Una missine che è rimasta nella storia di Call of Duty per via dei limiti morali che affronta. Voi, giocandola, come vi siete comportati?
La missione
“Niente russo” (“No russian”) è una celebre missione di Call of Duty: Modern Warfare 2, del 2009. Rimane uno dei momenti più controversi di tutta la saga nonché della storia dei videogiochi, per una ragione semplice: nella missione viene chiesto al player di prendere parte attiva a un attentato terroristico in un aeroporto di Mosca.
L’obiettivo è quello di portare a termine i piani allucinanti del terrorista russo Vladimir Makarov, facendo ricadere la colpa dell’attentato sugli americani (i perpetratori parlano solo in inglese e non in russo a questo fine, da cui il nome della missione). Lo scopo ultimo è quello dello scoppio di un conflitto est-ovest, lo stesso paventato da sempre.
Il dilemma
Parlando di gameplay effettivo, iniziano i problemi. Quello che viene rappresentato è un vero e proprio attentato terroristico, molto realistico e violento per giunta, nel quale vittime innocenti vengono trucidate a puro scopo dimostrativo, cosa che costituisce la base del terrorismo di ogni sorta. Il player deve scegliere se prendere parte o meno al massacro.
Per fortuna ha a sua disposizione più scelte. Può anche non agire e lasciare che siano gli altri terroristi a portare a termine le terribili azioni; oppure può partecipare attivamente, affrontando il dilemma della messa in scena videoludica di azioni che nella realtà sarebbero illegali, e terribili. Per finire, per fortuna, la missione si può anche saltare a piè pari senza che questo influisca sui progressi nel gioco.
Gioco vs. realtà
La problematica è annosa e risale almeno agli anni ’80 per quel che riguarda certi contenuti videoludici: è giusto rappresentare violenza, sesso o altre situazioni esplicite, in virtù del realismo, alle quali però viene richiesto al player di prender parte? Infatti questo tipo di problema non si pone con i film o, meglio, si pone a metà perché lì ci si limita solo a “guardare”.
Con i videogiochi, ovviamente, è diverso. Ma c’è anche da dire che lo scopo dell’arte non è solo rilassare e intrattenere, ma anche di provocare e mettere di fronte ciascuno di noi ai propri limiti. La domanda quindi “come mi comporterei in quella situazione?” è attuale e incide nel profondo della moralità di ciascuno di noi. Sono questioni che vanno poste, tanto più scabrose sono, a maggior ragione.
Un confronto si può fare con una sequenza altrettanto famosa, in GTA V, nel quale il personaggio dello psicopatico Trevor si ritrova a dover torturare in vari modi e infine a cavare i denti a un uomo che deve interrogare. Un’escalation di violenza orripilante che, per inciso, viene da noi: il player deve compiere queste azioni terribili interattivamente, non lo fa il computer.
Inoltre, a differenza che in CoD, questa missione di GTA V non si può saltare: è obbligatoria, non si può finire il gioco senza passarci attraverso. Un momento altrettanto discusso e condannato e difeso da più parti, che è entrato a sua volta nella storia dei videogiochi e ci pone la medesima questione: ha senso mettere il player di fronte a questo tipo di problema, portandolo a mettere in dubbio la sua stessa bussola morale? Per noi la risposta è sì, per quanto gli estremi a cui conduce possono certo essere discutibili.