In grande auge per l’uscita del suo ultimo film Povere Creature, qualcuno afferma che Lanthimos ci abbia già consegnato il migliore film dell’anno. Tuttavia, in attesa di sapere quanti Oscar porterà a casa, abbiamo deciso di darvi un’interpretazione su un altro film del regista greco: Il sacrificio del cervo sacro.
Uscito nelle sale nel 2017, questo è uno dei film più apprezzati dal pubblico, grazie ad una storia avvincente e imprevedibile fino al suo ultimo ciak. Steven Murphy (Colin Farrell) è un importante cardiochirurgo, con un passato da alcolista. Una gravissima macchia della sua carriera, dato che a causa di questo vizio, anni prima delle vicende narrate nel film, non riesce a salvare la vita di un paziente, giunto in ospedale in seguito ad un incidente stradale. Il figlio dell’uomo defunto, Martin (Barry Keoghan), è convinto che la causa della morte del padre sia dovuta alle lesioni nell’incidente, persuaso così dallo stesso Steven, probabilmente assalito dai sensi di colpa.
Steven e Martin, in seguito al tragico incidente, intessono una relazione padre-figlio molto confidenziale. L’uomo è preoccupato per come il ragazzo possa elaborare il lutto; il ragazzo è alla ricerca di una nuova figura paterna. Steven, però, ha già una famiglia: Anna (Nicole Kidman), Kim e Bob. Quando la relazione tra l’adulto e il ragazzo diventa insostenibile, cioè nel momento in cui Martin prova a far quagliare sua madre (Alicia Silverstone) con Steven, il chirurgo cerca di tagliare i ponti, rivelando la verità sulla causa della morte del padre del ragazzo.
Qui Il sacrificio del cervo sacro, che assumeva sembianze quasi grottesche, capovolge completamente la sua essenza, tramutandosi, quasi, in un horror mistico. Martin sembra essere dotato di poteri sovrannaturali, che vengono scatenati contro la famiglia di Steven, colpita da malattie inspiegabili. Unico modo per far cessare questa maledizione: il sacrificio di un membro della sua famiglia.
La spiegazione del finale
Quando, alla fine de Il sacrificio del cervo sacro Colin Farrell deve decidere chi sacrificare della sua famiglia, è preso da ovvi dubbi e sensi di colpa. Il finale del film è un emblema del lento decadimento della figura del dottor Murphy: da uomo di successo, forte, stimato e circondato da tutto quello che la vita può offrire, si manifesta per quello che in realtà è, cioè un inetto. L’uomo non è riuscito a salvare la sua famiglia; la stessa medicina, il grande sapere dell’uomo, non può nulla contro quello che gli sta succedendo. La scienza perde, l’occulto vince. Martin, al contrario, accresce la sua figura sempre di più, assorbendola dal suo ideale padre adottivo.
L’inettitudine di Steven si concretizza nella totale scelta di lasciare al caso la decisione di chi sarà a morire della sua famiglia. Lega e incapuccia tutti, coprendosi il viso per non scoprire chi la sorte ha scelto. È il sonno della ragione. L’uomo copre il suo sguardo, il suo occhio interiore, in favore delle tenebre del mondo.
Le metafore mitologiche
Il sacrificio del cervo sacro è stato spesso accostato al mito del sacrificio di Ifigenia, dove la protagonista viene portata in sacrificio dal padre Agamennone, re di Argo, alla dea della caccia Artemide, per propiziare i venti che avrebbero spinto le navi del re verso la città di Troia, fino a quel momento contrari. Mentre Agamennone sta per compiere il sacrificio, il corpo di Ifigenia viene sostituito dalla dea con quello di una cerva, un animale sacro ad Artemide, premiando la ragazza per il suo spirito coraggioso e devoto verso la sua patria. È evidente il richiamo della figura del cervo/a, riferito al sacrificio che Colin Farrell eseguirà per salvare tutta la sua famiglia da morte certa, in quanto la scelta di chi sacrificare ricadrà su Bob, il primogenito maschio.
La scelta non è volontaria, è assolutamente casuale, in quanto il dottore è bendato mentre spara con il fucile verso i tre membri della sua famiglia. Nelle scene antecedenti a questa, Bob e Kim discutono tra di loro su chi dovrebbe essere sacrificato, dimostrando anche loro un bene verso la famiglia e gli affetti che va oltre qualsiasi idea di giusto o sbagliato. E Martin? Può essere la personificazione della dea Artemide? Difficile dirlo. Martin non premia il sacrificio di Bob sostituendolo. Martin sembra essere più in dio vendicatore che ha come solo scopo quello di mettere in pari i conti per quanto ha perso.
Forse, la non volontaria scelta di Bob ha decretato il suo destino. Forse, il gioco stesso della morale del film è che non sempre c’è una soluzione, un lieto fine. Alla fine resta solo la cruda realtà, la rassegnazione. Chi adesso dovrà elaborare il lutto non è più solo Martin, ma anche tutta la famiglia di Steven. Possiamo trovarci delle metafore anche nel sacrificio di Isacco.
Anche qui un ragazzo viene immolato, questa volta da suo padre Abramo, per dimostrare la sua fedeltà al Signore. Un angelo ferma il tragico epilogo, parlando per conto dell’Onnipotente e ritenendo appurata la fedeltà, promettendo ad Abramo una lunga stirpe. Martin potrebbe essere una figura divina per come, però, non la intendiamo noi. Un essere che porta con sè un dono devastante: decretare le sorti della vita dell’uomo. Con la differenza che non sfrutta il suo potere per fare del bene, ma a proprio piacimento per soddisfare le voglie del suo animo “umano”, soggetto alla vulnerabilità delle emozioni.
Siete d’accordo con questa spiegazione de Il sacrificio del cervo sacro? Fatecelo sapere nei commenti.