Quando The Blair Witch Project, al pubblico venne fatto credere che ciò che si vedeva nel film fosse realmente avvenuto: come creare un horror cult con una semplice idea geniale
1999: The Blair Witch Project esce nelle sale e conquista il pubblico di tutto il mondo con un’estetica unica e un’idea semplice: quella del found footage, il montaggio di alcuni filmati girati da tre studenti dispersi e mai più ritrovati in una foresta del Maryland. La premessa è terrificante, visto quello che si vede nel film.
Heather, Michael e Joshua s’inoltrano nella foresta alla ricerca delle tracce dei misfatti della leggendaria strega di Blair, una figura che credono appartenga al folklore locale, sorta negli anni per spiegare diversi delitti misteriosi nei dintorni. Presto, i tre ragazzi scoprono che la leggenda cela molti retroscena concreti.
I tre si perdono nella foresta, girando in tondo e sentendo strani rumori, imbattendosi in inquietanti figure create con bastoncini di legno. Presto i loro nervi cedono, quando si rendono conto di non riuscire a ritrovare la strada per la macchina. Poi uno di loro sparisce misteriosamente, e gli eventi precipitano in una spirale di terrore.
Nella scena finale, criptica quanto efficace nel terrificare senza mostrare nulla di chiaro, i tre si ritrovano in una casa abbandonata adornata da grotteschi disegni. Una forza sovrannaturale sta chiaramente agendo contro di loro, ma non ci è dato di sapere di più: la telecamera cade a terra e inquadra il nulla, e il film finisce. Non sappiamo che ne è stato di loro, se sono morti o no.
Terrificante, davvero. Ma, piccolo particolare: è tutto finto. I tre sono attori, diretti da Daniel Myrick e Eduardo Sánchez, gli ideatori del progetto. La cui vera natura, tuttavia, viene tenuta nascosta al pubblico: il film viene fatto passare come un vero documentario girato dagli studenti dispersi, un’idea che ha rivoluzionato l’intero genere mockumentary ma anche quello horror.
La release del film viene accompagnata dall’apertura di un sito dedicato, che presenta rapporti della polizia sulla scomparsa dei protagonisti. I due registi promuovono il film distribuendo volantini con i loro volti, e nella storia molte delle persone intervistate all’inizio non sanno in che contesto compariranno; tutti espedienti per aumentare il realismo e l’aura di curiosità attorno al “progetto”.
La genialità nella realizzazione di una tale strategia promozionale prosegue nel film, laddove (dati anche i mezzi limitati, trattandosi di un film indipendente) la storia ci mostra più che altro le reazioni spaventate dei tre ragazzi in un inteso studio psicologico da manuale ma per il resto poco altro: nessuna strega, nessun evento sovrannaturale e nessun autentico jumpscare.
Un horror che quindi contrasta fortemente con tutti i classici del genere e spaventa senza in realtà esplicitare nulla sulla natura del “mostro” di turno. Il tutto crea un’atmosfera di mistero che gira attorno alla paura dell’ignoto più che di qualcosa di concreto: un’impostazione estremamente intelligente. Ancora oggi, Blair Witch fa più paura di moltissimi horror chiassosi ad alto budget.