L’ultima fatica di Martin ScorseseKillers of the Flower Moon, basato sull’omonimo libro di saggistica di David Grann del 2017, è incentrato sulla narrazione di un vero e proprio regno del terrore, che la Nazione Osage ha subito con gli omicidi di almeno 60 membri della comunità alla fine degli anni 1920. Il film racconta questa storia di cronaca nera attraverso lo sguardo di un matrimonio tra Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), un veterano della prima guerra mondiale che si trasferisce in Oklahoma per lavorare per suo zio William, e Mollie Burkhart (Lily Gladstone), una donna Osage locale la cui famiglia era una delle più ricche della comunità.
Ma questa storia da dove inizia? Perchè inizia? Era inevitabile? Tante domande che necessitano di andare per ordine. Nel 1887 ci fu l’approvazione del Dawes Act (Legge volta all’assegnazione di terre ai nativi nelle varie riserve, e per estendere la protezione delle leggi degli Stati Uniti sui nativi americani) e ciò portò la popolazione nativa ad acquisire per la prima volta un rapporto di natura capitalistico con la propria terra e, obiettivo dell’ideatore della riforma, di “americanizzare” i nativi.
Quando il governo degli Stati Uniti costrinse gli Osage a lasciare le loro terre del Kansas e a trasferirsi nel nord-est dell’Oklahoma, i nativi acquistarono la loro riserva in quest stato, una decisione rivoluzionaria che diede loro i diritti sulla loro nuova terra. Il governo degli Stati Uniti pensava che l’area dell’Oklahoma di proprietà degli Osage fosse priva di valore, ma tutti scoprirono presto che poggiava sul più florido giacimento petrolifero di tutti gli Stati Uniti. Una fortuna colossale che rese il popolo degli Osage come il più ricco al mondo per ricchezza pro capite.
Qualsiasi petroliere che voleva sfruttare i giacimenti petroliferi degli Osage doveva pagare loro sia i contratti di locazione per estrarre il petrolio, sia le royalties sui profitti. Solo nel 1923, gli Osage guadagnarono 30 milioni di dollari in royalties (circa 540 milioni di dollari di oggi). I figli nativi frequentavano le migliori scuole in Europa, compravano vestiti alla moda a Parigi. Erano appassionati di automobili, ed in media ciascuno di loro negli anni venti, come ci viene detto in Killers of the Flower moon, possedeva dieci automobili di lusso.
Quello che sembra la conclusione di una fiaba e la vera apoteosi del sogno americano divenne in realtà l’inizio di un incubo. Una tragedia che, grazie al Dawes Act , aveva fondamenta legali per potersi attuare. Gli effetti dell’atto furono catastrofici per la sovranità, la cultura e l’identità dei nativi americani poiché autorizzavano il governo degli Stati Uniti a:
Impedire legalmente il diritto sovrano degli indiani ad autodefinirsi
Implementava la nozione capziosa di quantismo sanguigno come criterio legale per definire gli indiani
Istituzionalizzava le divisioni tra “sangue puro” e “sangue misto
Si appropriava legalmente di vasti tratti di terra indiana.
Il senatore Teller, strenuissimo oppositore della riforma e profeta di ciò che sarebbe inevitabilmente accaduto commentò:
“Il vero scopo [dell’assegnazione] è quello di raggiungere le terre indiane e aprirle all’insediamento. Le disposizioni, a beneficio apparente dei nativi americani, non sono che il pretesto per raggiungere le loro terre e occuparle. Se ciò fosse fatto in nome dell’avidità, sarebbe già abbastanza grave, ma farlo in nome dell’umanità è infinitamente peggio.