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A cura di Serena Trivelloni
Ecco la nostra Recensione di The Holdovers, nuovo film di Alexander Payne con protagonista Paul Giamatti
The Holdovers: i restanti, gli ultimi. In italiano la traduzione è «Lezioni di vita» ma anche di cinema, quelle che ci ha regalato Alexander Payne, in questo emozionantissimo film presentato in anteprima al Torino Film Festival, e che uscirà nelle sale italiane il 18 gennaio. Holdovers fa bene agli occhi e al cuore, perché immerge lo spettatore in un viaggio introspettivo e profondo, attraverso le mille sfumature dei suoi protagonisti: il prof. Paul Hunham (uno straordinario Paul Giamatti), Angus (Dominic Sessa) e Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph). Un mix di riferimenti e omaggi riletti nella chiave di una sceneggiatura assolutamente moderna, tra gli anni ottanta di «Breakfast Club», John Hughes e l’intramontabile «Attimo Fuggente» di Peter Weir.
Breakfast Club era la storia di cinque studenti esuberanti, costretti per punizione a passare del tempo tra le grinfie del preside. Veniva affidato loro un tema: «Chi sono io?», che sembra ricollegarsi al «gnothi seautòn» scritto sulla lavagna del terribile Prof. Hunham di Holdovers. Il famoso «conosci te stesso» socratico possibile solo attraverso la saggezza dei libri e la conoscenza del passato, che significa per Hunham consapevolezza del presente. Ma attenzione, Paul non è affatto John Keating (Robin Williams) dell’Attimo fuggente: non viene amato dagli studenti, non empatizza con loro, non cerca di creare nessuna complicità . Al contrario, viene definito il professore più rigoroso e spregevole del campus.
 Sullo sfondo gli anni ’70, la guerra fredda e la violentissima guerra del Vietnam; Payne sembra volontariamente sfiorarle solo di passaggio per lavorare sulle emozioni trattenute, sui cieli plumbei, sugli spazi chiusi dell’anima. Stanze e corridoi sono deserti, i protagonisti sembrano fantasmi di una vita rimossa, trattenuta, mai vissuta. Il regista si concentra sul racconto di un’adolescenza fragile, quella dei figli di papà della Barton Academy, in cui studiano tutti ragazzi bianchi, perché quelli neri vengono ammazzati al fronte in Vietnam, come il figlio di Mary Lamb (intensissima interpretazione di Da’Vine Joy Randolph). Nessuna drammaticità eccessiva né stucchevole retorica nel film di Payne: la bellezza del cinema nella sua forma migliore, quella forma che scorre e spiega la vita senza farci la predica, che torna a far salire l’emozione fino alla gola.
E’ difficile rimanere indifferenti davanti al legame indissolubile tra allievo e maestro, genitori e figli, amanti pudichi e silenziosi. E già , perché le vicende di Payne riguardano sempre gli amori impossibili che non hanno respiro, i lutti, i rapporti familiari, le mancanze. Questo appare il tema centrale della narrazione: in un Natale profondamente lontano dagli standard prettamente americani, si alternano i pieni e i vuoti di tre protagonisti apparentemente molto diversi, ma sostanzialmente uguali tra loro.
Sono le parole non dette a muovere il film, a farci immedesimare e immaginare in un ipotetico dialogo con nostro padre, o con il nostro professore preferito, per potergli raccontare quello che siamo diventati, o che vorremmo diventare. Per potergli dire quanto ci mancano, o quanto avremmo voluto che fossero ancora qui per illuminarci nelle nostre strade. La forza di questo film è la delicatezza con cui riesce a far emergere il nostro inconscio, a buttare fuori paure, reticenze e pregiudizi.
La sostanza del legame dei protagonisti si affida a simboli e metafore, a traiettorie narrative che non dicono mai ma lasciano intuire tutto con profonda ironia, come ad esempio nella rima baciata tra i due protagonisti che si «salvano»  a vicenda da situazioni decisamente scomode. Paul è un bravo professore, ma non rappresenta l’uomo perfetto. E’ il primo a essere rimasto imprigionato dal suo passato, dalla paura di vivere, dal desiderio di una vita ascetica rinunciando agli intrepidi piaceri della carne. A Mary è affidata l’ardua sentenza: «neanche un sogno lei è capace di portare fino in fondo».
E se da una parte la vita sembra essere la «scaletta di un pollaio», dall’altra i nostri protagonisti sembrano ritrovare il calore e il senso degli affetti proprio grazie a questo improbabile Natale. Sullo sfondo musicale di un commovente Cat Stevens con The Wind, Silver Joy di Damien Jurado e Crying, Laughing, Loving, Lying di Labi Siffre, il nostro Angus (Mr. Tully) ri-conosce sé stesso nonostante la paura di cadere o annegare, e lo fa attraverso le note apparentemente stonate di un professore in grado di fargli superare le contraddizioni del suo tempo. Perché l’importante è non piegarsi mai, per poter rintracciare nello specchio qualche scampolo di umana verità .
Correte al cinema!
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