Barry Keoghan e Jacob Elordi protagonisti assoluti di Saltburn, un thriller che nonostante qualche difetto, convince pienamente. Ora disponibile su Amazon Prime Video.
Due indizi, ossia Saltburn e Una Donna Promettente, iniziano già a fare una prova, o quantomeno a delineare il fatto che Emerald Fennell si possa ritagliare uno spazio ben preciso nel mondo del cinema. Due film ben lungi dall’essere banali, seppur nelle loro imperfezioni, con la capacità intrinseca di catturare lo sguardo dello spettatore, lasciando sempre qualcosa. E forse l’Oscar alla sceneggiatura proprio al suo film d’esordio, potrebbe non essere certo un caso.
Saltburn, la Trama
Siamo nel 2006, in quel di Oxford e più precisamente nell’austero e famigerato college. In un contesto di ricchi figli di papà , si introduce Oliver, un giovanotto entrato con la borsa di studio e ben lontano dall’avere una famiglia di baroni e baronetti. Proprio qui farà la conoscenza di Felix, classico belloccio con popolarità estrema, la cui comitiva non vede di buon occhio l’ingresso di Oliver nelle sue grazie.
Dal college, si passa quindi alla magione che risponde al nome di Saltburn, residenza estiva della famiglia di Felix, dove Oliver trova uno spazio con non poche difficoltà . Tra servitù e quadri di Rubens, piano piano il nostro protagonista si ritaglierà uno spazio. Almeno fino al sopraggiungere di una disgrazia che cambierà le carte in tavola più e più volte.
Saltburn, la Recensione
Fa sorridere il fatto che l’esordio cinematografico di Emerald Fennell, classe 1985, sia proprio Una Donna Promettente. Un titolo che incarna alla perfezione quanto finora espresso dalla regista britannica. Esordire con un film sceneggiato da Oscar, letteralmente, è sintomo che forse il cinema ha trovato una nuova promessa cineasta. Il che è sempre una bella notizia per gli appassionati della Settima Arte.
Ancor di più se il suo è un tipo di cinema che offre uno sguardo provocatorio e provocante su vari temi d’attualità , come il suo esordio, e non, come questo Saltburn. Certo, non siamo di fronte ad un qualcosa di profondamente nuovo, su un piano prettamente contenutistico. Resta però la forma con cui la Fennell mette in scena il suo film, a farsi veicolo di un messaggio ben preciso.
Sin dalle prime immagini, Saltburn ci trascina dentro quello che sembra essere il più consueto dei teen drama, fatto di sballo giovanile nell’era del college. Tutto profondamente stereotipato, insomma. Eppure, dopo qualche minuto introduttivo, si aprono le porte della magione che dà il titolo al film e il registro cambia diametralmente, spostando gli equilibri esattamente come fa Oliver, un perfetto Barry Keoghan che calza a pennello per questo ruolo a dir poco particolare.
Tra immagini frammentate allo specchio e primi piani, Emerald Fennell manipola Oliver sin da subito, mostrando una progressiva evoluzione tanto psicologica quanto fisiognomica del personaggio. Come a dimostrare una massima della politica nostrana per cui “il potere logora chi non ce l’ha“. E non aggiungiamo altro onde evitare spoiler.
Un ribaltamento di forma e stile che ci introduce in una storia morbosa, un dramma torbido fatto di sesso e manipolazioni, verso un unico obiettivo, che non specificheremo per i motivi di cui sopra. Basti sapere che Saltburn ci racconta una storia dove di fatto viene messa a nudo la borghesia, con tutte le sue incertezze e le sue facciate da mantenere sempre pulite e intonse.
Oliver diventa quindi un simbolo di distruzione e decostruzione sociale, dove come una cellula cancerogena inizia a far crollare ogni certezza in maniera subdola. Un corpo estraneo e dannoso che riesce però al tempo stesso a mostrarsi indispensabile e imprescindibile per la famigliola istituzionalizzata borghese. Che pezzo dopo pezzo, verrà distrutta.
Emerald Fennell attinge quindi da immaginari ben saldi con una certa consapevolezza, regalando loro un taglio visivo più contemporaneo, fatto di luci al neon e sequenze provocatorie che susciteranno egualmente indignazione ed entusiasmi di vario genere. Sono infatti molte le sequenze dove la camera della regista indugia con primi piani, tra liquido seminale e sangue mestruale, e dove l’impatto è altissimo.
L’erotismo dunque assume una forma diversa dal consueto, quasi malata, divenendo anch’esso strumento di manipolazione per il nostro amato/odiato Barry Keoghan. Tutti i tabù, come quello dell’omosessualità e del ciclo mestruale, vengono quindi lanciati in aria, deflagrati dalla bomba-Oliver, che di fatto distrugge una doppia istituzione: quella borghese e quella familiare.
Esattamente come accadde già ne Il Sacrificio Del Cervo Sacro, film di Yorgos Lanthimos, Barry Keoghan riprende un ruolo quantomai affine a quello affibbiatogli dal regista greco, ma con una certa consapevolezza in più, e incontrando un contesto analogo al Parasite di Bong Joon-ho. Ma se il film premio Oscar si concludeva con un’inaspettata mattanza, Saltburn ci mostrerà sul finale un momento che difficilmente vi scorderete.
C’è un grande “però” che ahi noi attanaglia il film, ed è proprio il finale. In maniera del tutto non necessaria, Saltburn decide di argomentarci per filo e per segno ciò che si era già ampiamente capito sin dalle prime battute del film. E anche lo spettatore più distratto, seguendo ragionamenti lombrosiani, avrebbe potuto ampiamente pensare che le vicende con Barry Keoghan protagonista, non possono che altro vederlo coinvolto in qualche maniera.
Una pecca che coincide con un grandissimo scivolone e che rende il film da molto interessante ad appena sufficiente, sebbene la chiusura con il balletto nudo del protagonista, come una danza appartenente ad un rito primordiale, sia il perfetto punto finale del film. Chiaro è che non parliamo di occasioni mancate o altro, nonostante il noioso spiegone.
Saltburn resta comunque un film che ha la capacità di toccare lo spettatore, cosa non così banale nel cinema di rapido uso e consumo a cui assistiamo oggigiorno. E cosa ancora più importante, ci mostra un film capace di coniugare quasi alla perfezione un certo tipo di cinema prettamente commerciale e accomodante ad un altro diametralmente opposto.
Un cinema che per l’appunto è capace di lanciare provocazioni, decostruendo tutto ciò che ci circonda, devastando istituzioni e consuetudini malsane e lasciando sensazioni non sempre gradevoli nello spettatore e soprattutto domande. Una capacità , questa, che di fatto ci mostra come Emeral Fennell rispecchi a pieno il titolo del suo primo film: una giovane e promettente donna (regista).