Loudness War: quello che c’è da sapere sulla guerra del rumore in musica

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Loudness War: come l’industria musicale entra in conflitto con sé stessa a colpi di… rumore

La loudness war o guerra dei volumi, è quella tendenza dell’industria musicale ha realizzare canzoni con volumi sempre più alti. Ogni anno vengono prodotte canzoni che devono avere un volume superiore a quelle uscite l’anno precendente. Ma perchè è nato questo fenomeno? E soprattutto, a vincere questa guerra sarà davvero la musica?

Dalla seconda metà degli anni novanta fino ad oggi, sono stati prodotti sempre più dischi (soprattutto di genere pop e pop/rock), ai quali in fasi di mastering, è stato drasticamente aumentato il volume. Prima di capire perchè ci si è incamminati su questa strada, capiamo meglio come avviene questo processo.

Cercheremo di sintetizzare il concetto per non sforare in tecnicismi comprensibili solo agli addetti ai lavori

Quando si lavora ad una traccia musicale in uno studio di registrazione, si può andare manualmente ad effettuare un “ritocco” all’intervallo che c’è tra i suoni più alti e quelli più bassi (in termini di intensità) di un brano.Questo ritocco è definito compressione del range dinamico. Tale operazione permette di far impennare il volume della canzone.

Questo lavoro non è sempre dannoso, anzi da coesione a diverse parti del mix e potenzia alcuni passaggi. In alcuni stili musicali è fondamentale per il risultato finale del mastering. Può diventare poco comprensibile ai fine artistici quando viene applicato a generi come rock e pop.

Ovviamente ci sono tutta una serie di procedure che servono a regolare e stabilizzare l’operazione senza che si arrivi a schiacciare il suono originale. Ma perchè si attua questa pratica anche dove non servirebbe?

Dobbiamo fare un passo indietro nel tempo, quando le persone ascoltavano la musica dal loro stereo o impianto audio. Quegli impianti generalmente davano la possibilità di un ascolto in alta fedeltà. Oggi a regnare sovrano è l’ascolto da smartphone, che solitamente viene connesso ad auricolari o a casse bluetooth. Vediamo perchè questo è il nodo principale della questione.

Sappiamo tutti che un supporto digitale portatile ha dei limiti. Gli speaker inseriti all’interno di questi apparecchi, per quanto costosi, sono di dimensioni ridotte. Non sono assolutamente in grado di riprodurre le canzoni così come sono state registrate. Ed ecco che per ovviare a questo problema, in fase di mastering, le canzone vengono “compresse” per suonare più forte. Alterando però anche la loro reale bellezza fatta di dettagli e sfumature che spesso, dopo questo processo, scompaiono o vengono percepite a malapena.

Il nostro cervello però ci trasmette la sensazione che più alto è più bello e questo è un altro dei motivi per cui ci si da battaglia sul campo dei volumi. Il volume alto è diventato un’arma per catturare l’attenzione dell’ascoltatore e non fargli skippare il brano. (E qui si aprirebbe il discorso su quanto è bassa la soglia di attenzione che oggi abbiamo, ma questa è un’altra storia).

Molte persone fanno più fatica ad ascoltare dischi del passato perchè sono brani a cui manca la cosidetta botta di volume a cui ormai si sono abituati. Alcuni album storici rimasterizzati in digitale con l’intento di farli suonare più moderni, sono stati completamente deturpati.

Chi ha il potere di cambiare le cose come si comporta davanti a questa guerra dei volumi? Recentemente Spotify e altre piattaforme hanno imposto dei limiti ai volumi dei brani caricati sulle loro piattaforme. Questo però ha solo attenuato il fenomeno che continua comunque a dilagare nella maggioranza delle nuove produzioni.

Per questo motivo molti artisti sono sempre più propensi a scrivere musica che si sottometta a queste logiche di mercato, sempre più priva di dinamiche e che suoni forte dall’inizio alla fine. In conclusione possiamo dire che in questa guerra quindi ci perdiamo tutti ma soprattutto la musica.

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