Barbie il film: ecco perchè non è affatto “anti-maschile”

La nuova commedia di Barbie è stata accusata da alcuni di "misandria", cioè di incitare all'odio verso gli uomini. In realtà il film dispiega una moltitudine di messaggi, e se è vero che ridicolizza gli elementi tossici della mascolinità, la satira è rivolta a un nemico comune a uomini e donne: il patriarcato

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Barbie: una dedica di Greta Gerwig alle donne

A chi non conosce bene la regista e la sua personale poetica femminista, può sembrare quindi che il film sia semplicemente quello che appare, ma non lo è. I messaggi disseminati nel film di Barbie sono molteplici, e bisogna stare attenti a non lasciarsi sfuggire quelli essenziali.

Greta Gerwig è una voce autoriale moderna e dal pensiero profondo e intelligente, che in tutti i suoi lavori, da regista e da attrice, ha scelto in maniera più netta di altre di rappresentare le donne per come lei le vede, belle, forti, fragili: meravigliosamente complesse. La scelta di parlare di donne, però, non è mai esclusiva dell’uomo, a cui la Gerwig riconosce un ruolo complementare ed essenziale nel mondo e nella vita femminile. In “Piccole Donne”, il ruolo di Laurie (interpretato da Timothée Chalamet), è forse uno dei più interessanti e dolci del film. È il ruolo di un alleato, di un compagno di giochi e di vita per le sorelle March, che va ben oltre il semplice interesse romantico.

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Timothée Chalamet (Laurie) e Saoirse Ronan (Jo March) in una scena di “Piccole Donne”, diretto da Greta Gerwig – © Warner Bros. 2019

Se però “Piccole Donne” è un’opera di fama mondiale, un capo saldo letterario di formazione e coming of age a cui la Gerwig ha regalato la delicatezza dello sguardo e la sua interpretazione moderna senza – giustamente – stravolgerlo, con Barbie l’operazione è stata più totalizzante e creativa, e l’impronta, anche grazie alla scrittura bizzarra e incisiva di Noah Baumbach, più marcata ed esplicita.

Raccolta la sfida della Mattel di raccontare la bambola più famosa del mondo, la regista ha trovato il modo di renderle giustizia, sdrammatizzando la sua anima commerciale e sfruttando invece la sua componente pop, per dare sì la sua chiave di lettura, ma arricchendo la trama di tantissimi altri elementi spiccatamente moderni. C’è chi ha parlato di divulgazione sovversiva femminista, ma c’è da chiedersi se sia veramente questo l’intento, o se il film voglia in primis divertire e intrattenere, e solo in secondo luogo far passare dei messaggi (più o meno subliminali) sul mondo moderno, frutto di secoli di patriarcato.

In questo senso, pur volendo far divertire e riflettere anche il pubblico maschile, in “Barbie“, Gerwig sceglie ancora una volta di mandare la maggior parte dei messaggi subliminali al pubblico a cui le sta più a cuore parlare: le donne.

Un risveglio (sopra)tutto femminile

Non è un segreto, ma non è neanche scontato: il patriarcato esiste anche e – talvolta – soprattutto, nella mente delle donne. Le frecciatine alle spettatrici sono più sottili, è vero, più nascoste, eppure estremamente potenti. Appena rientrata a Barbieland (ormai Kendom), Barbie Stereotipo resta inorridita nel vedere le sue amiche, premio Nobel per la letteratura, dottoresse, fisiche, prima considerate donne modello ed emancipate, ridotte a semplici cheerleeder di una testosteronica partita di Beach Volley dei Ken. La Barbie Sirena (interpretata da Dua Lipa) che prima dominava la scena con il suo “Ciao Barbie!” dalle onde, arriva adesso seconda dopo il suo Ken sirenetto (John Cena), e solo ed esclusivamente per portare una bevanda fredda al suo “maschione”. In questo contesto ribaltato rispetto all’(apparente) idilliaca Barbieland, viene più volte ripetuto dalle Barbie, sottoposte al “lavaggio di cervello” del patriarcato, che è più bello evitare di prendere decisioni, azzerare il cervello e far decidere agli uomini. Che rumore fa una freccia potente che sferza l’aria? Questo.

La nota più amara della Gerwig emerge quindi nella delusione tutta femminile di rappresentare le donne non credere in se stesse e considerarsi solamente in funzione degli uomini. Una situazione che si riscontra ancora oggi, purtroppo, nel “civilissimo” mondo occidentale, quando le donne commettono l’errore di vedersi con gli occhi degli uomini. Questa sfumatura viene fatta rafforzata dalla stessa protagonista, Barbie Stereotipo, quando, buttata a terra, ora davvero come una bambola senza vita, si abbandona all’auto-commiserazione e al senso di inadeguatezza, convinta per un attimo di “non essere abbastanza”.

