Il ruolo di Joel in The Last of Us è molto complesso, e scomodo sul piano morale. Ecco perché questo lo rende uno dei personaggi di maggior spessore nella storia dei videogiochi
Joel Miller è il “cattivo” in The Last of Us. Si può affermare una cosa del genere? Vero è che nell’universo di TLOU i cattivi sono un po’ tutti, nel senso che il mondo post-apocalittico corrompe irrimediabilmente ogni umano e lo scenario che si viene a creare richiama la filosofia homo homini lupus, cioè tutti contro tutti con l’istinto di sopravvivenza come unica ideologia.
Un tipo di ragionamento portato avanti da ogni lavoro post-apocalittico che si rispetti, da The Walking Dead ai primi film di George Romero. Ma il videogioco Naughty Dog si spinge più in là, “costringendo” il player a vestire i panni di un personaggio che di momento in momento compie scelte sempre più discutibili.
L’alibi di Joel, la perdita della figlia e la scoperta dell’affetto crescente verso Ellie in quanto sua “sostituta”, emerge mentre è sempre più chiaro che al nostro protagonista non frega nulla del destino del mondo. E sappiamo come va finire: non è disposto a sacrificare Ellie per la salvezza dell’umanità, e la salva compiendo una strage mosso da sommo egoismo.
Un atto di egoismo che, però, potremmo facilmente definire anche umano. La domanda chiave nel finale di TLOU parte 1 è infatti questa: noi cosa avremmo fatto al suo posto? Siamo sicuri che ci saremmo comportati diversamente? Ecco perché la “cattiveria” di Joel non è quella da villain di un cinecomic, ma è mossa da ragioni profondamente umane, intrinseche alla nostra natura.
Rimane il fatto che Joel possa essere definito il “cattivo” della prima parte della storia rispetto all’obiettivo dei “buoni”, ossia quello di sconfiggere il Cordyceps. Alla fine è proprio lui ad impedire che questo avvenga e che la specie umana si salvi dal fungo, quali che siano le motivazioni che lo spingono in questa direzione.
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