Marco Giallini ha rilasciato un’intervista aLa Confessione di Peter Gomez, nella quale è tornato a parlare di sua moglie Loredana, scomparsa nel 2011 (qui tutta la sua triste storia).
Un lutto del genere non si può metabolizzare. Ma poi perché lo si deve metabolizzare? Lo metabolizzi, ma poi rimane.
L’intervistato gli fa quindi presente come a più riprese l’attore abbia confessato il rammarico per il fatto che Loredana non abbia visto il suo successo:
Sembra retorico, ma non lo è. Quando avevamo 300 euro in banca, lei, ridendo con le amiche, diceva: “Io ho fatto un investimento”. Diceva che era un investimento perché in qualche modo sapeva che qualcosa avrei combinato. Ma più che per la mia carriera, mi dispiace per i miei figli. Non voglio far piangere nessuno in televisione, ma insomma per due ragazzini, uno di 5 anni e uno di 12, che stanno andando al mare, una cosa così improvvisa è qualcosa di terribile. Questo è terribile per me, è terribile per chi l’ha subito ieri e per chi lo subirà. E speriamo che non succeda più a nessuno, ma è un augurio inutile
Questa non è sicuramente la prima volta che Marco Giallini racconta questa terribile storia. Qualche tempo fa infatti, parlando con Il Corriere della Sera,aveva detto:
Alla fine, io sto in lockdown da quando è morta Loredana – aveva detto l’interprete di Rocco Schiavone. Quello è il momento in cui ho deciso di diventare popolare. L’ho deciso proprio, perché sarei uno che s’adagia, sono pigro, ammazza come sono pigro. Nel senso che ancora aspetto di giocare con la Roma. Ero arrivato qui, a Tor Lupara, per Loredana. Ci siamo messi in 40 metri, non eravamo abbienti. Ci siamo sposati nel ’93, facevo teatro e altri lavori, però avevo ripreso la scuola, mi ero iscritto a Lettere e a scuola di recitazione. Ero diventato bravo, colto, oltre che bandito.
Facevo l’imbianchino, otto ore. E la sera, la scuola di teatro. Poi, otto ore erano troppe. Ho iniziato a portare il camion delle bibite, la mattina. Dopo, tornavo a casa, doccia, prendevo il mio Yamaha, andavo a scuola. Parcheggiavo contro il muro, non avevo manco il cavalletto e entravo, col chiodo, i capelli lunghi. Boom! A volte, mi prendevano per uno spettacolo. Un giorno, per strada, avevo il cappello di carta da muratore, incontro un collega attore. Mi guarda: “Ma che fai?” E io: “Stamo a fa’ un film”. Il pensiero che lei rientri a casa da un momento all’altro dura due anni, poi, capisci che morire è prassi. Non a 40 anni. Non fra le mie braccia, mentre prendiamo le valigie per le vacanze. Ma non sono l’unico a cui è successo.Il dolore non passa mai, al massimo ti dimentichi un po’ la voce. Io ci parlo ancora. Quando sto solo e qualcosa non va, dico ‘Eh, amore mio…’