La Zona di Interesse, recensione del film di Jonathan Glazer

Il registra britannico torna sullo schermo con il racconto della vita serena di una famiglia tedesca con casa vista Lager

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La Zona di Interesse (The Zone of interest) uscirà nelle sale italiane il 22 Febbraio 2024. Qui la nostra recensione su uno dei film più attesi dell’anno e che la notte degli Oscar potrebbe dare del filo da torcere a Matteo Garrone.

La Zona di Interesse, La Trama

Rudolf Franz Ferdinand Höß (Hosse, interpretato da Christian Friedel) è un militare tedesco, primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Con la sua famiglia vive nell’ “oasi felice” all’interno del lager, in cui sua moglie Hedwig (Sandra Hüller, Anatomia di una caduta) gestisce in perfetto stile SS le faccende casalinghe, tipiche di una famiglia borghese qualunque. Lei cura il giardino, la serra, mentre i figli giocano serenamente con il padre o i loro compagni. A preoccupare Rudolf sono le questioni di vita quotidiane, mentre al di là del muro si consuma uno dei peggiori crimini contro l’umanità che la storia ricordi.

Forse pochi sanno –  o si sono chiesti – se il personaggio raccontato dal regista Jonathan Glazer sia realmente esistito. Il 4 maggio 1940 Rudolf Höß fu nominato comandante di un lager che avrebbe dovuto lui stesso provvedere a costruire dopo aver proceduto alla requisizione di una vecchia caserma polacca situata nei pressi della cittadina di Oświęcim, conosciuta allora con il nome tedesco di Auschwitz. Nei progetti delle autorità tedesche il nuovo lager avrebbe dovuto essere un campo di smistamento per prigionieri polacchi, diventando invece il più grande centro di sterminio di milioni di persone innocenti da parte del regime nazista.

La Zona di Interesse, La Recensione

La Zona di Interesse non è uno di quei film che siamo abituati a vedere sull’Olocausto. Ribalta gli schemi, rovescia la prospettiva e modifica il punto di vista grazie alle “luci che non vediamo, per citare la recente serie di Shawn Levy. Glazer però, al contrario, ci fa vivere tutto quello che si trova dall’altra parte del muro, senza particolari sensazionalismi, senza esporci, almeno dal punto di vista visivo, alla realtà spietata e crudele degli accadimenti. Potremmo dire che La zona di interesse fa da perfetto contraltare a tutto quello che invece ci mostra un classico spielberghiano come Schindler’s List, per il forte impatto visivo e emotivo a cui veniamo inevitabilmente destinati.

Il film si apre, dopo qualche minuto di audio, con un campo lungo e un’inquadratura fissa, quasi a voler immedesimare lo spettatore in un quadro impressionista/realista dal respiro bucolico e pastorale. I protagonisti del quadro sono i membri della famiglia Hosse, che tra un picnic in riva al fiume e un bagno in piscina si godono attimi di serenità in perfetta armonia familiare.

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Il racconto di un’indifferenza che in realtà è annullamento

I personaggi di Glazer non sono alieni, né mostri. Come spiegato dal regista in occasione del Rome Film Fest, sono persone con cui abbiamo in comune la quotidianità di una gestione familiare, preoccupazioni e aspirazioni. Persone fatte della stessa materia, che però hanno completamente annullato una parte fondamentale: la realtà dell’essere umano uguale e diverso da noi, e la realtà del rapporto interumano. Rudolf si preoccupa di animali e piante, parla di inceneritori come se parlasse di un nuovo macchinario aziendale o del funzionamento del forno a microonde, ma fa completamente fuori gli esseri umani.

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Glazer con tecnica e maestria ci mette di fronte a questa scissione anaffettiva, lo fa nell’utilizzo freddo e – solo apparentemente – anestetizzante della macchina da presa, nell’alternarsi di campi e controcampi che servono a raccontare con diverse prospettive la profondità del reale. Tra il razionalismo di Kubrick e un’interessante ispirazione al Michael Haneke de “Il nastro bianco”, le riprese del regista appaiono cliniche, geometriche, con una voluta assenza di primi piani al fine di rifuggire da qualsiasi simpatia emotiva.

