Mank, pellicola del 2020 diretta da David Fincher, con un sontuoso Gary Oldman (qui l’annuncio del suo ritiro), giunse alla Notte degli Oscar con ben 10 candidature, portando a casa due statuette, Miglior Scenografia e Miglior Fotografia. Un bottino di tutto rispetto ma dal sapore amaro, visto e considerato che il film è stato tra i più attesi e apprezzati di quell’anno e non solo.
L’Academy Award ci ha spesso abituato a questo tipo di sorprendenti ribaltoni, che molto spesso hanno diviso il pubblico sulle sue assegnazioni. Di seguito, il nostro parere sulla scelta del 2021. Buona lettura.
Mank: la trama
Ambientato nella decade tra anni ’30 e anni ’40, Mank narra la storia presumibilmente vera (qui il nostro articolo in merito) della nascita della sceneggiatura del capolavoro Quarto Potere, Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 1940, condivisa tra Orson Wells e, appunto, Herman J. Mankiewicz (Gary Oldman), detto Mank.
Anno 1940: uscito dalle grazie dei produttori cinematografici, Herman accetta la proposta di Orson Wells di scrivere, in soli due mesi, la sceneggiatura di un nuovo film, confidando nello straordinario talento dello sceneggiatore. Il film, attraverso un flashback di dieci anni, Herman ci mostra gli eventi che hanno portato alla scrittura del futuro film Quarto Potere.
William Randolph Hearst, magnate dell’editoria, è un uomo forte e di successo, con una grande influenza sui media e nella politica. Herman, dopo aver lavorato presso la Paramount, trova lavoro, insieme al fratello, alla MGM, casa cinematografica in cattivissime acque. Qui entra in contatto proprio con Hearst, che possiede un forte ascendente sulla casa di produzione e sul suo direttore.
Quattro anni dopo Mank, venuto a sapere del coinvolgimento di Hearst in una calunniosa propaganda contro il candidato socialista Sinclair per il ruolo di governatore della California, tenta di fare leva sulla compagna del magnate, Marion Davies (Amanda Seyfried), per tentare di persuadere l’uomo a ritirare i falsi cinegiornali, girati per penalizzare la campagna elettorale di Sinclair.
Il risultato non è quello sperato: vince il repubblicano Frank Merriam, spalleggiato da Hearst. Il regista dei falsi cinegiornali, amico di Mank, si toglie la vita per il rimorso. Sofferente e ubriaco, Herman si dirige al Castello Hearst, pronto ad affrontare il magnate e la sua corte.
Nel 1940, proprio Hearst cerca di impedire la produzione di Quarto Potere, la cui sceneggiatura è terminata nei tempi previsti da Mank, ispiratosi proprio agli eventi degli anni precedenti. Wells, intanto, si accorda con il magnate per una revisione della sceneggiatura, trovando l’insistenza di Herman per venire accreditato. Dopo lo sfogo furioso di Orson, quest’ultimo accetta. Nel 1942 vincono l’Oscar con Quarto Potere, ultimo film scritto dallo sceneggiatore.
Con una regia magistrale, Fincher ci regala il ritratto di un personaggio molto moderno, oscillante tra la voglia di successo e il rapportarsi con un mondo spietato, dove i potenti muovono i fili a loro piacimento. Un tema che non passa mai di moda, in quanto è un ripetersi di eventi ciclici in ogni epoca e che segnano la storia. In questo specifico caso, solca il percorso che porterà alla creazione di quello che è considerato il miglior film della storia, al di là che possa essere del tutto vero.
Mank, inoltre, è una dichiarazione d’amore per il cinema. Dall’utilizzo del bianco e nero, ai tagli tra una scena e l’altra, il film omaggia un tipo di cinema ormai dimenticato e nostalgico, ma che è comunque una tappa dell’infinito viaggio che ha fatto e farà la settima arte. Altri film come C’era una volta a Hollywood e Babylon si ergono come memoriali di tempi ormai andati, ambientati in diverse epoche della storia del cinema, risultando una bellissima finestra dove guardare per vedere quello che si nasconde dietro la macchina da presa.
Gary Oldman è titanico nella sua interpretazione, che raggiunge il massimo picco nel monologo al Castello Hearst. Mank, personificazione di Don Chisciotte, combatte da solo contro i mulini a vento/giganti rappresentati dall’alta società , ridicola nella sua essenza e portatrice di maschere pirandelliane, che quando viene mascherata non può che rimanere in silenzio. Hearst, in difficoltà per il discorso di Herman, vede andare via pian piano i suoi commensali che lo tengono stretto quando serve, ma che lo abbandonano quando inizia a tirare una brutta aria. Una scena che avrebbe meritato più considerazione, per le valutazioni dell’Academy.
Probabilmente, le tematiche di Nomadland, più vicine agli “ultimi”, ai dimenticati, sono risultate più conformi verso i messaggi di solidarietà e di inclusione di cui i giudici dell’Academy si stanno facendo portatori, in seguito alle polemiche degli ultimi anni. La domanda è: oggettivamente, Mank è un film peggiore di Nomadland? Lasciamo la risposta a voi.
Non dimenticate di commentare questo articolo per farci sapere il vostro parere, magari suggerendoci altri film che avrebbero meritato più considerazione durante le precedenti Notte degli Oscar!