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Una scena del film “Barbie” . ©Warner Bros 2023

Ed ecco che arriva la soluzione semplice ma rivoluzionaria a questo problema, l’alleanza tra donne. La sisterhood, la sorellanza, è ciò che riscuote le Barbie assopite dal loro torpore e le porta a “vincere” sul patriarcato (almeno nel mondo di Barbieland).

Tuttavia questo spirito di solidarietà e non di malevolenza tra le donne, sebbene augurato, è sempre molto più complesso nel mondo moderno. La regista, sotto sotto, sembra esserne consapevole, e lascia un indizio aspro nel monologo di Gloria (America Ferrera) “Sii sempre grata, mai essere sopra le righe o troppo bella da minacciare la sorellanza”.

Ma il vero finale arriva dopo: Barbie si riappacifica con Ken ma rifiuta il suo lieto fine romantico e deve riaffermare la sua identità come donna reale, Ken si rende conto di essere “Kenough”, abbastanza, e risolve la sua, di crisi di identità, tutta causata dalla sua umana insicurezza, che è legittimo riconoscere negli uomini, quanto nelle donne. Crolla il patriarcato a Barbieland e crollano tutte le altre convenzioni sociali ad esso legate (più di quante pensiamo): il CEO di Mattel, liberato, può finalmente fare il solletico a tutti durante i meeting, senza paura di essere giudicato poco mascolino e autorevole.

A prosito di solletici, è il momento di approdare ad un ultimo spunto di riflessione: non è che, alla fine, che stiamo prendendo il film più seriamente di quanto si prenda il film stesso?  

Un film parodico, molto più che satirico

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Barbie (Margot Robbie) mostra alle sue amiche Barbie i suoi talloni a terra. – © Warner Bros 2023.

Le marchette palesi e auto-ironizzanti di Mattel, Barbie con i piedi piatti, la trama stessa. Barbie che attraversa diversi mondi e scenari fino ad approdare, con i roller-blade, a Venice Beach, nel mondo reale. E viceversa, è possibile per chiunque arrivare a Barbieland, basta indossare dei pattini verso una direzione non meglio specificata del lungomare. Barbie “pensieri di morte”, la casa Villa Mojo-Dojo di Ken, che appena viene creata a Barbieland fa successo sugli scaffali dei negozi di giocatolli nel mondo reale…La lista di elementi assurdi e fantastici del film, che un po’ come “Everything Everywhere All At Once” inventa le sue regole narrative e ci sviluppa la trama intorno in maniera quasi randomica, é potenzialmente lunghissima. Gli spettatori non possono che stare al gioco e seguire la bizzarria dell’intreccio, che in questo non ha nessuna pretesa di credibilità, e vuole più che altro riempire la sala di risate.

Il tono del film è dichiaratamente parodico, dall’inizio alla fine, per cui anche le riflessioni che suscita vanno prese con la giusta leggerezza, e sarebbe doppiamente assurdo sentirsene minacciati.

L’unica rottura del tono leggero può forse essere lo sfogo del personaggio di America Ferrera su quanto sia difficile essere donna nel mondo reale (e persino in quello immaginario), che è una sorta di signature della regista che fa spazio alla sua voce, come lo era stato il celebre monologo pronunciato da Jo March in “Piccole Donne”. Ma, come abbiamo detto, “Barbie” è un progetto molto diverso da Piccole Donne, e perfino il monologo della Ferrera, che arriva alle coscienze femminili come un pugno allo stomaco, viene subito riconsegnato alla parodia, quando le Barbie decidono di usarlo come antidoto per risvegliare le coscienze delle altre Barbie

E qui torniamo alla complessità della voce di Greta Gerwig, che è tante cose, ma mai banale e mai univoca. Lo stesso grande discorso, anche se esprime le sue stesse convinzioni di donna, può essere denso di significato socio-culturale e retoricamente perfetto nel risvegliare le coscienze, ma subito sdrammatizzato e reinserito nei toni leggeri come mero strumento di trama.

Il film, in ultima analisi, è una composizione esteticamente originale, ma complessa, di messaggi di valore socio-culturali, che rientra appieno nei canoni della commedia. Non è però una commedia qualunque, ma un progetto ambizioso, non tanto di “risveglio di coscienze collettive”, quanto di equilibrio tra intrattenimento e riflessione, che mira a far passare qualcosa (forse non tutto) a tutti. E in questo speriamo che possa considerarsi un grande successo, e che, nel riguardarlo, emergano ogni volta le diverse chiavi di lettura di cui si compone.

Allora, vi abbiamo convinti?

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