Su cosa si regge un film? Approfondiamo quelli che sono i tre pilastri fondamentali del cinema
Da circa un mese si è svolta, sotto i riflettori di tutto il mondo, la Notte degli Oscar e con essa il dibattito in tema cinema è sempre vivo. In merito proprio alle categorie di premi, risulta interessante riflettere sui pilastri fondanti di una produzione cinematografica, ovvero: quali sono i pilastri di un film? Come ogni architettura, anche i film si ergono su degli elementi fondanti.
Una base solida, la sceneggiatura
Il primo fra tutti è la sceneggiatura. Durante un’intervista, il maestro Alfred Hitchcock parlando del suo rapporto con gli attori e in generale della vita sul set; dichiarò di preferire di gran lunga un’ipotetica stampante dove da un lato si inserisce la sceneggiatura e dell’altro si ottiene la pellicola.
L’affermazione ha un duplice significato. Da un lato conferma il suo dichiarato “disprezzo” per il set, ma dall’altro – ed è ciò che ci riguarda maggiormente – afferma indirettamente la sua profonda convinzione riguardo l’importanza proprio della sceneggiatura. Figlio di un cinema classico, la scrittura per lui si fa chirurgica. Conclusa la sceneggiatura, per lui il film era già finito. In una scrittura esatta come quella pensata da Hitchcock erano incluse persino gran parte delle inquadrature e del montaggio.
Dall’esattezza scrupolosa di Alfred Hitchcock si passa all’estro disobbedienze di Federico Fellini. Nella sua biografia Fare un film sono presenti alcuni schizzi, i quali rappresentano le sceneggiature di alcuni film. È chiaro che un tale metodo oggi sarebbe anacronistico. In primis, Fellini era un fuoriclasse come pochi alla macchina da presa. In secundis, è impensabile al giorno d’oggi proporre ad una produzione un disegno come sceneggiatura e lasciare che il regista improvvisi sul set.
Si sono confrontati due casi limite riguardo l’approccio alla sceneggiatura. Sicuramente il metodo hitchcockiano è scuola per chiunque voglia approcciarsi alla grammatica cinematografica. Non per forza bisogna essere così maniacali nella scrittura, ma neanche lasciarsi suggestionare troppo dal genio di autori come Fellini.
L’occhio del regista
L’occhio del regista
Il secondo pilastro portate è senza alcun dubbio la regia. Se la scrittura si fa carico di mettere su la storia, la regia permette al regista di introdurre il suo punto di vista. Spesso andiamo a vedere determinati registi perché ci sta a cuore il loro sguardo, il loro modo di raccontare e di inquadrare. Data una certa trama è il modo di raccontarla che fa la differenza.
Il regista è il burattinaio che muove le fila. Oggi si è sdoganata l’idea di tale ruolo come demiurgo massimo di un film. C’è chi sostiene che un film non è “di” ma “dei”. In quest’ottica entra in gioco tutta la produzione con i suoi settori dai fonici ai costumisti agli scenografi etc. L’autorialità del film viene pertanto scomposta nel contributo di ogni singolo elemento. Il regista, anche seguendo tale idea, rimane il collante e il principale interlocutore di ogni branca.
Per questo, un buon regista deve necessariamente incamerare delle nozioni da ogni settore per poter essere quanto più efficiente possibile durante le riprese. Artisticamente invece, il regista concorda e stabilisce ogni aspetto del film. In tal senso, un contributo fondamentale viene dato dal direttore della fotografia. Il rapporto tra le due figure diviene simbiotico e incide fortemente sulla riuscita visiva del film
Il terzo pilastro: il montaggio
Il montaggio
Il terzo pilastro probabilmente è quello più discusso. C’è chi si schiererebbe a favore della fotografia e chi verso il montaggio. Come anticipato, la fotografia attribuisce l’aspetto estetico al film e dato che l’oggetto di discussione è un prodotto audiovisivo, chiaramente il dato estetico è fondamentale. Allo stesso modo però, sull’argomento ha voce in capitolo la regia – già citata – ed inoltre a livello drammaturgico-strutturale la fotografia ha sicuramente meno peso.
È chiaro che ogni aspetto del film (suono, luci, etc.) può avere valore narrativo, ma senza focalizzarsi sui casi particolari, si può affermare che il montaggio è molto più incisivo. Il lavoro del montatore è sia tecnico che creativo. In sala di montaggio si può ancora riscrivere il film. Anzi, proprio il montaggio può verificare la correttezza della sceneggiatura e se qualcosa non torna si può ancora correggere.
Il montaggio crea ritmo, suspense, narrazione. Molto spesso lo si ignora per via della sua invisibilità. Soprattutto la grammatica hollywoodiana, a partire dal suo fautore David W. Griffith, reputa tale linguaggio di servizio e per ciò tende a nasconderlo a favore della fluidità della visione. Il montaggio allora ci permette di interagire con il film colmando le ellissi contenute nelle varie inquadrature. In altre parole, il montaggio ci restituisce l’illusione di realtà.
Quando invece uno stacco è ben vista crea una rottura nella visione dello spettatore, ma allo stesso tempo lo mette in condizione di riflettere su ciò che sta vedendo. Senza dimenticare che il montaggio non è solo visivo, ma anche sonoro. A volte la fluidità della narrazione può essere resa grazie ad una colonna sonora mentre la macchina da presa mette in scene sequenze disparate.
Come si è visto, il montaggio è un linguaggio eclettico, versatile ed essenziale per la costruzione narrativa di un film, pertanto difficilmente può essere escluso dagli elementi fondativi del cinema. In conclusione, è corretto tener conto dei singoli apporti che i vari settori danno ad una produzione cinematografica, ma è anche doveroso riconoscere e saper costruire delle basi solide su cui ergere un buon film.