L’Attacco dei Giganti: un oggetto oscuro nel mondo dello shonen
Con oltre 100 milioni di copie vendute in tutto il mondo e una trasposizione animata capace di smuovere l’attenzione di enormi masse di pubblico, L’Attacco dei Giganti è stato senza ombra di dubbio uno dei casi mediatici più sorprendenti degli ultimi 10 anni.
L’opera di Hajime Isayama, serializzata dal 2009 per Kodansha, è arrivata da poco a compimento con l’uscita del capitolo 139 e dell’episodio finale della trasposizione animata causando, come al giorno d’oggi succede sempre con opere di questa portata, una netta spaccatura di opinioni e giudizi.
E’ dunque utile cercare di rivedere con occhio lucido, e non lasciandosi trasportare dalla foga degli ultimi accadimenti, tutto il percorso dell’opera di Isayama, cercando di individuare quali siano le radici su cui si costruisce e i grandi meriti di cui si fa portatrice.
Nonostante l’opera sia a tutti gli effetti uno Shonen manga, è interessante notare come questa rifugga praticamente dalla maggior parte degli stilemi classici di questa tipologia di serializzazione, soprattutto se intendiamo gli sviluppi e le caratteristiche degli ultimi 15 anni di produzione di fumetti per ragazzi giapponesi, riplasmandoli invece sotto una nuova ottica, nettamente più matura rispetto allo standard odierno.
Appare chiaro fin da subito come la ricerca di Isayama confluisca quasi più nel seinen che nel sensazionalismo spensierato dello shonen; già la scelta grafica del suo tratto sporco, crudo, tagliente e fortemente espressivo, sembra avere poco da spartire con la rivista dove è stato pubblicato, nonchè con le logiche espressive dello shonen degli anni 2000.
Anche narrativamente ci troviamo davanti a un’opera tutt’altro che spensierata, come siamo abituati nel grande contesto dell’industria pop giapponese, dove, invece, L’Attacco dei Giganti evidenzia fin dai primi capitoli il pesante carico di atmosfera negativa che incombe sui personaggi. Senza alcun dubbio le scelte di sviluppo della narrazione sarebbero state impensabili in uno shonen di questi anni, soprattutto date le premesse che la trama stava coltivando.
La trasformazione che allontana la serie dall’action puro della prima parte dirigendo una sempre maggiore attenzione verso l’intrigo geopolitico, a discapito proprio della parte d’azione, è infatti una intuizione per nulla scontata.
Invece, i continui cambi di ritmo e la sapiente coesione di generi dimostrano tutta la scelta autoriale del lavoro di Isayama, che continuerà fino al capitolo finale a disattendere le regole del genere shonen e la volontà del pubblico seguendo una linea precisa e ben definita in partenza.
Proseguendo nell’analisi vedremo più approfonditamente quanto e dove l’opera si metta in proprio rispetto al suo contesto di produzione, risultando un oggetto quasi unico nel panorama di questi ultimi 15-20 anni.
Influenze e modelli di riferimento
Se quindi, come abbiamo visto, non sono solamente i canoni del mondo e dell’industria pop degli anni 2000 a dare origine a un’opera come “L’attacco dei giganti”, dove possiamo trovare i sistemi logici, narrativi, contenutistici su cui si costruisce quest’ultima?
Si torna indietro di almeno 30 anni nella storia dell’animazione e del fumetto giapponese, prima del definitivo alleggerimento d’atmosfera e dell’avvento della spensieratezza che prende piede dagli anni ’90, per tornare a riflettere come le opere degli anni ’70 e ’80.
L’Attacco dei Giganti riprende tantissime caratteristiche da quei contesti narrativi, come la loro natura fortemente tragica, l’attenzione minuziosa nel tratteggiare le figure umane e i loro drammi, il fortissimo valore sociale e l’attenzione politica; tutte caratteristiche ormai scomparse nella maggioranza del panorama shonen odierno.
Gli intrighi di trama e i combattimenti non diventano altro che la facciata di un qualcosa di più profondo, e nemmeno troppo nascosto: la riflessione sulla guerra, tematica fulcro dell’animazione degli anni ’70 e ’80 e sulla sua natura intrinseca all’uomo, lo studio preciso delle motivazioni che spingono i personaggi ad agire in un determinato modo e a evolversi di conseguenza, sono diretta discendenza dei maestri di quegli anni, insegnamenti ormai spersi nel mare della superficialità che contagia le opere odierne. Ma anche queste sono tematiche che cercheremo di approfondire successivamente.
Restando ai modelli giapponesi di riferimento a cui L’Attacco dei Giganti si rifà, troviamo proprio nella più grande rivoluzione narrativa degli anni ’70 e ’80, l’avvento del mondo dei Mecha, il punto di partenza su cui si struttura tutta l’opera di Isayama.
Quello dell’autore non è un semplice tracciare un parallelo tra i robot tipici dell’animazione nipponica e i suoi giganti, ma una vera e propria riproposizione e rivisitazione dei canoni narrativi e strutturali delle opere mecha, una ricontestualizzazione odierna del fenomeno in chiave non più fantascientifica ma fantastica.
