Abbiamo incontrato GIovanni Veronesi per parlare del suo nuovo film, Romeo è Giulietta
È uscito il giorno di San Valentino, 14 febbraio 2024, il nuovo film di Giovanni Veronesi, Romeo è Giulietta: una commedia degli equivoci che non si limita a qualche gag e un po’ di romanticismo, ma segue diverse tracce di trama mentre affronta un’indagine sull’identità legata alla vita e all’arte.
La penna di Veronesi come sceneggiatore è sempre stata affilata e intelligente, mai banale, anche se da un decennio a questa parte sembrava non riuscire più ad entrare in sintonia né con sé stessa, né con il pubblico (merito anche di film sbilanciati come Non è un Paese per Giovani o sbagliati come I Moschettieri del Re): ma la sintesi che ha trovato con Pilar Fogliati, prima come sceneggiatore del debutto alla regia di lei, Romantiche, e ora con il suo diciannovesimo film da regista insieme alla brava attrice come protagonista (addirittura in un doppio ruolo), sembra aver riaperto la sua vena più autentica e corrosiva, restituendo un film –Romeo è Giulietta, appunto- che ha un equilibrio interno perfetto, uno sviluppo narrativo coerente e particolarmente interessante, ma soprattutto interpreti enormi a partire da Sergio Castellitto, capace di regalare un personaggio (Federico Landi Porrini, regista sull’orlo di una crisi di nervi) che ha diversi mondi tutti in uno sguardo.
Abbiamo incontrato Giovanni a poche ore del debutto di Romeo è Giulietta
GF: Con Romeo è Giulietta mi sembra che ci sia ritorno ad una commedia italiana graffiante e insieme irresistibilmente leggera, con un’attenzione particolare ai caratteri e ai personaggi. E c’è una direzione d’attori incredibile, Castellitto nell’ultima scena allo specchio con Pilar Fogliati (che non spoileriamo assolutamente) è veramente gigantesco…
GV: Essendo un bravissimo attore, lui quel vestito se l’è costruito e cucito addosso. Io gli ho dato delle indicazioni molto sicure sul fatto che quel gay doveva essere lui e non tanto diverso da com’è nella vita, e quell’amore che c’è con loro due (con il personaggio interpretato da Maurizio Landi, nda) doveva essere normale, senza bisogno di “fare i gay”.
GF: Invece con Pilar? Avevate già lavorato insieme al suo esordio…
GV: Mah, qui si complica un po’ la faccenda, perché lei in Romeo è Giulietta aveva due ruoli, uno da uomo e uno da donna. Quindi doveva costruire un personaggio maschile dal nulla, e non è così semplice, il lavoro è stato accurato, meticoloso da parte sua, per cercare di trovare un modo originale ma non standard di fare l’uomo, come si è visto mille volte. Lei è bravissima a trasformarsi, molto probabilmente si è divertita ad inventarsi questo personaggio che poi ad un certo punto durante il film, non so se è capitato anche a te, sembra che esista! Sembra che abbia una vita sua, una casa, dei parenti, questo è molto bello, succede anche a me quando guardo il film mi dimentico che dietro quella maschera ci sia Pilar.
GF: Certo. Anche a livello di postura, di presenza fisica, al di là di piccoli eccessi comici, Pilar ha reso un personaggio maschile addirittura in sottrazione, molto più difficile.
GV: Ma la scommessa era quella. Perché che ci vuole a fare una caricatura? Una Farsa? Diventa poco credibile, tutto finto, la scommessa vera era rendere credibile quel personaggio.
GF: Prima di Romeo è Giulietta, tu avevi già lavorato con Sergio Castellitto addirittura nel 1996, nel tuo terzo film Silenzio…si Nasce!, era insieme a Paolo Rossi. Poi ha girato un film su San Giuseppe con Diego Abatantuono, il delicatissimo Per Amore Solo Per Amore, un western con David Bowie: è sempre stato irriverente nei confronti dei generi italiani (e non solo) classici. Ma quello che mi colpisce sempre nei tuoi film è come riesci a mettere in equilibrio l’irriverenza narrativa e la precisione psicologica dei caratteri dei tuoi personaggi. prima hai accennato al personaggio di Castellitto, e io sottolineo come la storia del regista sia assolutamente tridimensionale e mai sopra -o sotto- le righe come tanto cinema fa, ma il tuo cinema è pieno di esempi. Come raggiungi questa linea di equilibrio in fase di scrittura?
GV: La costruzione sta proprio nel fatto di rendere veri i personaggi nel loro paradosso, questo film poi rasenta quasi sempre il paradosso. Ma è bello quando il paradosso è credibile, come ad esempio la storia di Rocco (Domenico Diele), il fidanzato di Pilar nel film, rasenta il paradosso: quando lui la vede travestita da uomo lo spettatore dice tra sé e sé “ma no, non è possibile che non la riconosca!”, e lui dà sempre l’impressione di accostarsi al momento in cui la riconosce fino a che si scopre che l’aveva riconosciuta, quindi tutto ciò che ha fatto l’ha fatto per i suoi motivi. Mi sembra molto giusto quello che hai intuito, cioè che il graffio della penna, della costruzione, deve rasentare il paradosso (lo metto sempre in tutti i film, a volte mi riesce a volte meno).
GF: Allargando il discorso su tutta la tua filmografia: noi critici facciamo molti voli pindarici sulle ossessioni d’autore, cercando fil rouge dove forse neanche ci sono, o quantomeno non ci sono consapevolmente. E mi sembra che in tutti i tuoi quasi venti film hai parlato di nascite, di matrimoni, di figli… ma mai della morte.
GV: Mah… c’è forse una sola scena, in un episodio Genitori & Figli: Istruzioni per l’Uso, che sulla sceneggiatura sembrava macabra ma che invece poi penso sia venuta poetica, e cioè i figli che gettano le ceneri dei genitori nel mare e poi si fanno il bagno nelle stesse acque. Quasi un bagno liberatorio di un capo branco che se ne va e lascia il posto al futuro. Ecco, quello per me è un modo per raccontare e toccare la morte, perché va esorcizzata attraverso l’ironia, il sarcasmo, il divertimento, altrimenti diventa una cosa da raccontare ad un livello molto alto e rischi di non riuscirci, di non arrivarci. Allora se gli fai uno sberleffo, gli fai una linguaccia, io così riesco meglio a trattarla.
GF: Hai lavorato con quasi tutti gli attori italiani, e anche con tanti attori stranieri, basti citare Harvey Keitel, Robert De Niro, David Bowie. Se si può dire, qual è stato il più difficile sul set?
GV: Guarda, ognuno ha le sue difficoltà. Non fanno molte bizze con me, forse perché sanno che carattere ho, che non mi piace scontrarmi. Sai, gli attori sul set fanno le bizze con chi glielo permette: io parto subito con una parità di livello tra me e loro, così capiscono bene che fare le bizze sarebbe inutile e che andare ad uno scontro con il regista, a meno che non sia una cosa molto importante, sarebbe inutile. Certo, ho lavorato con persone molto stravaganti, quello sì… e mi sono anche divertito a star vicino a quelle stravaganze lì: David Bowie, ad esempio, non voleva che ci fossero cani che abbaiassero nel raggio di due chilometri dalla casa che aveva affittato. Quindi ho dovuto togliere tutti ‘sti cani che c’erano intorno, e non erano pochi…