi