I 10 (+1) migliori film del 2023 [LISTA]

Ecco la personale classifica della redazione de LaScimmiaPensa dei migliori film arrivati al cinema in Italia nel 2023

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5) Beau ha paura, Ari Aster

Beau ha paura
@A24

A cura di Lorenzo Pietroletti

Un film controverso, capace di generare discussione tra cinefili e non. Beau Ha Paura, terza opera firmata Ari Aster (qui la nostra recensione), ha messo alla luce l’aperta idea di cinema del regista di Midsommar, costruendo un film che scava nella mente del protagonista, un sontuoso Joaquin Phoenix, accompagnandoci in un viaggio edipico senza fine.

La famiglia, un locus amoenus per definizione, viene smontato film dopo film, a partire dall’inquietante mediometraggio The Strange Thing About The Johnsons, per poi proseguire con l’acclamatissimo Hereditary e il meraviglioso Midsommar. Ma se nei primi film lo sguardo si focalizzava in una maniera più “grandangolare”, in Beau Ha Paura, Aster sceglie di seguire le vicende da uno specifico ed unico punto vista, quello del protagonista, costruendo un film di fatto di percezioni, di ricatti morali che portano ad una follia inevitabile.

Beau vive in un mondo sbagliato, fatto di finto amore e violenza, senza apparente salvezza. Sequenza dopo sequenza, Beau Ha Paura ci trascinerà nell’abisso del protagonista, restituendo immagini che generano un inevitabile sensazione di disagio dalla quale è impossibile fuggire. Un flusso di coscienza della durata di tre ore, capace di lasciare il segno in ogni spettatore, come i solo i grandi film sanno fare. Qui trovate la nostra spiegazione del film, per un breve approfondimento sul tema.

4) Gli Spiriti dell’Isola, Martin McDonagh

Film in vista degli Oscar 2023

A cura di Andrea Campana

Sull’isola-limbo di Inisherin i due ex-amici Padraic (Colin Farrell) e Colm (Brendan Gleeson) interrompono il loro rapporto per via di una completa incapacità di capirsi a vicenda che, necessariamente, lascia il posto alla violenza. Una metafora di quello che avviene in quegli anni tra gli irredentisti irlandesi e i dominatori inglesi, ma non solo.

Il titolo originale, The Banshees of Inisherin, richiama la figura tradizionale irlandese della banshee: un mostro semi-mitologico che si diceva portatore di disgrazie, un vero uccello del malaugurio in forma a volte di una donna bellissima, a volte di una vecchia sgraziata, ma nota per il suo terrificante strillo lugubre.

Se tradizionalmente le banshees portavano la morte ora il compito è passato agli uomini: vediamo chiaramente come i rapporti tra Padraic Colm, in fondo due persone normali, precipitano più che altro per via della testardaggine e del fermo orgoglio di entrambi. Basterebbe poco per metterci una pezza, ma nessuno dei due vuole.

Allora la morte, destino ultimo dell’umanità ma innaturale quando sintomo ed estrema conseguenza della violenza, diviene qualcosa che gli esseri umani si auto-infliggono, questo mentre le banshees (una banshee in particolare, Mrs. McCormick) si limitano a guardare, perché non debbono più neppure sforzarsi nell’adempiere al loro compito di inquietanti messaggere.

Il concetto assume ancora più rilevanza se pensiamo all’isola, Inisherin, come un luogo atemporale staccato dalla realtà nel quale si consumano vicende simboliche e che decidono del destino dell’umanità, passando per i peccati di ignoranza, alterigia e orgoglio, risultando nel peggiore di tutti: l’incomunicabilità.

La quale, come sappiamo, non è tanto una problematica di cento anni fa quanto di oggi. L”impossibilità di comprendersi e di trovare un punto d’incontro, un terreno comune per il confronto, nonché di lasciarsi alle spalle l’eredità dei pesanti trascorsi, è quel che del film più ci porta a confrontarci traumaticamente con la nostra realtà attuale.

3) Oppenheimer, Christopher Nolan

Film più attesi del 2023

A cura di Matteo Furina

Oppenheimer (qui la nostra recensione) si presentava ai nastri di partenza del 2023 come uno dei film più attesi dell’anno. Non solo per il ritorno in sala di Nolan che attira su di sè sempre una grande attenzione, ma soprattutto per i molti temi unici che hanno fin da subito contraddistinto questo film. Partendo dal tema, ovvia sia un biopic sull’uomo che costruì la bomba atomica, passando per l’esplosione creata in artigianale, per arrivare fino al cast stellare guidato, per la prima volta in carriera in un film di questa portata, da Cillian Murphy.