Partendo dall’ovvio notiamo come il robot, inteso come costrutto meccanico, venga sostituito in tutto e per tutto dal gigante, e più precisamente da chi ci si può trasformare, che diventa quindi il nuovo ‘veicolo’ su cui salire per combattere la minaccia esterna.
Interessante notare come in questo caso la natura inanimata del classico mecha venga rivista invece in chiave organica, vivente, in quanto il gigante in cui combattono i personaggi è a tutti gli effetti carne e prolungamento del corpo originale.
L’Attacco dei Giganti, come le opere mecha, basa la sua narrazione su una storia a sfondo bellico ribadendo ulteriormente quante affinità ci siano da questi prodotti: che si pensi all’attacco di una minaccia aliena come in Mazinga Z di Go Nagai o di una guerra interna tra uomini come in Gundam di Tomino tutto questo torna nella storia scritta da Isayama, da una minaccia ‘aliena’ composta dai misteriosi giganti fino al conflitto tra uomini dell’isola Paradis contro Marley e le altre nazioni mondiali.
I giganti di Isayama quindi, come i mecha, diventano armi uniche e limitate su cui basare la propria strategia militare e la sopravvivenza dal popolo contro le minacce esterne e le invasioni. Proprio come i mecha acquisiscono, grazie ai tecnici dell’esercito, nuovi upgrade e potenziamenti per fronteggiare meglio il nemico, gli stessi giganti di Isayama mutano e si rafforzano con il passare del tempo, non più grazie alle aggiunte tecniche e meccaniche ma grazie agli sforzi di ricerca sulla loro stessa natura.
L’Attacco dei Giganti riporta quindi in auge tutto un sistema narrativo fondamentale nella cultura popolare giapponese, rimaneggiandolo con una deriva fantasy e organica.
Non è quindi un caso che condivida ben più di qualche elemento con un’opera che già negli anni ’90 aveva iniziato a dirigersi verso questa strada. L’Attacco dei Giganti è indubbiamente l’altra faccia di uno dei capolavori dell’animazione giapponese, ovvero Neon Genesis Evangelion di Hideaki Anno, serie con cui dialoga in modo forte ed esplicito in più di un’occasione, portandoci quindi a pensare che sia un’opera su cui si è fortemente costruito il lavoro di Isamaya.
Anno fu il primo a riplasmare il mecha sotto una chiave organica e a rendere questi robot in parte vivi, costruiti con tessuti e memorie umane mischiate alla tecnologia e in profondo legame con il proprio pilota, tanto che i danni sul mezzo influiscono negativamente sulla saluta del ‘children’ che lo guida. L’opera di Isayama è un proseguimento ideale di questa idea sempre più organica del mecha e della sua simbiosi con il ‘pilota’, tanto da identificarli in una singola unità vivente.
Appare abbastanza diretta la citazione con cui L’Attacco dei Giganti omaggia Evangelion: dove le entry plug dell’opera di Anno si posizionavano nell’unita Eva, ovvero nella parte posteriore del collo, si trova ora il corpo originale di chi si muta in gigante, legando indissolubilmente la figura del ‘children’ evangeliano a quella del ragazzo-gigante. Si trovano altre interessanti similitudini tra le due opere mettendo a confronto alcuni dei loro personaggi e delle soluzioni narrative.
Se da una parte campeggia l’idea del ‘Perfezionamento dell’uomo’ e la corrispettiva sparizione dell’umanità, come la intendiamo, dall’altra troviamo sia una volontà simile, cioè lo sterminio dell’uomo a eccezione del singolo popolo eldiano sull’isola Paradis che andrebbe a comporre una elitè scelta dell’umanità, sia la ricerca della creazione di un gigante perfetto che possa arrivare ad attingere da un potere assoluto (il gigante fondatore più il sangue reale come l’unione tra Adam e Eve in Evangelion).
Le folli idee della Nerv e della Seele di Evangelion vengono prese a ispirazione per le diverse teorie che personaggi come Eren, Zeke e i comandanti delle nazioni idealizzano come destino del genere umano.
Andando a confrontare alcuni personaggi notiamo come venga riproposto anche un meccanismo già utilizzato da Anno nella sua opera, questa volta in modo ancora più approfondito: come Shinji si trova di fronte alla scoperta della natura angelica, e quindi ‘nemica’ di Kaoru, in L’Attacco dei Giganti i protagonisti si troveranno nella stessa situazione di ambiguità.
Berthold, Reiner e Annie sono infiltrati esattamente come lo era Kaoru nella Nerv, giganti al soldo di Marley che si mischiano ai ragazzi dell’isola Paradis creando un legame forte con i loro nemici. Tutto questo dà vita in entrambe le opere a pesanti ripercussioni morali, e di conseguenza anche d’azione, nei personaggi ai due lati degli schieramenti , andando a rendere sempre più labile, nel caso di L’Attacco dei Giganti, il confine tra bene e male, tra amico e nemico.
Infine bisogna evidenziare come Eren e Shinji siano due facce della stessa medaglia, una il controcampo dell’altro, due personaggi su cui grava il peso dell’umanità intera, le cui scelte possono distruggere o salvare ogni singolo uomo sul pianeta. Un fardello non indifferente che piega continuamente lo sviluppo e le scelte dei due personaggi, vincolandoli a un destino profondamente simile e a una conclusione in parte condivisa.