True Detective 4: il paese della notte rimane in ombra | RECENSIONE

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La quarta stagione di True Detective è un’altra occasione sprecata: temi importanti, toni forti ma “non vengono poste le domande giuste”. La nostra recensione

La quarta stagione di True Detective, ambientata tra i ghiacci dell’Alaska, segue le indagini delle agenti Danvers (Jodie Foster) e Navarro (Kali Reis) mentre investigano sulla misteriosa morte in mezzo alla neve di un gruppo di ricercatori. Le vicende portano le due a rimestare nelle torbide acque dell’isolata cittadina di Ennis, e quasi letteralmente.

Ai confini del mondo e in un luogo della Terra in cui per sei mesi all’anno fa sempre buio, le poliziotte disvelano un complotto dai tratti innaturali e surreali ma la cui messa in atto è molto concreta e include un movente sociale, culturale e politico. I sei nuovi episodi della serie centrano perfettamente una serie di questioni urgenti, affrontandole di petto e sollevando istanze importanti.

I due fronti contrapposti sono quelli noti: le istituzioni, le aziende e la polizia, che si danno al malaffare con l’alibi di uno scopo nobile; e i nativi e poveri lavoratori del luogo, fortemente danneggiati dall’inquinamento e dalle attività della fabbrica e del centro ricerca, conniventi con uno scopo comune ma a porte chiuse. Alto contro basso, disonesto contro onesto.

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Nel mezzo Liz ed Evangeline, la strana coppia continuamente in disaccordo ma perfettamente d’accordo quando conta davvero, incastrate tra i dovere professionale e l’obbligo morale, che tuttavia sembrano entrambe sapere bene e fin dall’inizio dov’è che l’ago della bussola sta puntando. Ci vuole loro solo una piccola sconvolgente odissea per decidersi a seguire la direzione giusta.

Quello che purtroppo è poco riuscito in questa stagione è la mancanza di approfondimento di quella dimensione spirituale, della metaforica figura ancestrale di una “lei” che non assume mai forma ma, come in un romanzo di Stephen King, parla attraverso i morti, le voci e le visioni, e sembra decidere i destini di esseri umani molto più piccoli di essa al fine di portare a una giustizia altrimenti irraggiungibile.

La chiave della stagione si ritrova nel momento in cui Evangeline assicura a Liz: “C’è qualcosa molto più grande di tutto questo”, e il riferimento è a quella intangibile dimensione che è il “paese della notte”, il Night Country: non solo l’Alaska notturna, ma qualcosa di più indefinito che si nasconde nel buio e nel mistero, tra i ghiacci impenetrabili dove gli umani non osano mettere piede.

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Una dimensione esplorata solo parzialmente, tra fugaci visioni, momenti surreali e la spiazzante sigla con musica di Billie Eilish. Ma il resto è molto più concreto: i drammi familiari e gli scontri generazionali e sociali messi in scena sono puntuali per il 2024 ma sottraggono ancora una volta alla serie tutto quel potenziale “mystery” che aveva fatto la fortuna della prima storica stagione.

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In altre parole, il finale è intuibile fin dal primo episodio e la vittoria morale (che viene presentata come tale, ma andrebbe perlomeno messa in discussione) infine conquistata lascia un senso di insoddisfazione per la mancata occasione di affrontare tematiche più impegnative: c’è nel mondo, ancora, qualcosa che non possiamo capire e che va al di là della nostra comprensione?

Una forza primordiale, un’entità astratta, una realtà inconoscibile: True Detective 4 sfiora il velo di questi concetti ma senza mai attraversarlo, sfruttandoli occasionalmente più come connubio e contorno, limitando gli scenari horror e incentrando tutto sulla forza di carattere delle due protagoniste. L’unica novità: a differenza dei personaggi delle stagioni precedenti, stavolta le due ne escono senza dubbi e con una ritrovata fermezza nelle loro convinzioni.

Se questo sia un bene, visto il finale, a voi deciderlo. Continuate a seguirci su LaScimmiaPensa