Beau Ha Paura, la Spiegazione del film con Joaquin Phoenix
Una breve analisi e spiegazione di Beau Ha Paura, il nuovo film diretto da Ari Aster con un sontuoso Joaquin Phoenix protagonista assoluto. Un viaggio nella mente dell'essere umano, tra incubi e paranoie.
Qual è dunque la verità sul terzo film firmato Ari Aster? Non c’è una verità assoluta. Non esiste, così come il cucchiaio. Solo approcciandosi in questa maniera, si potrà seguire questa ideale e singolare catabasi che coinvolge Joaquin Phoenix. Una discesa negli inferi della mente, capace di raccontare un macrocosmo collettivo, fatto di paure e nevrosi di freudiana memoria.
Appare sin da subito palese che lo spettacolo a cui stiamo assistendo presta il fianco a(nche) molteplici interpretazioni psicanalitiche, che trovate nella nostra recensione. Rimanendo però su un piano prettamente più formale, di certo riscontriamo una necessità assoluta: quella di conoscere il riflesso di Ari Aster che ha trasposto nei suoi film.
Opere che hanno una poetica ben precisa, la progressiva decostruzione di un immaginario collettivo rassicurante, quello familiare. Ben lontano dalla new wave greca di Lanthimos o Miss Violence, Aster ci ha sempre mostrato un contesto familiare ben poco rassicurante. E di nuovo, lavorando in esclusione, lontano da quello firmato Tobe Hooper di Non Aprite Quella Porta.
Ma insomma, dopo aver detto cosa non è, passiamo dunque a raccontarvi cosa è. In pochissime parole, la famiglia è il male. Un male radicato, che si eredita, dal quale è impossibile fuggire. Si può solo abbracciare questo male che ti incatena, con le sue perversioni, con le sue follie con quelle catene che di fatto incastrano tutti noi in spiacevoli mura falsamente amiche.
Beau Ha Paura, il male assoluto per Aster: la famiglia
Basti pensare al suo secondo mediometraggio, The Strange Thing About The Johnsons. Una famiglia borghese americana, delle più classiche, vive un dramma fatto di abusi (in toto) tra due componenti. Non vi sveleremo troppi dettagli a riguardo, vi suggeriamo solo di vederlo su Vimeo. E preparavi ad una doccia subito dopo l’oretta scarsa nella speranza che possa farvi star meglio.
Quindi, si arriva un anno dopo a Midsommar, forse la consacrazione di Aster, che confeziona un film che discute i canoni dell’horror in ogni sua forma, arrivando però a coinvolgere sempre gli aspetti familiari. Un omicidio suicidio compiuto da una sorella depressa, i sensi di colpa che attanagliano la meravigliosa Florence Pugh nei panni di Dani. Ed uno sfogo che trova pieno esaurimento in un fuoco purificatore, che brucia ogni legame con il mondo così come lo conosciamo.
Un mondo fatto di finte promesse, frustrazioni, amori non corrisposti realmente. Piccoli dettagli che non mostrano salvezza, ancor meno nella sfera familiare, per l’appunto. Non da meno dunque, anche Beau Ha Paura riprende la tematica, ma stavolta calcando altri lidi, forse meno horror ma non per questo meno spaventosi.
La mente di Beau è una mente turbata, predominata da timori e tremori, come suggerisce anche il titolo. Un titolo che è semplice, diretto: Beau Ha Paura. Di tutto. Dalla città violenta e pericolosa, dal mondo che lo circonda e che lo perseguita in ogni ambito, soprattutto familiare. E si torna quindi al punto di partenza.
Tutto nasce infatti dalla necessità che ha Beau di andare a trovare la madre per l’anniversario della morte di suo padre. Un padre che non ha mai conosciuto. Da qui in poi inizieranno i problemi, di ogni sorta e forma. E poi quell’anniversario diverrà un funerale, della madre, al quale non riuscirà a partecipare in tempo.
Beau ha paura, ma non demorde. Tenta di ogni per arrivare nella sua casa, il locus amoenus per eccellenza, che dovrebbe essere accogliente fino in fondo. Ma così non è. La casa è un luogo malvagio, perfino e pieno di insidie. Un luogo dove gli incubi si palesano e prendono forma. Da quella fallica del padre, recluso nella soffitta, a quella di un grottesco rigor mortis post amplesso, consumato sul letto di sua madre e con lei, finta deceduta, che osservava la scena.
Incubi adolescenziali di un adulto turbato, incapace di commettere quell’omicidio freudiano che potrebbe liberarlo da ogni paranoia. Beau non ci riesce. Forse ha anche paura di riuscirci. Il senso di colpa lo trascina nell’acqua, un posto costantemente ricercato e da sempre simbolo emblematico del grembo materno, in chiave onirica. Un luogo che di fatto è la prima casa dell’essere umano.
Sin dalle prime sequenze, accompagnate tra l’altro dalla presenza di ragni (suggeriamo una rapida letta a cos’è la scultura Maman in quel di Bilbao), vediamo Beau intento a giocare con l’acqua, con l’ausilio di una piccola nave giocattolo. L’acqua è sempre presente nella vita di Beau, in ogni forma più benevola e maligna. E al tempo stesso, anche premonitrice, supponendo una linearità narrativa presente in Beau Ha Paura.
La nave giocattolo che si schianta nell’acqua della piccola fontana, così come nel finale denigratorio verso Beau. Il cadavere presente nella piscina, dove il suo primo amore si scatta una foto e dove ella stessa morirà subito dopo l’amplesso con Beau. E ancora, l’acqua della vasca che scorre, osservata con reticenza dal protagonista in versione giovanotto.
Ogni scena di Beau Ha Paura nasconde un indizio che Ari Aster ci concede di volta in volta e che solo a fine film riusciamo a scovare, magari trovando anche un’interpretazione personale. Lo stile che infatti adotta, a differenza dei suoi precedenti lavori, è una vera e propria mise en abyme, messa in abisso, tradotto letteralmente dal francese.
Lo spettatore infatti non ha mai piena certezza ontologica degli spazi che circondano Beau. Realtà o finzione, il viaggio del protagonista, indecifrabile e di complessa natura, da punto A a punto B è un viaggio che trascende fin troppe volte dalla realtà , costringendolo a vivere situazioni ben oltre il surreale. O meglio, surreali nell’accezione più propria e “artistica” del termine.
Un non-luogo, degli spalti e Beau da solo in mezzo all’acqua. Una platea che diventa poi tribunale, pronto ad accusare Phoenix di ogni possibile malefatta, e senza possibilità di difesa. L’esplosione dunque del senso di colpa che ha Beau verso il mondo, convinto che dovrà scontare una pena per dei peccati che non ha mai commesso.
Forse è presto per dirlo, forse anche sbagliato. Però Beau Ha Paura è ascrivibile alla lista dei capolavori. Un film che divide, che non trova vie di mezzo ma solo giudizi polarizzati. O si ama o si odia, di certo crea una discussione, a prescindere che lo si ami o lo si odi.
Comprensibilmente, Beau Ha Paura non ha la pretesa di piacere a tutti, ma “solo” di dire qualcosa, di raccontare. In lungo e largo, come un flusso di coscienza senza alcun filtro, complice anche la totale libertà concessa ad Aster dalla A24. E per ogni amante del cinema, questo è e sarà sempre un bene.