Dal Lido veneziano del 2018 a quello appena passato, Bradley Cooper torna (anche) al di qua del set con la sua seconda regia, il cui titolo è già tutto un programma: Maestro. Sono note le vicende produttive di questo film, che vedono coinvolti nomi di un certo spessore, quali Martin Scorsese e Steven Spielberg.
Vari vicissitudini hanno “costretto” al ritiro del regista più acclamato di sempre, con annesso passaggio di consegne all’attore di Una Notte da Leoni. Un biopic molto intenso, seppur canonico nella sua messa in scena ma che lascia ben sperare per ciò che riguarda le sorti del Cooper regista.
Maestro, la Trama
Bradley Cooper dirige sé stesso nei panni di Leonard Brenstein, leggendario compositore che trovò successo e fortuna sul finire della seconda grande guerra. In questo contesto di ascesa professionale, Maestro ci porta nella sua sfera privata e nello specifico nel travagliato rapporto con sua moglie, Felicia Montealegre, costretta suo malgrado a fare i conti con l’omosessualità di suo marito.
Maestro, la Recensione
È interessante notare come la totalità dei film diretti da Bradley Cooper (due) ruotino comunque al mondo della musica. Dopo aver lanciato Lady Gaga nel mondo del grande schermo con un ruolo da protagonista, mostrando la faccia dell’industry, con Maestro compie un salto indietro nel tempo, osservando stavolta da vicino una figura molto controversa ai tempi.
Leonard Bernstein, il “primo” radical chic, quando a venticinque anni realizza un sogno, quasi per caso. Da lì in poi, Bradley Cooper ci porterà ad osservare sempre più da vicino la storia di un uomo, alternando il bianco e nero al colore. Una scelta estetica che di fatto divide il film in due parti in una maniera netta e al tempo stesso ben accompagnata.
Maestro vuole infatti raccontare la storia di un uomo, mostrando la sua viscerale passione per la musica, disegnando perfettamente ciò che ha significato il Bernstein icona per il mondo della musica. Da questa idea, le scelte stilistiche ricadono inevitabilmente sul comparto attoriale, preferendo restare nel convenzionale, pur regalando buonissimi momenti di regia.
Il vorticoso (e sinuoso) dolly usato dal Cooper regista crea un perfetto connubio tra immagine e suono, andando al passo dell’opera diretta dal Cooper attore, esaltando di fatto il personaggio che va ad interpretare.
Appare chiaro sin da subito infatti che l’attore-regista abbia particolarmente a cuore la storia di Bernstein tout court. L’uomo, l’artista, l’icona. Ed è qui che Maestro diventa quindi un elogio stilisticamente asciutto, dove la e prove degli attori protagonisti si mangiano lo schermo. Tanto il nostro amato protagonista, con il trucco che tanto fece scalpore e polemica, quanto (e soprattutto, forse) Carey Mulligan.
La sua interpretazione tocca il cuore di ogni spettatore, restituendo perfettamente la sofferenza, la felicità di un innamoramento che va oltre ogni cosa. Ed ecco che qui il biopic diventa un vero e proprio melodramma, quasi come accaduto in A Star Is Born, seppur con altre sfumature finali.
Se nel primo film, l’amore tra la coppia andava a sparire mano a mano, qui ci troviamo in una relazione tra due artisti fatti e compiuti, consapevoli dell’altro sin dall’inizio. Maestro non si sofferma troppo sull’infatuazione tra i due protagonisti, quanto più sul loro rapporto, escludendo volontariamente tutto il resto. In altre parole, il film sceglie di raccontare l’artista attraverso gli occhi colmi d’amore di sua moglie.
Bernstein viene quindi messo a nudo scena dopo scena, mostrando i suoi flirt e le sue relazioni fedifraghe, la sua potenza sul palco, e quel fuoco che si ravviva durante una sequenza meravigliosa, accompagnata dalla sinfonia di Mahler. Esattamente come se fosse proprio il palcoscenico a dettare la vita e le emozioni di Bernstein. E non è infatti un caso che proprio dopo aver diretto la sinfonia di cui sopra, che il matrimonio tra la Montalegre e il protagonista, trova di nuovo una sua verve.
Vita e arte dunque si intrecciano in un legame che sembra essere indissolubile, dove viene messo in scena l’emblema dell’artista tormentato. Un luogo comune per certi aspetti ma che Bradley Cooper gestisce in maniera pregevole, non risultando mai banale durante le due ore e dieci di film. Un film sulla musica e sull’amore, che conferma la bravura di un regista che lascia ben sperare per il futuro. E che speriamo possa consegnare una statuetta a Carey Mulligan.