Ebbene, nessuno di questi elementi ha deluso. Oppenheimer, nonostante la sua durata impegnativa ha conquistato il mondo (e anche la nostra redazione). L’opera riesce a sposarsi in modo perfetto col cinema di Nolan fatto di balzi temporali e montaggi arzigogolati. La scelta di alternare tra realtà e percezione del protagonista o quella di utilizzare il discorso di Einstein come autentico McGuffin sono senza dubbio tra i motivi che hanno resto questo uno dei migliori film dell’anno.

Il cineasta britannico è riuscito a portare in scena un’opera complessa, qual è il testo da cui è tratta la sceneggiatura Oppenheimer. Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica, in modo assolutamente perfetto. Il libro è infatti pieno di citazioni, lettere e riferimenti bibliografici della vita dello scienziato, resi in modo perfetto dal regista grazie ad un uso smodato della verbosità che in molti casi sarebbe risultata pesante, ma non in questo caso.

Il cast infine, guidato da uno scintillante Cillian Murphy, è in assoluto stato di grazia. Ogni attore, da Robert Downey Jr. e Florence Pugh a Matt Damon ed Emily Blunt, recita in modo sontuoso, rendendo il film incredibilmente scorrevole, nonostante quello che possa apparire ad una prima occhiata. Rimarchevole l’uso degli effetti artigianali per la scena dell’eplosione atomica, una delle migliori sequenze dell’anno cinematografico, senza dubbio.

2) Decision To Leave, Park Chan-Wook

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A cura di Carlo Rinaldi

Uscito nelle sale italiane il 2 febbraio 2023, Decision to Leave è uno dei migliori film di Park Chan-Wook. Famoso per la sua “trilogia della vendetta”( Mr.Vendetta; Old Boy ; Lady Vendetta), questa volta Park omaggia Hitchcock (in particolare “La donna che visse due volte”, citato nell’utilizzo dei filtri verdi e per un inseguimento su un tetto), girando uno splendido thriller sentimentale.

La storia ha come protagonista il detective Hae-jun (interpretato da Park Hae-il) il quale viene chiamato ad indagare sulla morte di un uomo precipitato da una montagna. Durante le indagini, egli si imbatte nella giovane vedova della vittima, la misteriosa Seo-rae (intepretata incredibilmente da Tang Wei), un’emigrata cinese che parla poco il coreano, lavora come badante e che non sembra affatto sconvolta dalla morte del del marito. Nonostante i sospetti, tra i due protagonisti nascerà un’insolita attrazione, che poi si evolverà in pura passione. Attraverso quello che è probabilmente una delle migliori regie degli ultimi anni(premiata anche al festival di Cannes), Park usa il montaggio per delineare non solo un amore impossibile, ma anche di modellare a proprio piacimento la realtà.

Le immagini diventano la lente di ingradimento con cui lo spettatore cerca i segni dell’attrazione e il non-detto diventa letteralmente dichiarazione d’amore o d’intenti. Park sottolinea ciò anche attraverso gli oggetti e le scenografie(es. la carta da parati di Seo-rae sembra mostrare cime di montagne, ma ad uno sguardo più attento assomigliano più alle onde dell’oceano. Non a caso il film si apre con la montagna, ma poi si conclude sul mare).

Attraverso il suo stile, Park sfrutta il genere come una scusa per parlare del rapporto amore-sofferenza che pervade, ma soprattutto nel mostrarci quel che è una vera storia di anime tanto simili quanto diverse. Da un lato un uomo che non conosce il proprio cuore; dall’altro una donna che ha deciso di nasconderlo. Ed in entrambi i casi non solo i due protagonisti fanno i conti con il fatto che l’amore possa essere salvezza e condanna, ma imparano a loro spese che non si può mai scappare da ciò. Possiamo decidere di andarcene ma lasciarsi è impossibile.
Un film grandioso, che merita di essere visto e rivisto.

1) Killers of the flower Moon, Martin Scorsese

killers of the flower moon, recensione

A cura di Carlo Rinaldi

Tra i migliori film dell’anno non poteva mancare Killers of tbe Flower Moon, l’ultimo e splendido lavoro di Martin Scorsese (qui la nostra recensione). Tratto dall’omonino saggio di David Grann,uscito nel 2017, il film narra di una serie misteriosa di omicidi, causati dalla scoperta di giacimenti petroliferi, che colpirono la comunità indiana Osage, legittima proprietaria di quelle terre, durante i primi anni’20 del Novecento, e delle relative indagini dell’appena nato FBI, svolte dall’agente Tom White(Jesse Pleamons).

