L’Attacco dei Giganti: analisi dell’anime di Isayama

Un'analisi approfondita su L'Attacco dei Giganti, l'anime che ha segnato la storia dell'animazione giapponese. A cura di Gianmaria Atzei.

Condividi l'articolo

Entrambi i personaggi tendono ad agire più secondo i loro impulsi primari che con la ragione, causando problemi a chi gli sta intorno, entrambi si isolano sempre più dagli altri, seppur con motivazioni differenti (Shinji per paura e inadeguatezza, Eren perchè si incammina in un sentiero che richiede la solitudine; da una parte quindi una conseguenza caratteriale ‘involontaria’ e dall’altra una scelta sofferta ma assolutamente volontaria).

Nel loro momento di massima solitudine entrambi sono costretti a scegliere le sorti dell’umanità, arrivando a due soluzioni totalmente opposte: Shinji nega il perfezionamento dell’uomo in atto di concludersi e salva l’umanità mentre Eren decide invece di sterminarla, riducendo dell’80% la popolazione mondiale prima di essere fermato.

Ma anche qui la salvezza dell’uomo, totale in Evangelion e solo parziale in L’Attacco dei Giganti, arriva tramite lo stesso meccanismo, cioè l’avvento degli amici del protagonista per riportarlo alla ragione. Shinji nega il perfezionamento dell’uomo perchè capisce che le relazioni personali sono fondamentali per la definizione di se stessi, rivalutando in positivo tutte le amicizie strette nell’arco della serie; Eren viene fermato dai suoi amici più cari, a cui aveva tacitamente affidato il ruolo di salvatori.

Entrambi i personaggi, Isayama ancora si rifà all’opera di Anno, sono portatori sintomatici e iconici dei problemi delle loro rispettive generazioni, rendendo i drammi personali dei due protagonisti qualcosa di universale in cui si possono riconoscere le sofferenze e i dubbi dello spettatore; questo ribadisce ulteriormente la ricerca sociale alla base delle due opere.

Altro fondamentale tassello per la creazione di L’Attacco dei Giganti è indubbiamente Devilman di Go Nagai, modello stilistico e narrativo dell’opera di Isayama. La crudezza di L’Attacco dei Giganti infatti è chiaramente derivativa e debitrice del manga di Nagai, con cui condivide un tratto rozzo volto a rendere ancora meglio l’efferata violenza della storia. Se pensiamo ai primissimi momenti di L’Attacco dei Giganti ci balena in mente il gigante che divora la madre di Eren, scena rappresentata senza mai lesinare su dettagli macabri e sul sangue.

La violenza dell’opera di Isayama non è mai idealizzata o nascosta ma torna a essere un qualcosa di profondamente reale e spaventoso, direttamente discendente dalla rappresentazione del fumetto più punk degli anni ’70 di cui Devilman è stato un esempio cardine.

l'attacco dei giganti

Questa caratteristica appare ormai unica nel panorama shonen odierno, dove morte e combattimenti perdono ogni collegamento con la realtà e si codificano in immagini sempre ‘pulite’, dove il dolore e la sofferenza vengono idealizzate fino a risultare innaturali, irreali.

Un ritorno a questo genere di narrazione permette ad L’Attacco dei Giganti di concentrarsi ancora più sugli orrori della guerra, dell’invasione e sulle conseguenze brutali che hanno sui personaggi queste immagini.

Anche in questo caso abbiamo citazioni dirette all’opera di Nagai, come la condivisione di un’umanità lentamente trasformata in mostri da fattori e personaggi esterni. Il popolo che diventa gigante o demone, a seconda del caso, simboleggia la distruzione del tessuto sociale della comunità e la natura oscura che l’uomo cova dentro di se.

In entrambe le opere abbiamo chi riesce però a controllare questa trasformazione, chi sfrutta il nuovo potere per difendersi, in fin dei conti, dai suoi simili più deboli e ormai privi di coscienza.

