A proposito di Bilbo, proprio il volto di Gollum sembriamo scorgere nel suo, follemente, quando in un impeto di rabbia cerca di riappropriarsi dell’anello appena affidato a Frodo. Torna subito in sé, ma ci è chiaro che se avesse tenuto l’anello ancora non sarebbe diventato diverso da Gollum. Quest’ultimo infatti rappresenta la fase “finale” di ciò che accade a chi non riesce a liberarsi del prezioso oggetto.
Ma, e qui sta la grandezza del personaggio, nella poetica di Tolkien anche un personaggio come Gollum è degno di redenzione. Infatti il misero essere cerca di aiutare Frodo e Sam, combattuto tra il voler impossessarsi di nuovo dell’anello e il voler aiutare a distruggerlo, conscio del potere che esercita e di cosa potrebbe causare nelle mani sbagliate.
Gollum è in realtà solo un piccolo personaggio coinvolto in eventi molto più grandi di lui, che nemmeno comprende; eppure, sue sono le azioni fondamentali che consentono, pur tra tradimenti, inquietanti soliloqui e strategie psicologiche, a Frodo e Sam di giungere al Monte Fato. Dove sappiamo che cosa succede: cercando di sottrarre a Frodo l’anello all’ultimo momento, Gollum precipita nella lava assieme al monile.
Una fine degna di una parabola esemplare: il più egoista e ignaro possessore dell’anello ne segna la distruzione, riunendo i suoi due lati di “bene” e “male” in un gesto puramente istintivo che si traduce in una punizione che è anche un sospirato sollievo. Il potere che distrugge sé stesso per via della sua stessa natura imperfetta e corruttrice, nelle mani avide di Gollum.