Ma l’intento non sembra essere quello di spersonalizzare lo sguardo o partecipare al racconto “da bordocampo”, quanto di offrire al pubblico una nuova chiave di lettura.

Due chiavi di lettura: l’efficacia del fuoricampo

Esistono infatti due piani interpretativi per vivere e metabolizzare questo film: quello che si vede (o non si vede) e quello che si sente. L’esperienza completa è nell’intersezione delle due tracce, quella per cui la linea di tensione viene mantenuta alta dal fuoricampo delle urla che si sentono in lontananza, nella tranquillità delle mura domestiche. Al cinema si possono chiudere gli occhi di fronte a qualcosa che non si vuole vedere, ma non si può davvero evitare di sentire. E lì tutto si trasforma in verità, il suono si fa immagine interna fino ad arrivare come un brivido alle nostre coscienze.

Nel guardare la follia della quotidianità dei personaggi e delle signore borghesi, che si scambiano pellicce e rossetti delle donne ebree uccise nei forni crematori, ci si chiede se davvero questa “umanità” fosse così poco consapevole. Se davvero la frenesia della moglie del comandante nel tenersi sempre impegnata non fosse un modo per chiudere gli occhi ed escludere tutto quello che si trovava dall’altra parte del muro. Eppure qualcuno non rimane indifferente al rumore sordo degli spari, a quello inquietante e continuo delle camere a gas o quello agghiacciante dei lamenti dei prigionieri.

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Il finale del film e le tecniche di ripresa

Anche la madre di Hedwig, una volta aperti gli occhi sul trattamento riservato a quegli ebrei “amici dei bolscevichi”, non potrà fare altro che andarsene. Il suo inconscio rifiuta la disumanità e l’intuizione del dolore, cosa che accadrà allo stesso protagonista, Rudolf, nella scena finale del film: vomitare equivale a rigettare gli atroci crimini commessi contro l’umanità, condannando sé stessi, come in un nefasto presagio, a un destino ormai scritto.

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Poche ma ben definite sono le sensazioni che si provano una volta riaccese le luci in sala: tristezza, spaesamento, rabbia nei confronti di una realtà che appare glaciale. Glazer gira l’intero film con luce naturale utilizzando sul set, in sostituzione del piano sequenza, circa una decina di macchine da presa per riprendere i protagonisti da ogni angolazione possibile. Mettere gli attori nelle condizioni di girare le scene in una sola ripresa significa creare una maggiore connessione e autenticità con la realtà circostante: “tutto è vero perché devo innanzitutto presentarlo come reale a me stesso” afferma il regista.

Il racconto di ieri, per non chiudere gli occhi oggi

Questo eccesso di sincerità scenica non concede nessuna tregua e non permette di prendere le distanze. L’indifferenza della famiglia che vediamo sul grande schermo è avvenuta ottanta anni fa, ma rende quel dolore estremamente attuale. Nessuno può sentirsi al sicuro da quel tipo di sentimento, perché ogni volta che ci permettiamo di chiudere gli occhi di fronte alla sofferenza o alle crudeltà altrui la storia si ripete. Succede oggi a Gaza, in Ucraina, in Africa, in Medio Oriente e in tante altre parti del mondo. Succede ogni volta che non cogliamo la sofferenza che esiste al di là del muro. La Zona di Interesse è una grande esperienza di vita, una bella lezione di cinema a cui tutti dovrebbero assistere.

La Zona di Interesse, Il Cast

  • Sandra Hüller: Hedwig Höß
  • Christian Friedel: Rudolf Höß
  • Medusa Knopf: Elfriede
  • Daniel Holzberg: Gerhard Maurer
  • Sascha Maaz: Arthur Liebehenschel
  • Max Beck: Schwarzer
  • Wolfgang Lampl: Hans Burger
  • Ralph Herforth: Oswald Pohl
  • Freya Kreutzkam: Eleanor Pohl

La Zona di Interesse, Il Trailer

E voi andrete a vedere La Zona di Interesse? Vi aspettiamo al cinema, dite la vostra nei commenti

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