Sex Education 4: la recensione della stagione finale
La quarta stagione di Sex Education conclude la serie in un setting, più surreale che mai, e senza dimenticare i suoi aspetti corali ed emotivi. Ecco quello che ci è piaciuto e quello che invece poteva essere migliore.
Dopo essersi fatta attendere per due anni, ieri è stata rilasciata su Netflix la quarta stagione di Sex Education, che rappresenta anche il capitolo finale della serie.
Finalmente è possibile tornare a seguire le nuove avventure di Otis, Maeve, Eric e (quasi) tutti gli altri studenti e personaggi a cui ci siamo affezionati negli ultimi anni, e riaprire una finestra (seppur conclusiva) sulle loro vicende sentimentali, sessuali e familiari.
Chi non ha seguito le news sulla serie in questi due anni sarà sorpreso e forse un po’ dispiaciuto di vedere che alcuni membri del cast sono misteriosamente spariti, come annunciato alla stampa. Tuttavia la serie, tranne che per un paio di eccezioni, non ne risente particolarmente e continua a intrattenerci con le sue nuove storie rimanendo tematicamente coerente e sempre (forse troppo) corale.
Sex Education: trama (senza spoiler)
Durante l’ultima stagione avevamo – finalmente – assistito alla dichiarazione reciproca dei sentimenti tra Otis e Maeve subito messi alla prova dalla partenza di lei per gli Stati Uniti per frequentare un prestigioso corso di scrittura e seguire il suo sogno.
Ed è lì che ritroviamo Maeve, alle prese con un nuovo gruppo di amici e con il (guarda un po’) eccentrico insegnante di scrittura creativa. Otis, invece, è rimasto a Moordale, e dopo la chiusura del Moordale Elementary sta per cominciare un nuovo liceo, Il Cavendish Form College insieme ad Eric, Aimee, Ruby (separata dalle sue fedeli compagne) Cal, Viv e Jackson.
Gli ex studenti Moordale scopriranno di essere finiti in un ambiente iper-progressista, regno del politically-correct, che funziona tanto diversamente rispetto alle altre scuole che la popolarità si conquista essendo gentili e carini col prossimo. Fuori dalle mura scolastiche, Adam esplora percorsi alternativi di carriera mentre Jean, rimasta inspiegabilmente da sola, è alle prese con una difficile maternità.
Adattarsi alla nuova realtà scolastica sarà una sfida non da pocoper Otis, deciso a continuare il suo lavoro di Terapista Sessuale e a mantenere la relazione a distanza con Maeve. Eric, invece, perfettamente integrato nel nuovo ambiente, stringerà nuove amicizie che lo porteranno lontano da Otis e si troverà a dover rivalutare il suo rapporto con la cristianità e a mettere in discussione il suo senso di appartenenza alla comunità in cui è cresciuto.
Un mondo (fin troppo) incredibile
Infine, le vicende amorose di Viv, personaggio introdotto nella seconda stagione e migliore amica di Jackson, hanno seriamente rischiato di finire nel secondo gruppo ma, nel mare di ottimismo sull’umanità tipico di Sex Education, la sua storyline si “salva” in calcio d’angolo aprendosi alla problematica dell’abuso e la mania di controllo comune a molte relazioni eterosessuali (e non solo). Così com’era stato per la questione delle molestie subite da Aimee (che anche in questa stagione trova un suo posto) approfondire questi temi si rivela non solo attuale ed efficace, ma anche necessario.
Avevamo già capito che il mondo di Sex Education fosse piuttosto fantastico e senza pretese di iperrealismo, basti pensare al setting e ai costumi senza tempo (seppur vagamente anni ’80), gli intesi colori della fotografia e la a volte paradossale rappresentazione della sessualità adolescenziale (ne parlavamo qui). Eppure quello che ci è sempre piaciuto della serie era che, nonostante tutto, ci si potesse immedesimare nelle storie presentate, che pur avvenendo in un mondo semi-fictional, rappresentava temi e problemi reali, facendosi portatore di riflessioni sociali di un certo valore. In questo senso però la quarta stagione di Sex Education non parte benissimo, allontanandosi, col nuovo setting di Cavendish, ancora di più dal mondo in cui viviamo, tanto che risulta difficile capire dove voglia andare a parare. Un po’ sopraffatti, viene da chiedersi a questo punto: dove è giusto che finisca la finzione e incominci la realtà?
La Cavendish School è un luogo mitologico, ultra-queer, una scuola sostenibile con silent disco, aule yoga, e dove si cerca addirittura di non fare gossip sul prossimo. Questa radicalizzazione risulta completamente estranea alle realtà che conosciamo, e prima di apprezzarne i lati positivi, viene istintivamente da empatizzare con lo scetticismo e l’insofferenza di Ruby, che non trova il suo spazio in questo ambiente così peculiare. A maggior ragione, vista la natura anti-convenzionale di Sex Education, sarebbe stato bello andare più a fondo rispetto alle contraddizioni che la mentalità Woke può avere quando diventa estrema ma questo aspetto viene solamente accennato e, alla fine, lo si fa confluire in una risoluzione poco approfondita che si limita all’ammettere che anche il gossip è divertente e che non si può sempre essere felici.