Anche a livello iconografico le citazioni non mancano: dalla testa di Eren tenuta in mano da Mikasa che richiama l’iconica e analoga scena di Akira che sostiene la testa di Miki, fino alla rappresentazione della trasformazione dei due protagonisti Eren e Akira rispettivamente in gigante e demone: in entrambi i casi si accentua spesso l’attenzione sulla trasfigurazione del volto, soprattutto sul dettaglio degli occhi che vengono rese alla stessa identica maniera.

LEGGI ANCHE:  Maneskin: Damiano canta la sigla de L’Attacco dei Giganti [VIDEO]

Tutta questa serie di modelli presi a esempio e rimaneggiati da Isayama rende bene l’idea dello studio preparatorio dietro la sua serie e ci comunica precisamente le sue intenzioni: riportare, anche attraverso lo shonen, toni più maturi e un occhio attento alla realtà di tutti i giorni dentro la serialità giapponese. Ma ancora, a livello strutturale, si possono trovare altre interessanti tracce che compongono L’Attacco dei Giganti.

Zeke catches Erens head | Crazy Animation 😳 - YouTube

La preparazione di ogni singola mossa militare e dei combattimenti, che spesso diventa più interessante dell’azione vera e propria, riporta in mente la scrittura di Togashi in Hunter x Hunter: l’attenzione si sposta infatti sui personaggi che elaborano e comunicano esplicitamente allo spettatore ogni loro ragionamento su come sconfiggere il nemico.

Per ultimo, ma non meno importante, è da notare come L’Attacco dei Giganti sia una serie strutturata a incastro, dove i misteri e i buchi narrativi vengono man mano svelati con sapienza allo spettatore senza che la tensione e l’attenzione calino mai. Aiuta in questo proprio la struttura a capitoli tipica del fumetto giapponese e a episodi della sua trasposizione animata.

In entrambi i casi l’utilizzo dei cliffhanger a fine capitolo/puntata permette di creare hype e curiosità per il proseguo della storia, e, nel momento in cui lo spettatore viene messo a conoscenza di informazioni celate, la serie subito provvede a dargli in pasto nuovi misteri, creando un circolo che non si spezza mai se non nelle battute finali nel climax della serie.

Queste sono scelte estremamente tipiche della serialità televisiva americana (Lost in questo ha fatto scuola per tutti gli anni a venire) e di molto cinema mainstream hollywodiano, che Isayama ripropone nel manga in modo estremamente intelligente e serrato per tutto l’arco della serializzazione. (In campo animato Steins; Gate era stata una delle prime serie giapponesi a costruirsi con queste stesse modalità). Una scelta, questa, che sarà da li in poi ripresa con più frequenza anche nel mondo del manga.

l'attacco dei giganti

Infine a legare L’Attacco dei Giganti alle grandi narrazioni contemporanee c’è il costante tema della memoria e dei ricordi. Come nel panorama americano film come Memento hanno dato il via a una lunghissima e ancora florida serie di opere in cui le divergenze tra memoria/ricordi e realtà costituiscono una narrazione confusa proprio dalla soggettività dei protagonisti e dei loro punti di vista, anche in L’Attacco dei Giganti questi due elementi saranno continuamente veicolo di ulteriori stratificazioni dei piani della storia, portando spesso a seguire strade false, confuse o frammentate della realtà del mondo in cui agiscono i vari personaggi.

Altresì i ricordi, che nel manga hanno un ruolo fondamentale in più occasioni, sono i motori della scoperta e delle azioni di molti personaggi; questa è la dimostrazione di quanto la ricezione di meccanismi narrativi sia ormai cosa globale, potendone vedere le varie declinazioni in vari paesi e nelle rispettive produzioni.

Dopo aver cercato di evidenziare buona parte dell’insieme di influenze narrative, stilistiche e strutturali che compongono l’opera di Isayama addentriamoci invece nei meriti più personali che la compongono, potendone ora coglierne le radici.

