Pensate di sapere tutto di musica, e vi sembra di aver ascoltato tutto l’ascoltabile? Sfidiamo le vostre convinzioni (e le vostre convenzioni) con questa lista di band sperimentali che vi faranno cambiare idea
In musica s’è sentito, e si sente, davvero di tutto. Band e formazioni musicali hanno sfidato, se non riscritto, ogni regola nel corso di decadi di istinti di ribellione musicale e specie in particolari congiunzioni ricche d’ispirazione, come quella del rock psichedelico negli anni ’60, del rock progressivo negli anni ’70 o del post-punk negli anni ’80.
Davvero un peccato che Spotify e gli algoritmi (nonché una certa mentalità conseguente che, con un minimo di sforzo, potrebbe facilmente essere contrastata) non invoglino all’esplorazione e alla scoperta di nuovi orizzonti dell’arte musicale. Ragion per cui queste dieci band cult del panorama sperimentale rimangono sconosciute a gran parte del pubblico di oggi. Ma ci siamo qui noi.
1. Fantômas
Cominciano con un eclatante super-gruppo avant-garde metal formato da Mike Patton, Dave Lombardo, Buzz Osbourne e Trevor Dunn. Quattro leggende che non abbisognano di presentazione e che è tuttavia peculiare ritrovare in un progetto come questo. Come descrivere quello che fanno? I Fantômas hannno realizzato quattro album: il primo è strutturato come ipotetica colonna sonora di una serie a fumetti sull’omonimo personaggio; il secondo, The Director’s Cut, offre una serie di re-interpretazioni di famose colonne sonore di film.
Il terzo, Delìrivm Còrdia, è un concept con un’unica composizione di 74 minuti basata sull’idea di un intervento chirurgico senza anestesia; e il quarto, Suspended Animation, è un misto tra immaginarie musiche per cartoni animati e per ricorrenze semi-sconosciute del mese di aprile. Il tutto suonato tra extreme metal, drone, dark ambient, noise e parodie di generi popolari in un marasma di suoni inafferrabili quando non traumatici. Per molti versi, la band sperimentale (metal e non) per eccellenza.
Album consigliato: Delìrivm Còrdia, 2004
2. The Mothers of Invention
Ossia, l’estensione dell’incontenibile e schizofrenico ego musicale di Frank Zappa. Dal rock psichedelico parodia dell’era hippie al prog intricato e assurdista negli anni ’70, la band comprende a più riprese una serie di musicisti estremamente eclettici e completamente imprevedibili, alcuni collaboratori fissi del chitarrista, altri aggiunte occasionali ad un organico continuamente cangiante e di fatto vera metafora del concetto di una musica autenticamente libera da schemi e convenzioni.
Con i Mothers (menzionati anche nel testo di Smoke on the Water) Zappa sperimenta in tutte le direzioni, tra jam e concept, brani di venti minuti, comedy rock, teatro e jazz, satira delle convenzioni rock ma anche della musica “istituzionale”, con lo spazio anche per un film surreale, 200 Motels. Tutta l’incisività del loro stile si coglie tra preparazione strumentale eccelsa e voglia, sempre, di provocare, ridere di tutto e sfidare ogni regola.
Album consigliato: Freak Out!, 1966
3. Swans
Figli autentici della scena no wave newyorchese, durante gli anni ’80 gli Swans rifiutano recisamente, guidati da Michael Gira, tutte le tendenze commerciali e fashion della musica del momento dedicandosi invece indefessamente ad un rock strumentale rumoristico, influenzato dal post-punk ma parossistico, sgraziato, con elementi industrial, volutamente ostico e per molti versi foriero dello stile post-rock di là da venire. Con l’aggiunta della vocalist Jarboe nel 1986 il tutto si fa più elegante, raffinato, seducente e misterioso.
