Uno dei più famosi concerti della storia e uno dei più grandi eventi che legano i Pink Floyd al nostro paese dopo quello a Pompei: la band, guidata da David Gilmour, a Venezia nel 1989
1989: i Pink Floyd (senza Roger Waters) hanno pubblicato da due anni l’album A Momentary Lapse of Reason e guidati da David Gilmour stanno portando in tour tutte le canzoni dell’album e altri loro storici brani. E l’occasione per un concerto in grande stile si presenta proprio nella nostra Venezia.
La cornice: una enorme chiatta sull’acqua, sul Canal Grande nel bacino San Marco, di fronte al Palazzo Ducale, in occasione dell’annuale Festa del Redentore, il 15 luglio 1989. I Pink Floyd si sono già esibiti per il tour in Italia in quell’anno a Verona, Monza, Livorno e Cava de’ Tirreni, ma il concerto a Venezia viene annunciato come gratuito.
Per meglio dire, gran parte dei soldi per l’organizzazione viene speso dalla stessa Rai, che sborsa un miliardo di lire e trasmette l’evento in mondovisione (Unione Sovietica compresa, anche se in differita), mentre la band stessa copre il resto dei costi. Risultato: 100 milioni di spettatori di cui 27 anche negli Stati Uniti e 3,5 in Italia, per un’audience del 30%.
Ci sono ovviamente anche immancabili polemiche, riguardanti “il decoro” della città e la preoccupazione che gli alti volumi rovinino i mosaici della Basilica di San Marco. Ragion per cui viene imposto un limite di 60 decibel per l’esibizione (poi chiaramente superato con disinvoltura), mentre il concerto dura solo 90 minuti.
L’autorizzazione per l’evento, in bilico fino all’ultimo tra discussioni a livello politico nazionale e cittadino, viene firmata pare solo un’ora prima dell’inizio non dal sindaco ma dal vice-sindaco e sembra più per ragioni di ordine pubblico che per altro: infatti la città è ormai già stata invasa da ore da qualcosa come 200mila spettatori, che seguiranno poi il concerto dalle rive.
L’esibizione rimane nella storia ma lo stesso Gilmour non si dichiarerà poi troppo entusiasta del risultato: “Lo show a Venezia è stato molto divertente, ma è stato pieno di tensione e snervante. Avevamo una specifica lunghezza da rispettare; la trasmissione via satellite significava che dovevamo essere assolutamente precisi”.
“Avevamo la lista delle canzoni e l’abbiamo dovuta accorciare, cosa che non abbiamo mai fatto prima. Avevo un grande orologio rosso con un quadrante digitale sul pavimento davanti a me, e il tempo di inizio di ogni numero su un pezzo di carta. Se ci avvicinavamo all’inizio del numero successivo, dovevo semplicemente terminare quello in cui eravamo”.
“Ci siamo davvero divertiti ma le autorità cittadine che avevano concordato di provvedere a servizi di sicurezza, latrine e cibo si sono tirate indietro su tutto ciò che avremmo dovuto fare e poi hanno cercato di imputare tutti i successivi problemi a noi. Si sono scritte un sacco di chiacchiere al riguardo, anche da alcuni rispettabili giornalisti del Guardian, come sulla nostra musica che disturbava gli edifici. Complete fottute chiacchiere”.