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A cura di Francesca Buffone di WatchMojo Italia
Dall’ultimo libro di Suzanne Collins, scrittrice di Hunger Games, arriva l’adattamento cinematografico Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente diretto da Francis Lawrence. Anni prima delle vicende con protagonista Katniss Everdeen, in una Panem logorata dal dopoguerra, un giovane non ancora presidente Coriolanus Snow deve riscattare il nome della propria famiglia. Per farlo, dovrà essere il mentore del tributo femminile del distretto 12, Lucy Gray Baird, durante la decima edizione dei giochi.
Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente: Il Cast
- Tom Blyth: Coriolanus Snow
- Rachel Zegler: Lucy Gray Baird
- Peter Dinklage: Decano Casca Highbottom
- Hunter Schafer: Tigris Snow
- Josh Andrés Rivera: Seianus Plinth
- Jason Schwartzman: Lucretius “Lucky” Flickerman
- Viola Davis: Dr.ssa Volumnia Gaul
- Burn Gorman: Comandante Hoff
- Fionnula Flanagan: Signoranonna
- Ashley Liao: Clementia Dovecote
Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente: Il Trailer
Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente: La Trama
In una Panem ancora dilaniata dalle ferite della guerra, in cui anche i vincitori sono dei vinti, il non ancora presidente Coriolanus Snow deve lottare per ristabilire lo status sociale della propria famiglia quasi in rovina.
Gli Hunger Games non hanno ancora nulla di teatrale e maestoso, non sono lo show che gli abitanti di Capitol City attendono trepidamente. Alla loro decima edizione, appaiono chiaramente per quello che sono: una strage di innocenti. Per ordine del capo stratega, la Dr.ssa Volumnia Gaul, il diciottenne Coriolanus Snow dovrà trasformarli in uno spettacolo, mentre dovrà fare da mentore al tributo assegnatoli, Lucy Gray Baird, una ragazza del Distretto 12.
Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente: Recensione
La Ballata dell’Usignolo e del Serpente si incastra con perfetta linearità all’interno della saga di Hunger Games. Nonostante siano ormai passati dieci anni dai primi giochi, ci mostra la loro nascita, quella vera, perché gli Hunger Games precedenti non potevano essere definiti tali. La loro decima edizione è la composta ed equilibrata transizione da semplice atto punitivo a vero e proprio show. Non che potessero nascere diversamente: con Capitol City ancora piegata dalle ferite accusate nella guerra, non era possibile che i primi Hunger Games avessero la spettacolarità della settantaquattresima edizione.
No, la città dei vincitori è anch’essa tra i vinti, per quanto tenti di nasconderlo. Perciò, durante la decima edizione non vediamo festoni, ghirlande, folle impazzite ad acclamare i tributi trattati come animali piuttosto che da eroi. In quel periodo, gli Hunger Games sono invisibili, ma per far sì che il loro messaggio sia ben radicato nel fondo degli animi c’è bisogno – che la gente – inizi – a vedere. Sarà compito del giovane Coriolanus Snow (Tom Blyth) e merito del suo tributo Lucy Gray Baird (Rachel Zegler).
In questo scenario così crudo, dove la malvagità dettata dalla paura è mostrata senza filtri, Coriolanus Snow parte già rotto, consumato dall’amarezza e dal risentimento. La Ballata dell’Usignolo e del Serpente ci offre una origin story in cui il cattivo in qualche modo lo è già in partenza. Non si passa dal bianco al nero, ma si continua a giocare in un alternarsi di cupe nuance, rendendo il personaggio interpretato da Tom Blyth oltremodo monolitico.
Eppure, non è necessariamente un male, anzi, annulla il rischio di empatia nei confronti del futuro dittatore. Gli unici momenti in cui le sue tenebre sembrano affievolirsi sono quelli con Lucy Gray Baird, il cui canto a tratti apre in lui un barlume di umanità, ma il suo desiderio di riscatto, la sua ambizione, la sua paura di fallire incombono sempre, guidandolo in ogni sua azione. Le parti cantate, in effetti, sono essenziali all’interno del film; se in Hunger Games la canzone di Katniss era una piacevole aggiunta che poteva sembrare fine a se stessa, ne La Ballata dell’Usignolo e del Serpente le parti cantate diventano salvezza per Lucy Gray e condanna per i tributi futuri.
Noi invece rimaniamo a bocca aperta, col fiato sospeso e i brividi sulla schiena per la bravura di Rachel Zegler. Nel canto. Poi basta. Tolte le note musicali, la sua Lucy Gray Baird perde la voce, non splende quanto dovrebbe, si spegne eclissata dalla presenza mastodontica di altri membri del cast e da un dramma che non riesce a reggere sulle sue spalle. Non è coraggiosa come la ragazza di fuoco – meno male, perché è un bene che di Katniss Everdeen ce ne sia una sola – ma non riesce a dare giusto risalto alla sua umana fragilità. Quando smette di cantare è quasi come se scomparisse.
Cosa ben diversa è quello che avviene con il decano Casca Highbottom (Peter Dincklage) e la capo stratega Volumnia Gaul (Viola Davis), la cui presenza domina l’intera pellicola, determinando le azioni di ciascun personaggio, veri burattinai nel nuovo teatro di marionette che volontariamente – o loro malgrado – hanno creato.
La scelta di mantenere lo stesso regista degli ultimi tre capitoli della saga, Francis Lawrence, permette di mantenere una linearità ed omogeneità tra i vari film, aiutando a conferire quel senso di continuum indispensabile per non considerarla un’opera a sé stante. Perciò, non ci sarà da aspettarsi chissà quale esercizio di stile, ma d’altronde non è nemmeno quello che si cerca di fronte a Hunger Games. La sua regia fa lo stretto necessario per farci seguire l’intera storia: è un film che si fa guardare, pur con qualche vacillamento.
Perciò, nonostante qualche incertezza, tutto sommato il prologo della saga di Hunger Games riesce a presentarci ancora una volta i letali giochi senza correre il rischio di ripetersi, una ouverture ben soppesata per mostrare come un evento che universalmente dovrebbe far accapponare la pelle possa invece diventare il migliore intrattenimento, se sapientemente architettato e ostentato.
Speranza. È quella l’unica cosa più forte della paura.
(Hunger Games, 2012)
Presidente Snow, adesso – dopo La Ballata dell’Usignolo e del Serpente – queste sue parole hanno più senso che mai.
Che ne pensate?
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