Un intrico di sperimentazioni senza compromessi che proseguono in evoluzione di album in album, costruendo un panorama sonoro spettacolare e ambizioso ma anche criptico e per molti versi impenetrabile. La band si scioglie nel 1997 e viene riformata da Gira nel 2010 con una formazione in gran parte rinnovata, pubblicando negli anni ’10 una nuova serie di album acclamatissimi più incentrati su un post-rock con tinte math a tratti estremamente rarefatto e atmosferico e a tratti aggressivo e roboante.
Album consigliato: The Seer, 2012
4. Death Grips
L’unione dei musicisti MC Ride, Zach Hill e Andy Morin si traduce in un progetto rap dagli accenti continuamente alternativi, con vaste dosi di industrial, noise e punk in uno stile incentrato sulla provocazione ma anche su un sarcasmo pacatamente dank. Una delle formazioni cult degli anni ’10, i Death Grips si fanno notare soprattutto per la scoperta e l’invenzione di suoni nuovi, atipici, grotteschi persino, ricavati tra le pieghe delle loro instancabili sperimentazioni.
Ascoltarli è veramente una sfida perché non cercano in nessuno modo di creare nella loro musica un appeal che sia accomodante anche soltanto per gli appassionati di suoni experimental o di alternative rap. Eppure, nell’ascolto della loro distruttiva e iconoclasta discografia emerge uno schema, un sistema di apprezzamento che li rende non semplicemente “diversi” all’orecchio ma anche straordinariamente incisivi ed immediatamente memorabili.
Album consigliato: The Money Store, 2012
5. Einstürzende Neubauten
Questa formazione nata a Berlino Ovest nel 1980 si fa presto notare per la particolarità della sua produzione industrial, legata all’utilizzo di strumenti e percussioni customizzati, ossia ricavati artigianalmente da materiali di riciclo, pezzi di metallo e oggetti vari, il tutto mescolato con sperimentazioni elettroniche e, per finire, vocals atonali urlati o sussurrati in performance semi-teatrali caratteristiche di una concezione puramente bohémien (per non dire tedesca) di questo tipo di musica.
Nel corso degli anni i loro lavori hanno assunto connotati gradatamente più tradizionali, mentre i primi album rimangono assolutamente brutali, con suoni che prendono dall’ispirazione di rottura del post-punk ma si perdono allo stesso tempo in un nichilismo sonoro tipico dell’epoca. Il modo migliore per capirli è iniziare proprio dal principio anti-conformista e seguirne la lenta evoluzione sempre in linea con una rigida etica di ricerca.
Album consigliato: Kollaps, 1981
6. Gong
In bilico costante tra jazz, psych e prog i Gong sono la creatura fantastica e incontenibile di Daevid Allen. L’ispirazione è quella della Scena di Canterbury (vedi sotto), ma Allen fonda il suo gruppo in Francia nel mezzo delle proteste sessantottine e in questo senso incarna appieno nella sua musica tutto il clima rivoluzionario dell’era. I Gong vantano una discografia profondamente dadaista, spesso sensibile al nonsense con ampi tratti di narrativa surreale.
Le canzoni seguono in questo senso spesso un free-form, plasmandosi a seconda delle esigenze e delle vicende dei personaggi che vi vengono costruiti. La musica è perciò fortemente fumettistica, con temi sonori legati a idee, concetti e immagini che si fondono in un vasto immaginario definibile quasi “cinematico”. Allen muore nel 2015 ma ci lascia una discografia corposa e pregevole, tutta da esplorare, rispondente a una precisa mitologia che fa capo alla trilogia di album Radio Gnome Invisible.
Album consigliato: Flying Teapot, 1973
7. The Residents
Più imprevedibili tra gli imprevedibili, i Residents sono uno storico collettivo avant-garde i cui componenti hanno mantenuto per decenni segrete le loro identità. In compenso la band si dedica fin da inizio anni ’70 ad una produzione multimediale elaborata che comprende video sperimentali, costumi grotteschi, lavori con tecnologie pioneristiche (a seconda dell’epoca) e uno spirito sempre, immancabilmente ironico e provocatorio, eredità degli anni ’60.