Se questa mancanza di presa di posizione non ci disturba troppo perché poco é sicuramente meglio di niente, non ci aiuta però a rispondere alla domanda di cui sopra: è giusto ambientare una serie TV in un posto così lontano dalla realtà? E’ giusto mostrare una scuola dove è completamente accettato essere queer (anzi, sembra addirittura meglio che non esserlo, tant’è che le tre persone più popolari della scuola lo sono), quando nelle nostre scuole, non solo in Italia ma nel mondo occidentale tutto, essere queer, gay o trans è un problema eccome?
Una risposta definitiva forse non c’è, ma la riflessione sorge spontanea. Se da un lato è interessante mettere sul tavolo una situazione del genere, quasi utopica, con tutta la sua luminosa aurea di progresso ed è bello alla fine concordare che il mondo sarebbe un po’ migliore se fosse così…quando spegniamo Netflix, ci ritroviamo nel nostro angolo di mondo, ancora arretratissimo e con tantissimi step molto più basilari da compiere. E la magia finisce.
Sex Education 4: quante storie!
Una delle ragioni con cui si erano giustificate le molte uscite da parte di membri del cast anche noti (tra cui Tanya Reynolds e Patricia Allison, rispettivamente Lily e Ola) era che la serie volesse cercare di essere meno corale, dando importanza alle diverse storie personali di tutti, col risultato di perdere il focus su quelle che – diciamocelo – davvero ci interessano, ovvero le principali (Otis e famiglia, e Otis e Maeve) e poche altre.
Nella quarta stagione c’è qualche cambiamento in questo senso, ci sono nuovi personaggi che però non prendono il sopravvento ed è apprezzabile, ma resta la volontà – anche comprensibile – di renderla un’opera dalle tante voci che purtroppo ogni tanto disperde troppo il suo obiettivo da quello che veramente ci interessava vedere.
Cosa ci interessava davvero
Anche se l’ultima stagione di Sex Education cerca di focalizzarsi di più su Otis e Maeve e sulla clinica del sesso, resta comunque il ruolo significativo di alcuni personaggi secondari, tra cui Eric e Jean (la mamma di Otis sempre interpretata dalla bravissima Gillian Anderson) che però accettiamo perché genuinamente interessati alle loro sorti e perché, soprattutto nella stagione 4 portano avanti delle tematiche rilevanti. Un esempio è il tema della depressione e di come possa influenzare e “traumatizzare” non solo chi ne fa esperienza diretta, che, sebbene un po’ frettolosamente e solo alla fine, fa luce anche su alcuni aspetti personali del nostro protagonista.
Non ci dispiace neanche l’evoluzione di Adam e il rapporto con suo padre, anche se fin troppo approfondita. Decisamente degna di nota è invece la difficile situazione di Cal che affronta la transizione come tante persone, purtroppo, sono costrette ad affrontarla: senza mezzi economici e quindi più dolorosamente di quanto sia necessario, oltre che – spesso- combattendo una solitudine atavica di cui è difficile rendere partecipe gli altri.
Cosa non ci interessava
Lo stesso non si può dire purtroppo di altre scelte di focus che sono state fatte, in primis quella su Jackson, pupillo delle prime due stagioni di cui avevamo già parzialmente perso interesse nella stagione 3. Se la questione dell’ansia da prestazione e le pressioni genitoriali erano interessanti da portare in TV, la sua storyline questa stagione è sempre più debole, cade nel cliché e sembra piuttosto futile.
Non sono particolarmente degne di nota invece altre vicende a cui si è dedicato spazio nella stagione 4, seppur minimo, tra cui quello di Joanna, sorella di Jean, classica sorella problematica e dalla storia turbolenta, sbucata fuori dal nulla. Ça va sans dire, ci sarebbe invece interessato capire come mai Jean è rimasta da sola, e in che termini è finita la relazione con Jakob alla quale pure ci eravamo appassionati e a cui si era dato tantissimo spazio in precedenza. Ma le scelte di casting hanno deciso così.
La magia di Sex Education
Nonostante queste note amare, una volta terminata la visione di tutti gli episodi bisogna ammettere che anche la stagione 4 di Sex Education riesce trovare un posto nel nostro archivio di cose belle.
E dopo un po’ di perplessità e qualche episodio desolante ecco che dalla settima puntata torna la luce, la magia unica di Sex Education si compie e, come è stato per le ultime stagioni, ci si ritrova commossi ed emozionati senza capire bene come.
Sarà che dietro all’ottimismo estremo e ai momenti di apatia e awkwardness sociale tutta british (si veda l’episodio del funerale), la serie si predispone sempre al tuffo sincero e profondo nell’emotività umana e, con momenti di scrittura toccanti, arriva a stuzzicare le corde giuste.
Anche questa stagione non fa eccezione: gli ultimi due episodi ci ricordano perché l’abbiamo amata e ci sale un po’ di malinconia al pensiero di salutare questi amici (vecchi e nuovi) che ci hanno accompagnato negli ultimi 5 anni, beccando appieno il periodo di pandemia Covid-19.
Malgrado tutto, è stato un piacere conoscersi, e il mondo colorato di Moordale ci mancherà molto.
Migliore citazione
“Non credo che dovresti sopprimere queste sensazioni. Perché é così che il cuore spezzato diventa irrisolto e si trasforma in qualcosa di più amaro”.