Jordan Peele, un faro sull’orrore della nostra società

jordan peele
Credits: YouTube/Jordan Peele Discusses Ideation Of New Horror Film "Nope" - Today
Condividi l'articolo

In un momento storico in cui il cinema sembra aver perso la sua matrice autoriale, sono pochi i registi che riescono a emergere e distinguersi per la loro personalità incisiva.

Da qualche anno, però , una nuova onda di creatività si è fatta strada tramite il cinema di genere, in particolare quello Horror, raccontato da autori del calibro di Aster, Eggers e Ti West.

Tra questi è impossibile non citare Jordan Peele, regista statunitense che oggi compie il suo quarantacinquesimo compleanno e che ha saputo, con il suo cinema, porre nuovi elementi distintivi alla narrazione dell’orrore, fondendola sapientemente con tematiche di natura sociale.

Chi è Jordan Peele?

La carriera di Peele affonda inaspettatamente le radici in un ambiente piuttosto lontano da quello del cinema di genere. Il suo esordio nel mondo dello spettacolo avviene infatti con la fondazione di un duo comico insieme al coinquilino Keegan Michael Key, chiamato Key & Peel, con il quale arriverà  a calcare vari palchi di stand up Comedy televisive, sino ad avere un proprio spazio su canali come Mad Tv e Comedy Central.

Dopo un’esperienza come attore di produzioni cinematografiche e televisive (come ad esempio Fargo e Life In Pieces) Peele debutta nel 2017 come regista con il suo primo film Scappa – Get Out, segnando il suo ingresso nella nuova leva degli autori di genere del nuovo millennio.

Lo stile di Jordan Peele

Già dal principio, Peele mette subito in chiaro le sue intenzioni. “Scappa – Get Out” è infatti un film che, senza allegorie, ha la precisa volontà  di esprimere una forte posizione sociale e politica. Il tema del razzismo è fondante all’interno della pellicola che vede come nemico principale l’ideologia del suprematismo razziale e filo capitalista, rappresentato dai personaggi antagonisti all’interno del film.

Ricalcando una forma narrativa riconducibile al Polanski di Rosesmary’s Baby, Peele dipinge un male fatto di falsi sorrisi e racchiuso in una classe liberale che costruisce il suo potere sull’apparenza e sul perbenismo. Una critica aspra e senza sconti verso l’ipocrisia di quell’America che ancora non ha fatto i conti con il proprio passato e , in un certo senso, con il proprio presente.

LEGGI ANCHE:  Peele produrrà una serie di documentari sui cowboy neri

In Scappa / Get Out sono facilmente individuabili molte componenti che Peele sceglie di adottare per il suo stile. La particolarità  della sua scrittura, infatti, non risiede esclusivamente nella tematica di stampo sociale, ma anche nella capacità di riuscire a costruire un’ambientazione opprimente e claustrofobica in cui lo spettatore si sente vittima di qualcosa di invisibile ma che, allo stesso tempo, trasmette una costante sensazione di pericolo imminente.

La tensione è crescente e il fattore psicologico è predominante in una storia che non trae la sua forza da un orrore esposto, bensì da un  senso di terrore legato alla messa in scena estraniante e allo sviluppo della narrazione. Il passato da comico del regista si manifesta inoltre facendo capolino con l’inserimento di alcuni momenti umoristici all’interno della pellicola, rappresentati  principalmente dal personaggio di Rod, amico del protagonista.

Tutti gli aspetti di Get Out sono talmente funzionanti da divenire presto fondanti nella poetica dell’autore americano che , dopo il successo del suo esordio, firma forse la sua pellicola attualmente più complessa: Us.

Come nel film precedente, Peele sceglie di porre il focus sulla questione sociale, improntando però  la narrazione su un carattere più distante da quello anti razzista che predominava in Get Out. La critica di Us è a tutti gli effetti più incentrata sull’ideologia del sogno americano e del suo fallimento, introducendo l’archetipo del doppelgänger come simbolo di una dualità intrinseca del cittadino statunitense. Non è un caso , in questo senso, che durante il film gli antagonisti , alla domanda “Voi cosa siete?” rispondano semplicemente “Noi siamo americani”, sottolineando la presenza di un livello di lettura più profondo e stratificato.

A differenza di Get Out, qui Peele molla leggermente il freno e assume toni più  riconducibili a un horror canonico, aumentando il ritmo del montaggio e la dinamica narrativa giungendo a picchi più  violenti ed espliciti.

Sono anche qua presenti le stesse atmosfere claustrofobiche, rese ancora più funzionanti talvolta i da una fotografia più  oscura, basata sull’uso della penombra e di spazi angusti (come ad esempio, quelli dei sotterranei). 

LEGGI ANCHE:  Hunters, rinnovata per la seconda stagione la serie con Al Pacino

Una costruzione orrorifica perennemente ben gestita, come nel caso della scena sulla spiaggia dove uno strano uomo sta rivolto di spalle, attirando la nostra attenzione e quella del giovane ragazzino con addosso (non a caso) la t-shirt de Lo Squalo, di Steven Spielberg.

Lo Squalo si rivela inoltre essere una delle principali influenze artistiche dell’ultima opera di Peele: NOPE, film che ha diviso critica e pubblico, fortemente ispirato dall’opera di Spielberg.

Anche in questo caso, le caratteristiche tipiche del regista emergono immediatamente: il cast, principalmente composto da attori afro-americani, la costruzione lenta e opprimente e una fortissima chiave di lettura sociale che, stavolta, decide di prendere di mira il mondo dello spettacolo o, per meglio dire, la tendenza moderna di spettacolarizzare un soggetto per puri fini di lucro o di prestigio personale.

Seppur presenti temi animalisti e ambientalisti, il vero concetto cardine di NOPE è  quello di criticare l’approccio consumistico e capitalista nei confronti di ciò  che a malapena sembriamo comprendere e di cui non abbiamo un reale interesse, se non esclusivamente per poterne trarre vantaggio.

Un’analisi metaforica del nostro mondo, esposta con cura da Peele grazie a un racconto lento, dove la figura del mostro, seguendo l’esempio de Lo Squalo, viene principalmente nascosta e affidata all’immaginazione dello spettatore, per poi venir svelata solo e unicamente durante l’atto finale della pellicola.

Ancora una volta , dunque, torna il concetto del male invisibile che ci circonda e che risulta perennemente in agguato , quello stesso male che, però , sembra risiedere anche dentro di noi e nella nostra società, fatta di contraddizioni e ipocrisie.

Un male messo in scena da un regista che , grazie al suo particolare stile, sa ogni volta scuotere lo spettatore con opere complesse e mai banali e che ci auguriamo possa continuare a raccontare il nostro mondo con il suo sguardo critico e innovativo.

A cura di Elia Vitarelli

Continuate a seguirci su LaScimmiaPensa