La serie Netflix esplora l’immagine di Griselda Blanco con una buona ricostruzione storica, ma manca di lasciarci un giudizio univoco su di lei (e forse è un bene). La nostra recensione di Griselda
Griselda: la madrina
Sofia Vergara veste i panni di Griselda Blanco, la signora della cocaina che governò il traffico di droga a Miami tra anni ’70 e ’80. Corretto solo in parte definirla la controparte femminile di Pablo Escobar. Si tratta in realtà di una figura complessa, dai tratti sfumati e profondi. La serie Netflix ne propone una versione tridimensionale, esplorandone le contraddizioni e le contrazioni caratteriali.
Sei episodi che raccontano l’ascesa della “madrina”, nel più classico scenario della Miami anni ’80, tra traffici, sparatorie, musiche post-disco, cocaina sniffata con i coltellini nei night club. Il risultato? Un’altra serie anni ’80 e coca, come se ne sono già viste (la stessa Narcos, per esempio; o la buona vecchia Miami Vice). L’elemento originale è proprio la protagonista, una criminale-ssa esplorata con sguardo moderno.
Una cosa è chiara: la Griselda che vediamo nella serie è il prodotto dell’ambiente in cui vive. Sarebbe a dire, degli uomini che la attorniano e con i quali deve competere, subendo i loro soprusi e lottando per qualcosa di più importante di ciò per cui lottano tutti loro: non il potere, la ricchezza o il prestigio, ma la famiglia.
Questa la giustificazione per tutti i suoi crimini, le violenze e le nefandezze di ogni sorta. Di fronte all’imperativo della famiglia ogni altro dubbio morale crolla, e in fondo l’alibi non è troppo distante da quello dietro cui si parava lo stesso Escobar, che si fregiava di essere un Robin Hood per la sua gente di Medellin.
Lo stesso genere di retorica guida le azioni di Griselda, che presto si erge come eroina del popolo, madrina dei poveri e simbolo di rivalsa e di speranza per i meno fortunati nei confronti dei ricchi colpevoli e infingardi consumatori del suo prodotto. Il tutto, in qualche modo, legato alla sua importanza come figura femminile emancipata, in un mondo nel quale questo fine giustifica ogni mezzo.
La serie pare quindi incerta se voler mitizzare la figura di Griselda passando per la sua umanità, denunciarne i misfatti ma quasi sempre come conseguenza delle azioni scorrette di qualcun altro, o fare un misto delle due cose. Difficile, comunque, parlare del personaggio come di una figura negativa.
La Griselda di Sofia Vergara (comunque davvero bravissima e adatta al ruolo) è profondamente femminile nonché materna, con i suoi figli e con i suoi adepti. Si comporta non come un boss ma come una grande madre che ha a cuore gli interessi di tutti i suoi “figli”, e come ogni madre è disposta a tutto per loro, elasticizzando il concetto a dismisura (e a suo comodo).
Impossibile sapere se ci crede davvero o se sono storie che si racconta da sola per giustificare le sue azioni, specie una volta spintasi troppo in là. In ogni caso, il finale per lei non è buono: nel 2012, anni dopo il ritorno in Colombia e la scarcerazione, viene assassinata per le strade di Medellin all’età di quasi 70 anni. Corretto dire che se l’è cercata, o si è trattato sempre solo della vittima di una vita corrotta fin da principio? La serie ci lascia con queste domande, ma non con una risposta.
