Better Call Saul ignorata agli Emmy: perché è una vera vergogna

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Ed è finita così con Better Call Saul: sei stagioni incredibili, decine di nomination, nessun premio. Sì, c’è da esprimere un certo sdegno

53 nomination in totale, 0 vittorie. E così Better Call Saul, una delle migliori serie televisive degli ultimi anni (e da molti ritenuta persino superiore alla serie di cui è spin-off, Breaking Bad) rimane completamente ignorata anche agli ultimi Emmy Awards, che scelgono di premiare invece The Bear, Succession e The White Lotus.

Difficile capire il perché di questa grande snobbata, o forse no: l’industria dell’intrattenimento americana si è voltata negli ultimi anni in direzioni diverse, alla ricerca di un pubblico nuovo, e BCS risulta forse un prodotto un po’ “vecchio”, figlio di BrBa e delle idee di Vince Gilligan, ancora molto anni ’00 / anni ’10 e poco anni ’20.

Si può cercare di capire tutto, però davvero Bob Odenkirk (Saul Goodman) e Rhea Seehorn (Kim Wexley) almeno un premio in tanti anni se lo sarebbero davvero dovuti portare a casa, per non parlare delle ottime performance di comprimari di BrBa come Jonathan Banks (Mike Ehrmantraut) e Giancarlo Esposito (Gustavo Fring).

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Inizialmente più vicino al legal drama che al crime thriller con elementi western che domina come genere un po’ l’intero franchise, in sei stagioni BCS ha accolto anche grandi prove attoriali di Michael McKean (Chuck McGill, famoso come membro degli Spinal Tap), Michael Mando (Nacho Varga) e il molto sottovalutato Patrick Fabian (Howard Hamlin, l’avvocato perfetto nemesi di Saul).

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A questo aggiungiamo un’inventiva unica nella costruzione di sequenze cinematograficamente di altissimo livello, con montaggi e ritmi impeccabili nel ritrarre per esempio la preparazione e la messa in atto di diversi degli imbrogli di Saul; ma anche momenti autenticamente drammatici, di conflitto e di crisi morale (tema centrale della serie), proposti spesso con intensità unica.

Non mancano sequenze d’azione leggendarie, come quelle nel famoso episodio nel deserto con Saul e Mike; scelte musicali azzeccatissime – la scena dei due drogati con accompagnamento delle CHAI è assolutamente da antologia; e tessitura del background di diversi personaggi secondari, come Krazy 8 ma anche gli stessi Walt e Jesse, che compaiono con Saul in un gustoso cameo.

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Il finale della serie, che vede Saul e Kim riuniti ma in attesa l’uno dell’altra, ha lasciato molti insoddisfatti come anti-climax ma sottolinea al tempo stesso il carattere profondo e importante di una scrittura che non vuole ingraziarsi questo o quel pubblico ma semplicemente raccontare una grande storia di umanità, sia pure di umanità “sbagliata”.

Questo è forse l’elemento che può aver confuso gli Emmy in questi anni: il fatto che Saul (ma come del resto Kim, o Mike, o Gus) non sia affatto un “eroe”, ma non sia al tempo stesso nemmeno completamente un “anti-eroe” epico e carismatico. Un individuo subdolo, machiavellico ma anche debole, che cede ai suoi lati peggiori ma trova in sé anche grandi sprazzi di inaspettata dignità. Ebbene: può essere scomodo da dire ma spesso gli esseri umani sono anche questo, e va raccontato.

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