Il Migliore dei Mondi, la nostra intervista ai registi

Ecco la nostra intervista a Danilo Carlani e Alessio Dogana, registi di Il Migliore dei Mondi, nuovo film con protagonista Maccio Capatonda

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Il 18 novembre è arrivato su Amazon Prime Il Migliore dei Mondi, nuovo film con protagonista Maccio Capatonda. Abbiamo incontrato Danilo Carlani (D.C) e Alessio Dogana (A.D), registi della pellicola insieme al comico abruzzese. Ecco cosa n’è uscito fuori.

A chi è venuta in mente l’idea di fare questo film fra voi tre? o è stata una cosa di comune accordo?

D.C.: Ma è nata parecchio, parecchio tempo fa l’ideazione nel soggetto. Ben prima della pandemia, penso nel 2017 e l’abbiamo scritto io e Marcello per una serie che si doveva chiamare Black Maccio, una sorta di parodia di Black Mirror. Ma era una storia quasi completamente diversa, si chiamava critica 56K e raccontava di come veniva trasferita la coscienza attraverso questa clinica in un mondo, non parallelo; tu continuavi a vivere la tua realtà, per cui noi eravamo qui ma al netto della tecnologia.

Poi Medusa, che ha sposato il progetto, ha detto “Questo è soggetto buono per farne un film”. E così è stato. Da lì abbiamo sconvolto la sceneggiatura ed è diventata quella che avete visto. In realtà il lavoro di scrittura è durato 4 anni, perché a certo punto c’è stata la pandemia, e non è che c’è stato il blocco dello scrittore, ma semplicemente non avevamo tanta voglia di ridere. Eravamo chiusi in casa e ci dicevamo: “Ok, ma quando usciamo da sto casino, poi quale sarà il nostro rapporto con la tecnologia?” Sembra ridicolo dirlo adesso, ma quando eravamo chiuso un casa, in quel periodo, eravamo convinti che il film non avrebbe potuto avere la stessa potenza, perché avremmo avuto un rapporto totalmente diverso.


Quindi è un film che si è evoluto con la questione degli ultimi anni, ha preso anche gli ultimi aspetti di stretta attualità, e, marginalmente, è stato condizionato anche da questo.


D.C.: Assolutamente, ci sono stesure della sceneggiatura, in cui ad esempio, anche il coronavirus, era preponderante, perché per noi, veramente, stavamo vivendo una cosa sconvolgente. È una storia che ha una sua attualità, una forza proprio anche perché abbiamo vissuto quella periodo, cioè il nostro rapporto con la tecnologia si è potenziato in qualche maniera.


A.D.: Dopo il Covid, l’aspettativa era che tutti ritornassero a vivere esperienze, invece l’approccio massiccio alla tecnologia, secondo è ancora più forte. Perché quei tre mesi di stop ci hanno abituato, banalmente a delle call che tuttora, si usano , anche nel nostro lavoro, piuttosto che di vederci di persona. Ma questo, in tutti i campi.


L’idea del millennium bug è venuta immediata oppure è venuta poi seguendo questo percorso?


D.C.: A un certo punto avevamo l’esigenza, volevamo creare una storia che si basa elemento incredibilmente fantastico che è il passaggio un varco dimensionale, ma con un approccio credibile. Questo registicamente, in tutte le scente che abbiamo fatto. Ovviamente anche la storia deve sorreggere questa, perché il mondo è un’ucronia, come i racconti di Dick eccetera.

Volevamo che fosse ucronico ma che funzionasse perfettamente, cioè quel mondo deve essere uguale al nostro, ma solamente al netto della tecnologia, e l’unico evento che potenzialmente poteva creare questo divario, probabilmente era il millennium bug. Ci faceva ridere la cosa di bloccare quell’entusiasmo della gente.

L’approccio alla tecnologia che avevamo in quegl’anni era un po’ diverso, era un po’ da pionieri. C’era un entusiasmo incredibile che volevamo mantenere in quel mondo. Ci siamo chiesti: “Com’è possibile ricreare quella roba pazzesca, che dopo 20 anni questi ancora stanno lì, entusiasti di sta tecnologia che ai nostri occhi è ridicola?”.

A.D. E poi ci è stato un bello studio, proprio del millennium bug. Siamo andati a ripescare tutti quei testi che ipotizzavano le catastrofi più incredibili, ma anche banalmente incidenti, bombe sparate a cavolo, missili che partivano ovunque, è stato interessante anche andare sulla letteratura di quegl’anni che effettivamente poi non si è realizzata.

Com’e stato lavorare con Maccio, avevate anche voi la tensione che ha avuto Marcello nell’approccio ad una nuova sfida?