Per quanto riguarda il loro genere… è indescrivibile. Nel corso degli anni si dedicano alle più diverse costruzioni musicali, chiamando in causa elettronica, punk, ambient, industrial e noise in una variazione continua e caleidoscopica di stili; che, del resto, fa il paio con la loro constante ricerca di suoni nuovi e diversi, nonché dell’estensione della loro forma di comunicazione su ogni livello possibile. Rimangono un gruppo leggendario e, per forza di cose, uno dei più sottovalutati di sempre.
Album consigliato: Duck Stab / Buster & Glen, 1978
8. Autechre
Rob Brown e Sean Booth, formati come Autechre a Manchester nel 1987, rappresentano ancora oggi l’avanguardia della scena elettronica. Il loro progetto è forse ancora quello a cui più si lega il concetto di IDM (Intelligent Dance Music), nel senso di una variante della techno che non sia necessariamente difficile da ascoltare ma che includa comunque elementi atipici, dal glitch all’ambient al noise. Ne risulta una raccolta di album composti da canzoni di tutte i tipi e adatte a qualunque fan del genere.
Gli Autechre fanno musica che si potrebbe descrivere “da discoteca” e si potrebbe suonare anche nei club underground o, in certe occasioni, ai rave party; ma propongono allo stesso tempo suoni provenienti da universi differenti, con amosfere diverse aventi la natura electro/synth alla base come unico minimo comun denominatore. Hanno realizzato quindici album a partire dal 1993, oltre ad un ampio lavoro di remix, collaborazioni e webcast. Se dovete scoprire un nuovo gruppo elettronico, fate in modo che sia questo.
Album consigliato: Tri Repetae, 1995
9. Xiu Xiu
Gli Xiu Xiu, progetto schizofrenico del cantautore Jamie Stewart, sembrano giocare musicalmente di continuo rimbalzo tra pop autoriale e musica rumoristica. I loro suoni sono davvero incostanti e rappresentano il perfetto alternative indie per il nuovo millennio, con una concezione intimista e introspettiva al centro di tutto, visioni oscure quando non apertamente pessimistiche nelle liriche, e un’etica spesso apertamente queer.
Alcuni dei loro album sono più accessibili, altri sono completamente ostici e impossibili da capire a meno di non dedicarvi ripetuti ascolti e approfondimenti. Ma in linea di massima la musica degli Xiu Xiu rimane certamente non per tutti, rifiutando di far “accomodare” l’ascoltatore e incitandolo anzi di continuo con provocazioni sonore tempestive ed esasperanti. Un magnifico caos, si potrebbe definire, particolarmente apprezzato e caro alla generazione millennial.
Abum consigliato: Dear God, I Hate Myself, 2010
10. Soft Machine
Abbiamo già fatto cenno alla Scena di Canterbury, cultura prog legata all’omonima città inglese dalla quale emergono sul finire degli anni ’60 molte formazioni influenti con diversi componenti in comune e stili perciò molto legati. Il complesso centrale di questa scena sono i Soft Machine, fondati anche da Daevid Allen (vedi sopra; proprio il fondatore, poi, dei Gong) e altri giganti i cui nomi si stagliano imperanti sulla scena progressive inglese a cavallo tra i due decenni: Robert Wyatt, Kevin Ayers, Mike Ratledge e Hugh Hopper.
I Soft Machine sono ragguardevoli in quanto melting pot di tutte le più pregevoli caratteristiche dello stile prog di Canterbury, che unisce psych e prog con sperimentazioni jazz, idee narrative cantautoriali e una visione “fumettistica”, come nel caso dei Gong, della produzione musicale. Nel caso di questa influente formazione però si parla di suoni più indeterminati, improvvisati e sfuggevoli, quasi come una fanghiglia colorata dagli effetti allucinogeni. Nei casi migliori i loro album sono davvero panorami sonori astratti in cui perdere la testa.