Il tutto ci viene mostrato, a differenza del libro di Grann che illustrava la vicenda dal punto di vista “esterno” di Tom White, attraverso lo sguardo di Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), ex veterano della Grande Guerra giunto in Oklahoma per lavorare alle dipendenze di suo zio William (Robert de Niro), e di sua moglie Mollie (Lily Gladstone), esponente di una delle più ricche famiglie Osage del tempo.

Grazie alla co-sceneggiatura di Scorsese ed Eric Roth(premio Oscar per Forrest Gump), Scorsese riesce a ri-mostrare, dopo Gangs of New York, come la genesi degli Stati Uniti è da ricercarsi nelle strade e di come sia macchiata del sangue degli innocenti. Con una differenza essenziale: mentre in Gangs of New York, Scorsese delinea un affresco epico, quasi cavalleresco, delle bande che controllavano New York, Killers of the Flower Moon si contraddistingue per essere un vero e proprio documentario sulla banalità del male e di come i miasmi dei peccati pessati sono ancora presenti nella società odierna.

Tradimenti,indifferenza, ingiustizia e tutte le terribili qualità che contraddistinguono l’uomo bianco “civilizzato”, erano protagoniste delle vicende umane di allora come lo sono adesso. E in questo mare di melma, si staglia perfettamente la figura di Molly Burkhart, perfetta nel rappresentare la dignità ferita del suo popolo e anche l’impotenza di potersi ribellare a un mondo(perfino sistema legale, QUI per approfondimento) popolato da lupi, più che da uomini.


La regia, oltre ad essere all’insegna dell’essenzialità e del classicismo tranne che per alcuni virtuosismi( come i piano sequenza nella casa di Mollie e le immagini fuori fuoco durante un incendio), illustra con fare quasi scientifico la falsità del mito dell’America e riesce a far vivere allo spettatore una tensione drammatica, nonostante la totale assenza di colpi di scena.Nota di merito assoluta la merita la straordinaria natura metacinematografica del finale, che palesa ancor di più l’importanza e l’obbligo della memoria, necessaria alle giovani generazioni perchè non dimentichino le tragedie del passato e, ancor più importante, perchè non ripetano gli stessi errori.
E’ abbastanza palese come Killers of The Flower Moon sia tra i titoli più interessanti e belli dell’anno e non possiamo che incitarvi a recuperarlo il più presto possibile.

+1) C’è ancora Domani, Paola Cortellesi

c'è ancora domani

A cura di Valeria Spinelli

Impossibile non citare il grande successo al botteghino di quest’anno, che supera in Italia persino Barbie. Non era assolutamente scontato. Tanto per cominciare, il film è in bianco e nero. Uno stile che molti mal sopportano. Ed è un film femminista, una prospettiva che in Italia non viene universalmente condivisa ed è spesso oggetto di resistenza, per assurdo che sia. E ciononostante, è stato un successo universale.

C’è ancora domani di Paola Cortellesi è un film italiano che, come pochi prima, è riuscito a coinvolgere la quasi totalità della popolazione. E incredibilmente non è, come quelli venuti prima, un cinepanettone né una commedia che non può far altro che sdrammatizzare le contraddizioni del nostro Paese. No. C’è ancora domani è un film coraggioso, diretto da una Cortellesi inedita nei panni della regista, con un copione originale e inaspettato. È forse il miracolo pre-natalizio che non ci aspettavamo più?

C’è ancora domani è un film serio, che però non si risparmia qualche piccolo angolo comico. La Cortellesi ha ammesso che per ritrarre le scene di violenza domestica ha voluto optare per delle soluzioni mai sperimentate prima, per evitare di ripetere quanto già fatto ma anche per alleggerire il tono. E, tuttavia quelle scene risultano estremamente disturbanti, che è verosimilmente il risultato che la regista sperava di ottenere.

Il film costruisce un crescendo di tensione intorno a situazioni di vita quotidiana per poi culminare nell’inaspettato finale, un climax che emoziona e sconvolge, accompagnandosi subito ad una riflessione importante di natura politico-sociale. Si esce dalla sala con gli occhi lucidi e ancora turbati (ma positivamente) dopo essere stati letteralmente risvegliati a livello di coscienza. C’è ancora domani, insomma, colpisce nel segno: è un film impegnato che riesce a comunicare il suo messaggio senza creare distanza, sfruttando al meglio il potenziale del mezzo cinematografico. Che altro serve a rendere un film eccezionale?

Unico neo: Mastandrea e la Cortellesi non riescono a scomparire al 100% nei panni dei protagonisti, perché attori già carichi di una loro personalità, difficile da sradicare e neutralizzare. Ma questo non rovina il film, perché a conti fatti sono due di quegli attori che è sempre un piacere vedere sul grande schermo. Specialmente insieme.

Che ne pensate? Qual è stata il vostro film preferito del 2023?

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