L’Attacco dei Giganti: un nuovo Coming of Age

Forse il più grande merito di L’Attacco dei Giganti è stato quello di riportare lo shonen alla sua essenza prima, sviluppando il tema della crescita personale e portandolo su un livello superiore. A conti fatti l’opera di Isayama può e deve essere letta soprattutto come un coming of age, ancora prima di essere definito un fantasy.

LEGGI ANCHE:  L'Attacco dei Giganti: che cos'è realmente il Gigante Fondatore?

Quella che viene messa in scena non è nient’altro che una grande storia sul passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, con tutte le conseguenze sullo sviluppo dei personaggi, e dei primi contatti con la società dei ‘grandi’.

Ma andiamo con ordine: prendiamo innanzitutto in esame la prima parte della storia, fino al momento della scoperta del mondo esterno, chiudendo il cerchio con le scoperte nello scantinato della casa di Eren.

l'attacco dei giganti

In questo primo arco di storia i personaggi si trovano a muovere i primi e veri passi nel mondo, nel momento del loro passaggio da bambini (i primissimi momenti narrati) ad adolescenti. Si trova proprio in questa età il momento cardine della crescita di ogni persona, della definizione della sua personalità e degli interessi, la voglia di scoprire ciò che lo circonda.

E, ovviamente, è anche il periodo dove si affrontano le prime difficoltà, siano esse personali o esterne. Tutti questi elementi sono il motore che permette la nostra crescita, e in L’Attacco dei Giganti questa voglia di scoperta diventa quindi il motore della narrazione.

Il percorso metaforico che Eren, Mikasa, Armin e tutti i loro compagni compiono non è altro che l’entrata graduale nella società. Ci sono i 3 anni di accademia per diventare soldati che rappresentano il percorso di studio presso cui formarsi e poter quindi entrare nella società a tutti gli effetti.

C’è poi il mondo oltre le mura, l’ignoto: il mistero che smuove gli animi degli uomini è la volontà dell’uomo stesso di andare oltre i confini prestabiliti dalla società, è la curiosità che alimenta la crescita di ognuno.

Non è un caso che ogni personaggio nella serie contro la Armata Ricognitiva, e la sua missione di comprendere meglio i giganti e il mondo oltre le mura, sia tratteggiato spesso negativamente, con i tratti della persona ignorante.

l'attacco dei giganti

La scoperta dell’esterno corrisponde dunque alla sete di conoscenza ed è il primo motore della crescita dei ragazzi, e in parte anche degli adulti. A tutto questo si contrappone la figura del gigante, un incubo per la popolazione dentro le mura.

La sua figura non è altro che la materializzazione delle problematiche che la vita ci pone davanti per tutta la sua durata, è uno scoglio che bisogna necessariamente passare per sopravvivere e crescere; chi non riesce a superare queste difficoltà viene metaforicamente ucciso.

Difficoltà e ostacoli di diversa grandezza, dubbi e fantasmi che ogni persona incontra nella sua vita: è come se le classi dei giganti (quelli di 3 metri, di 15 m, quelli anomali) fossero delle schematizzazioni della grandezza, o della piccolezza, delle sfide che ci vengono poste d’innanzi ogni giorno.

Ed è qui che la volontà di ottenere quante più informazioni sui giganti e sul mondo esterno, trovando il modo per sconfiggerli più facilmente possibile e con meno perdite, diventa la metafora dell’affrontare i problemi personali, analizzandoli e mettendosi insieme alle persone di cui ci fidiamo per superarli; anche quando questo sembra insormontabile, imbattibile come il gigante colossale.

Arriva poi nella vita di tutti il momento di entrare veramente nella società (possiamo identificare questo momento con il compimento della maggiore età), di uscire dal mondo ristretto in cui si è vissuti e ci si è formati nell’adolescenza; questo crea al contempo grandi ispirazioni e nuove difficoltà da affrontare, nuove cose da imparare.