La Certa: la profonda metafora della morte in uno dei testi più poetici di Caparezza [VIDEO]

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La morte si rivolge direttamente a un individuo, che può essere chiunque (Caparezza stesso?), invitandolo a una sfida con lei come ne Il Settimo Sigillo e in questo senso facendo da avversaria ma anche da perenne stimolo, incitando l’essere umano a rubarle quanto più tempo possibile e a far del sul meglio per sottrarsi a lei, meglio e più a lungo possibile.

Non chiamarmi prostituta
Perché tutti giacciono con me
Da chi va nei posti in tuta
A chi ha diamanti nei collier
Quando arrivo così nuda
Abbassi gli occhi, “Texas hold’em”
Mai nessuno mi rifiuta
Se punto il dito come Uncle Sam
Prima che l’uscio si chiuda
Voglio che tu viva la tua vita proprio come se ne avessi una
Ogni trama e tessitura
Vorresti dimenticarmi ma tutto parla di me
Che sono l’unica realtà evidente
Ti immagini non ci fossi?
Di sicuro non avresti combinato la metà di niente
Sono anni che ti sprono a dare il meglio
Ma tu vivi nelle ombre degli inganni
Forse quando partiremo sarai vecchio
Con le tue valigie colme di rimpianti
Non puoi comprarmi
Nemmeno con tutti gli ori dei Nibelunghi
Di sicuro sarai mio, sì, puoi contarci
Quel giorno sarai migliore, quasi per tutti

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La morte non è una puttana (a differenza della vita) perché si concede a tutti e nessuno le può scappare. L’allegoria prosegue nel ritrarre un eterno gioco fatto anche di strategie, ma nel quale lei ci tiene a non passare per “cattiva” solo perché inevitabile, portando anzi a riflettere sulle possibilità che la sua presenza può condurre ciascun individuo ad abbracciare.

Negli ultimi due versi viene in mente poi la stessa “finta morte” di Caparezza, da lui inscenata in Annunciatemi al Pubblico nel 2006. Ironico che in quel caso, dando voce ai presenti al suo funerale, Capa non si veda affatto tramite i loro occhi come “migliore”, ma tutto il contrario. E noi, del resto, saremmo sicuri di voler sentire cosa penserebbero di noi una volta che non ci saremo più?

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