The Flash, la Recensione del cinecomic con Ezra Miller
Arriva al cinema l'attesissimo The Flash, nuovo cinecomic firmato DC che ci racconta la sua versione del multiverso e di quello che potrebbe accadere nel futuro James Gunn-verse.
Dopo le turbolente vicissitudini produttive, arriva al cinema finalmente The Flash, primo stand alone assoluto dedicato al supereroe in rosso. Alla regia troviamo Andy Muschietti che dopo il rivedibile reboot di It, si dà ad un cinecomic che possiede una certa importanza, rispetto al prossimo DCEU.
Protagonista assoluto, Ezra Miller, che prosegue nella tuta rossissima del personaggio DC creato nel lontano 1959, qui in una doppia versione di se stesso che sembra quasi ammiccare alla realtà di cronaca che ha visto coinvolto l’attore.
The Flash, la Trama
Cambiare il passato per un presente meno sofferente. Barry Allen è sicuro che può essere così. Correndo oltre la velocità della luce, prova a modificare un dramma familiare, causando però una frattura nel multiverso, che dovrà sanare grazie all’aiuto proprio di Barry Allen. E di Batman, ovviamente, che però non ha il volto di Ben Affleck. È il multiverso, signori, ed è quello targato DC.
The Flash, la Recensione
The Flash è balzato sin da subito sulla cronaca per motivi vari e variegati, vicissitudini principalmente fuori dal set. Da un lato, le scorribande (per usare un eufemismo) di Ezra Miller, dall’altro il radicale cambiamento produttivo del DCEU.
Un film certamente complesso nella sua produzione, dunque, che ha l’arduo compito di dover chiudere ed aprire l’universo cinematografico della Distinta Concorrenza. Il che rende inevitabilmente The Flash un film che si fa carico suo malgrado di un’importanza specifica, ai fini dell’economia (in toto) del rilancio firmato James Gunn di prossima uscita. Un universo di cui sappiamo ben poco e che film dopo film, ma soprattutto notizie dopo notizie, suscita sempre una crescente curiosità.
Riducendo però il discorso a The Flash come prodotto finale, vediamo come il film di Muschietti si muova in un terreno costellato di luci e ombre, figlie forse di un’ambizione troppo grande e complessa, coerentemente di fatto con quella che è l’importanza teorica del film stesso. Il regista di It ci racconta una storia di formazione classica, adattandola ad un tema tanto caro al cinema commerciale di oggi: il Multiverso. Una scappatoia narrativa che apre infinite strade in cui tutto è il contrario di tutto.
Un grandissimo What If dunque che trasforma in concreto, l’astratto per eccellenza, portando in scena il famigerato effetto farfalla. Scappare da un passato traumatico non sempre porta a cose buone, tanto per sé stessi quanto per tutto ciò che ci circonda. Questa, la lezione che The Flash vorrebbe impartire.
Per certi aspetti, il punto viene perfettamente centrato, ancor più se il trauma passato ne genera uno nuovo, che costringe il protagonista a rapportarsi con un giovane sé stesso. Una gag tragicomica, che strappa anche qualche risata, non fosse che poi, a ragionarci bene, è ben più di un incubo.
Il doppio Ezra Miller riesce perfettamente a mettere in scena questo dualismo in toto, interpretandosi nei vari formati di adulto ansioso e adolescente fastidioso. E forse è proprio questo il pregio maggiore del film, ossia aver dato a Flash una profondità del tutto rispettabile e degna del personaggio. Che, ricordiamo, ha di fatto salvato il mondo e la Justice League nella versione di Snyder.
Tuttavia, subentra una certa invadente oscurità che affievolisce non poco la lucentezza dei fulmini del nostro supereroe. Ombre che non offuscano del tutto i pregi di The Flash ma che restano difficili da ignorare. Anche perché arrivano pressoché nell’immediato incipit del film. La CGI non è purtroppo sempre all’altezza, cosa che al giorno d’oggi è quantomeno rivedibile, ancor più con le tecnologie adottate e adottabili.
Il rendering dei volti purtroppo lascia spesso a desiderare, anche nelle scene dei tanto chiacchierati “cameos” che vedono Nicolas Cage e altri (che non menzioneremo), riducendone l’impatto visivo che vorrebbero chiaramente avere.
Al tempo stesso, lo spettatore si troverà di fatto combattuto rispetto allo stare al gioco del fanservice nostalgico o meno. Posto anche il fatto che The Flashcalca molto la mano, e anche con una certa furbizia ben ragionata, sin da subito. Da Michael Keaton nei panni di Batman fino a L’Uomo D’Acciaio che diede il via al controverso Snyderverse.
Universi del passato e del futuro che si incontrano e si scontrano, dove non si può fuggire dall’inevitabile. Ciò che è accaduto va accettato ed elaborato. Sembra quasi un discorso metatestuale, quello di The Flash. Un discorso che vuole guardare allo spettatore, comunicandogli il fatto che da qui in poi, verrà tracciata una linea netta.
Senza cadere in fastidiosissimi spoiler, The Flash si trasforma di volta in volta in un film sull’universo DC, andando quasi ad escludere il personaggio di Barry Allen. Il che può suonare anche paradossale visto che ce ne sono ben due. Eppure, in molti momenti del film, la sensazione è quella che Flash è un supereroe di contorno, una spalla di Batman e di Supergirl, complice forse anche la grandissima prova di Sasha Calle.
Vien da sé quindi che probabilmente qualche problematica nella gestione della narrazione, quanto nella regia, è presente. Le intenzioni del film rispecchiano le ambizioni e le responsabilità che di fatto deve sobbarcarsi, dovendo fare da collante tra vecchio e nuovo. Il risultato è tuttavia quello di un film diviso fin troppo nettamente in due parti.
Nel contempo, The Flash resta molto piacevole, scorrendo senza troppi troppi intoppi, nonostante le evidenti sbavature e quella volontà di voler razionalizzare tutto fin troppo, come nel monologo (aka spiegone) su come funziona il multiverso, per poi infilare tutto in un tritacarne e far ciò che si vuole.
Piccola nota margine: sfortuna ha voluto che l’uscita di questo film sia in quasi concomitanza con due cinecomic di un certo livello, quali Guardiani della Galassia 3 e soprattutto il capolavoro di Across The Spiderverse, con cui ha molti punti in comune. Inevitabile il fatto che il paragone nella mente di chiunque c’è, anche involontariamente. E purtroppo per Muschietti, non c’è partita.
D’altra parte, fosse uscito tra Quantumania e Black Panther 2, probabilmente si starebbe gridando al miracolo. Alle volte la percezione e il contesto influenzano moltissimo il giudizio soggettivo dello spettatore. Da qui, un mezzo punto in più guadagnato per mera empatia.
E sempre rimanendo sul fattore percezione, è altrettanto vero che ormai ogni film targato DC, suscita sempre una genuina curiosità, anche quando il flop è pressoché totale (vedasi Black Adam e Shazam! Furia degli Dei), soprattutto grazie al fatto ci si pone una semplice domanda: cosa accadrà all’universo DC di James Gunn?