Parasyte: the Grey, la recensione della serie TV di Netflix

Debutta su Netflix l'adattamento sud coreano del manga di Hitoshi Iwaaki, estendendo la storia di Parasyte oltre i confini del paese del Sol Levante

parasyte the grey
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Arriva su Netflix Parasyte, serie ispirata all’amatissimo manga Kiseiju

La saga di Parasyte (Kiseiju) di Hitoshi Iwaaki ha inizio nel 1989 sulla rivista dell’editore Kodasha Morning Open Zōkan, per poi passare quasi subito su Monthly Afternoon dove continuerà fino al 1994. La seria ottenne un buon successo, con 25 milioni di copie in circolazione che lo inseriscono tra i manga più popolari di sempre ed ha ottenuto riconoscimenti quali il 17° Kodasha Manga Award (1993) e il 27° Seiun Award per il miglior manga (1996).

Nonostante il successo, ci sono voluti vent’anni perché l’opera lasciasse la carta, con due adattamenti live action nel 2014 e nel 2015 e l’anime Parasyte: the Maxim, andato in onda tra Ottobre 2014 e Gennaio 2015. E adesso, quasi dieci anni dopo, segue un nuovo adattamento.

parasyte

Parasyte: The Grey, la trama

Qualcuno che vive sulla Terra, improvvisamente pensò: se la popolazione umana si riducesse a un centesimo delle sue dimensioni, il veleno che sputa fuori si ridurrebbe della stessa quantità?
Se la popolazione umana fosse dimezzata, quante foreste sopravviverebbero?
Qualcuno che vive sulla terra, improvvisamente pensò: dobbiamo proteggere il futuro di tutti gli esseri viventi.

Parassiti cadono dal cielo prendendo degli esseri umani così sfortunati da trovarsi nelle vicinanze, seguendo l’unico imperativo di nutrirsi e sopravvivere a spese delle razza umana. Jeong Su-in (interpretata da Jeon So-nee) è l’unica infetta che riesce a mantenere la identità e anzi sviluppare un rapporto simbiotico con il suo parassita. Questo status però la mette nel mirino tanto dei parassiti quanto del “Team Grey”, una squadra di polizia che cerca di contenere la minaccia…

Parasyte: The Grey, la recensione

Passare in live action una serie come Parasyte presenta un ovvio problema, vale a dire la credibilità degli effetti speciali. Come gli adattamenti (anche solo animati) di Junji Ito hanno dimostrato, il grottesco che funziona bene su carta ha serie difficoltà a presentarsi bene in un altro medium. Quando c’è da andare oltre la figura umana, soprattutto se in movimento, si arriva a un punto in cui il miglior trucco prostetico non è sufficiente.

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Fortunatamente, Parasyte:The Grey riesce nella sua missione. CGI ed effetti pratici vengono utilizzati congiuntamente creando un risultato più che convincente, almeno nella maggior parte dei casi. Buona parte degli scontri si svolgono al buio, una ben nota tecnica utilizzata per coprire le carenze degli effetti speciali, ma la qualità non è mai un problema quanto il fatto che, dopo un po’, ci si assuefà al tutto.

C’è solo un numero limitato di volte in cui si può provare qualcosa nel momento in cui la testa di un essere umano si apre rivelando un mostro tentacolare, così come i duelli con i tentacoli che, dopo un po’, tendono ad assomigliarsi. Alla quarta puntata ne ho avuto abbastanza di scontri al buio, del vedo e non vedo incredibilmente rapido dove se sposti lo sguardo per un paio di secondi perdi 3 o 4 inquadrature.

Gli scontri però non sono il fine ultimo, ma semplicemente una necessità, un “male inevitabile” per portare avanti la storia. Una storia che vuole parlare di etica, di umanità, di solitudine, del proprio posto del mondo. Tutta roba originale, va.

La prima puntata è eccellente. Nella prima ora ci viene data una buona panoramica dei personaggi coinvolti, dei loro “perché” e delle loro motivazioni, ma anche della minaccia che stanno affrontando. Non c’è nulla di implicito: tutto viene comunicato allo spettatore, ogni singolo frammento di informazione è trasmesso con assoluta chiarezza. Nonostante il principio “show don’t tell” (mostra, non raccontare), in questo episodio le informazioni vengono comunque date in modo intelligente e sensato.

Il secondo episodio inizia a tentennare. Da lì in poi, il ritmo viene perso fino al finale. I personaggi secondari non vengono appronfonditi e rimangono mono dimensionali, pezzi di informazione vengono ripetuti ad nauseam e non c’è un singolo pezzo di informazione che venga lasciato allo spettatore per interpretarlo, così come la filosofia e le motivazione di ogni singolo personaggio, che vengono esplicitate (a volte ripetutamente) con disarmente chiarezza: è impossibile crearsi letture alternative dei personaggi quando sappiamo le ragioni dietro ogni loro motivazione. Personaggi competenti poi diventano idioti quando la trama lo richiede e viceversa.

La serie prova ad analizzare l’etica di sterminare i parassiti, c’è persino un predicozzo fatto da uno di loro nella seconda puntata in cui parla della loro sopravvivenza, di come alcuni di loro siano stati catturati e analizzati prima ancora di comprendere il loro scopo della vita, quasi passando per vittime. Un discorso che avrebbe anche senso, se non fosse per il fatto che i parassiti hanno, per loro stessa ammissione, due imperativi: occupare un corpo umano e mangiare esseri umani. Di fronte a queste condizioni l’idea di sparargli prima, svuotare uno o due caricatori ed eventuale lanciafiamme (se disponibile) e fare domande poi mi sembra incredibilmente ragionevole.

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La forza del manga risiede nel modo in cui i temi della storia vengono inseriti e naturalmente analizzati all’interno della struttura narrativa, senza costringere la storia stessa a un repentino stop per inserire il monologo esplicativo. Non si tratta di temi particolarmente complicati e non occorre tenere la mano della spettatore indicandogli col dito dove guardare e perché, ma questa serie TV non riesce a farlo.

La recitazione, in originale, richiede una certa affinità con i drammi sud coreani per poter essere apprezzata, con le parti drammatiche che vanno forse un po’ troppo sul melodrammatico, e una certa esagerazione che può far storcere il naso a chi è abituato ai canoni occidentali.

La narrazione si riprende nel finale, riuscendo a mettere un bel fiocco sui principali archi narrativi, portando i personaggi al loro giusto e dando allo spettatore che ha avuto la determinazione di arrivare fino in fondo almeno la soddisfazione di trovarsi una storia conclusa invece che un cliffhanger. Ciò non vuol dire che la storia sia chiusa per tutti, anzi: alla fine della serie si apre un mondo, lasciando aperto a stagioni successive che magari possono anche concentrarsi su luoghi e caratteri diversi.

La forza di questa serie TV sta nella sua indipendenza dall’originale a cui dedica un rapido tributo che sarà sicuramente apprezzato dai fan dell’opera di Hitoshi Iwaaki. La storia di Jeong Su-in non sostituisce quella di Shinichi Izumi, ma avanza parallela alla sua. Non serve quindi conoscere il manga o l’anime originale, ma se si ha familiarità con questo si avrà comunque modo di apprezzare qualcosa in più.

Detto questo, personalmente non ho intenzione di guardare altre stagioni. Ho già dato.

Parasyte the Grey, Il cast

  • Jeon So-nee as Jeong Su-in/Heidi
  • Koo Kyo-hwan as Seol Kang-woo
  • Lee Jung-hyun as Choi Jun-kyung
  • Kwon Hae-hyo as Kim Cheol-min

Parasyte: The Grey, il trailer

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