D.C.: Una bella fortuna perché nasce tutto da una grandissima amicizia, oltre che da un rapporto professionale. Noi sono 10 anni che collaboriamo insieme, e se devo dire che poi è tutto nato, proprio grazie Marcello. Io e Ale abbiamo studiato cinema insieme, volevamo fare i documentaristi. E lui vide un nostro documentario e ci chiamò al tempo, era 2009 – 2010.

Lui aveva una casa di produzione che si chiama Short. Abbiamo insieme a scrivere un po’ di robe, a fargliele vedere, gli sono piaciute, e da lì abbiamo iniziato a collaborare. Per cui dal 2010, molte delle sue cose in scrittura, soprattutto, c’è il nostro zampino, ma non solo. C’è comunque un collettivo abbastanza ampio, e in regia c’è il collettivo Senegal, che è nato da 3-4 anni, prima, soprattutto in pubblicità, branded content, e questo è il primo film che facciamo insieme, anche perché lui veniva da un’esperienza bellissima, ma difficile, che è The generi, serie difficilissima da girare da cui è uscito veramente provato.

E lui che giustamente, come tutti gli autori, che hanno una cifra stilistica molto dichiarata, è un grande accentratore, e deve esserlo, ovviamente. Marcello è un bravissimo sceneggiatore, un bravissimo interpete, anche un bravissimo montatore. Io penso che lui è uno dei migliori montatori, il migliori montatore, con cui abbia mai lavorato, ed è un bravissimo regista, un bravissimo scrittore. Questo ti fa capire che possiede una cifra abbastanza autoriale, per cui è molto accentratore. Inoltre è molto abile a circondarsi, non parlo solamente di noi, ma di un collettivo anche più ampio. Anche gli attori che tu vedi, del film, sono gente con cui poi molto spesso usciamo, ci divertiamo.

E quindi anche nel nostro lavoro, come registi, in tre, abbiamo lavorato insieme. Il regista è un lavoro accentratore ma se qualcuno che ci dice: “Ma quindi chi è, chi si occupa di cosa?” io non te lo so dire, perché è qualcosa che si compenetra, perché passa attraverso dei simposi lunghissimi. In scrittura io e Marcello abbiamo una tecnica che è proprio bulgara, ci chiudiamo il casa e finché non esce quello che vogliamo, stiamo lì dentro, e ci muriamo. C’è veramente una compensazione di idee, di confronto costante, ma in tutte le fase: scrittura, quando giriamo, con un montaggio, e se serve di nuovo un’altra scrittura del film

Cosa vi aspettate dall’uscita?

A.D. Io spero che lo veda più gente possibile innanzitutto, e poi che il nostro approccio è stato poi quello di non dare un giudizio, una morale. Quello che volevamo trasmettere al pubblico, era semplicemente raccontare una storia che abbiamo vissuto perché abbiamo attravversato appunto lo stesso scarto generazionale: non tecnologia – tecnologia fino al’99, poi fino a oggi. Quello che ci auguriamo, forse di aprire un debattito su questo, che sia un film divisivo sull’approccio al messaggio, sul migliore dei mondi, spetta chi lo vede, a definire quali sia migliore, se c’è migliore dei mondi, sicuramente non ci vogliamo mettere nessuna delle due parti.


Abbiamo cercato sempre di evitare l’approccio boomeristico di fare morali
sulla tecnologia, perché poi ognuno la vive a modo suo. Però è bello perché abbiamo creato anche dei contraltari che disinnescassero un po’ la bolla della tecnologia

D.C.: Un’altra cosa che spero che la gente apprezzi anche il lavoro di tutti gli attori principali, perché hanno fatto secondo me un grandissimo lavoro. E spero anche che la gente veda Maccio in un’altra ottica, un approccio diverso di quella de L’italiano medio, che è un grandissimo film così come Omicidio (all’Italiana ndr), però sono trattati in maniera diversa, anche come recitazione, eccetera, quindi vedere Marcello in quest’altra ottica, spero che il pubblico lo possa cogliere molto positivamente

Volevo chiedere un po’ i vostri gusti cinematografici, e se c’è stato qualche titolo che siano film o serie tv, che abbiano ispirato il film

A.D. : Ce ne sono tanti. Mi viene in mente forse un Her di Spike Jonez per il discorso, soprattutto per rapporto tecnologico, proprio per chiudere questa bolla. Poi c’è tutto il discorso del multiverso, al di là dei film Marvel di cui non siamo fan. Anche tutto il cinema fantastico degli anni 80. Lavoriamo molto per riferimenti, difficilmente c’è una scena in cui non senti un collegamento con qualcosa. Per noi anche il cinema di Carpenter era qualcosa che ci muoveva. Soprattutto il lavoro sulle musiche, quando lui esce, si trova nella dimensione parallela. Ma anche nell’approccio delle scene, nel passaggio al secondo atto, il mondo in 56K, quando approcciamo una scena lo facciamo quasi come fosse un film dell’orrore.

Avete già visto Il Migliore dei Mondi? Che ne pensate?

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