Dal piccolo schermo (con consolle) al grande, arriva al cinema Five Nights at Freddy’s, nuovo film horror targato Blumhouse che attinge a piene mani dall’immaginario orrorifico dell’omonimo videogame di larghissimo successo. E come ogni adattamento esistente, resta sempre necessario fare una doverosa premessa, prima di addentrarci nella recensione.
Libri, fumetti, videogame: tre media differenti con linguaggi altrettanto differenti. La fedeltà della trasposizione può essere più o meno valida, ma non può essere una condizione base per giudicare il prodotto filmico finale. Ciò posto, le licenze poetiche usate da Emma Tammi, regista e co-sceneggiatrice, funzionali all’adattamento sono decisamente l’ultimo dei problemi.
Five Nights at Freddy’s, la Trama
Mike è un ragazzo turbato da un trauma passato che lo ossessiona e gli condiziona la vita. Non riesce a tenersi stretto un lavoro, non riesce a farsi ben volere dalla sorellina con cui vive in solitudine e tristezza. Giunto all’ennesimo licenziamento, sull’orlo del collasso sociale e finanziario, gli viene proposto di fare il guardiano notturno alla Freddy Fazbear’s.
Sebbene vi siano alcuni buoni successi, come Silent Hill ed il recente Super Mario Bros., sonori flop che oscillano nel guilty pleasure, come Resident Evil, o cult trash come MortalKombat e Street Fighter, l’asticella complessiva pende sensibilmente sul rosso flop. Quindi sembra essere quasi inevitabile aspettarsi il peggio ogni volta che si parla di un adattamento videogame-film. Il che può suonare quasi paradossale, visto come il cinema stia entrando nell’arte videoludica (leggasi alla voce Death Stranding e The Last Of Us).
In questo contesto di incertezza, si inserisce anche il qui presente Five Nights at Freddy’s, diretto da Emma Tammi e prodotto dalla sempre amabile (e odiabile) Blumhouse del re Mida dell’Horror Jason Blum. Questi ha di fatto rilanciato l’horror commerciale, producendo film che si inseriscono comodamente nella storia del genere, ma anche tanti altri da cestinare senza passar neanche dal via.
Eppure è innegabile che la Blumhouse si sta prendendo una larga fetta della storia del cinema contemporaneo. Film indipendenti a basso budget che macinano incassi a prescindere da una loro effettiva buona qualità . Anche grazie a brillanti campagne marketing, come nel caso del recente M3gan, dal quale è facile riscontrare ampie similitudini con questo Five Nights at Freddy’s.
Dalla bambola stile Furby ma con una IA a comando a pupazzoni animatronici assetati di sangue, almeno all’apparenza, visto che di sangue ce n’è ben poco. Salvo qualche scena vagamente splatter, Five Nights at Freddy’s preferisce seguire le orme del classico film horror per tutti, senza mai cadere nelle terribili volgarità della violenza. Il che, in fin dei conti, resta una scelta che in quanto tale può essere più o meno condivisibile rispetto la sensibilità dello spettatore.
Facile chiedersi cosa sarebbe potuto essere un film del genere se solo fosse uscito negli anni Ottanta. Senza fantasticare, Five Nights at Freddy’s ci vuole raccontare una storia, evitando che la stessa diventi un mero pretesto per tirar su uno spettacolo grandguignolesco fatto di teneri orsacchiottoni che bramano morte. Vuole raccontare una storia che definisca bene i personaggi, le loro intenzioni, le loro vite al collasso. Vuole raccontare una storia dove c’è un male quantomai umano e difficilmente da eradicare in certe persone.
Five Nights at Freddy’s vuole fare e dire tante cose ma purtroppo non riesce neanche in una, se non in quella di creare un film quantomai innocuo e confuso in tutto e per tutto. Dopo un incipit dal retrogusto di clip promozionale, il film prosegue andando ad indagare traumi del presente e del passato, con un un Josh Hutcherson tormentato dalla vita che lo circonda e da una sorella strana che sembra non apprezzarlo a sufficienza. Viene però da chiedersi cosa faccia lui per farsi ben volere dalla povera e isolata Abby.
Messo alla luce il trauma che lo tormenta, arriviamo quindi a circa metà film in cui inizia la danza del guardiano notturno, dove il punto focale è l’arrivo dal nulla di Vanessa (Elizabeth Lail), una poliziotta che sembra conoscere benissimo il posto, così come il segreto che porta dietro. Segreto che verrà svelato quando l’ex Percy Jackson che fu si trova costretto a portarsi a lavoro la sorellina a causa di un complotto ordito (e finito malissimo) dalla zia e portato avanti dal fidanzato della babysitter di Abby. Si può riprendere fiato, adesso.
Insomma c’è tanta, troppa, carne al fuoco, al punto che tutto quanto inizia piano piano a bruciarsi, fino ad arrivare al finale del film che lascia quantomeno interdetti e con moltissime domande prive di risposta. Su tutte, resta difficile comprendere eventuali poteri psichici di Abby, che comunica con i pupazzi (e chi li “abita“) via disegni.
Nonostante Five Nights at Freddy’s costruisca buone suggestioni visive, queste non vengono mai sfruttate a pieno, come se sceneggiatura e regia avessero il timore di far troppa paura. Insomma, il film snatura se stesso minuto dopo minuto, proponendosi come horror ma distanziandosi dal genere non appena ne entra in contatto. I tanto amabili jumpscare, marchio di fabbrica della Blumhouse, restano pochi e costruiti con una prevedibilità tale da non scalfire nessuno.
Un vero peccato, considerando il potenziale che una storia del genere poteva avere, anche e soprattutto grazie alle ampie licenze poetiche che di fatto il videogioco lascia agli sceneggiatori. Una storia basilare che poteva essere molto ma che alla fine è davvero poco, quasi niente.