Perché John Wick ha cambiato per sempre il genere Action

john wick, keanu reeves
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Era il 2014 quando vedemmo John Wick al cinema per la prima volta. E mai nessuno avrebbe pensato di trovarsi dentro un viaggio lungo quattro capitoli. O un franchise che dir si voglia. E ancora meno, mai nessuno avrebbe pensato di assistere alla creazione di ciò che ormai è definibile come icona.

Con David Leitch nell’ombra, Chad Stahelski ha creato un mostro. Anzi, il mostro, quello per eccellenza: l’uomo nero. Anzi ancora, quello che tu chiami quando vuoi uccidere l’uomo nero, per parafrasare lo sfortunato boss Tarasov. Da lì in poi, l’escalation di violenza è stata inevitabile. E pensare che lui voleva solamente godersi la pensione più che meritata. Eppure un banalissimo furto ha scoperchiato un vaso di Pandora.

Non possiamo che essere grati dunque al boss e alla sprovveduta famiglia, con buona pace della povera cagnolina che ha dovuto abbandonarci anzitempo. Battute a parte, quello a cui abbiamo assistito in questi nove anni, conditi da quattro film, è stato proprio un rilancio di un genere, l’action, grazie alla nascita di un’icona malvagia e benevola.

Non è assolutamente compito facile entrare nell’immaginario collettivo, soprattutto oggigiorno, in cui ogni film nuovo deve sempre fare a spallate con i cinecomic. Eppure, mattoncino dopo mattoncino, John Wick è riuscito a sopravvivere al costante fagocitare dell’MCU e affini. A pensarci bene, anche coerentemente con la più classica delle strutture action, dove il protagonista rinasce nel momento esatto in cui sembra dover perire da un momento all’altro.

Girovagando per il mondo, sfidando chiunque, il nostro (anti)eroe postmoderno per eccellenza è arrivato al quarto film, incassando botte e successo di critica e pubblico. Cose non di certo casuali e neanche scontate, visti i tempi di magra. Film dopo film, John Wick ha catalizzato sempre più attenzione, in un vero e proprio crescendo, offrendo sempre di più al pubblico amante dell’action e non solo.

Keanu Reeves, John Wick

Rinascere per far rinascere, riassumendo. Guardando alla storia recente, il cinema d’azione è stato oggetto di saghe importanti: l’ultima porta la firma di Jason Bourne, con la conclusione nel 2016 (senza troppi entusiasmi), dopo quattro film più spin off, a partire dal 2002. Nel mezzo, il solito e sempre amabile Ethan Hunt di Mission: Impossible e volendo, anche l’agente Bond, con tutto ciò che 007 si porta dietro da una vita.

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E ancora nel mezzo, quella breve incursione parodica de I Mercenari, trilogia divertentissima ma con ben altri intenti. Mancava dunque la classica “ventata di novità“, quel personaggio che portasse aria nuova nel genere action. E così, ecco arrivare Keanu Reeves in giacca e cravatta, con calma apparente.

È proprio lui a catalizzare l’attenzione di tutti, a prestare il viso ad un personaggio che avrebbe tenuto botta (in tutti i sensi) per quattro film. Freddo, efficiente, vendicativo. Un personaggio a tutto tondo che porta con sé il postmodernismo, in una saga action contaminata da thriller, revenge movie e inevitabilmente il neonoir, con un finale western.

Il mondo di John Wick è un mondo criminale, dove il bene non sembra esistere se non nella misura del meno peggio, che è proprio John Wick. Sebbene non sia difficile, ci troviamo pur sempre di fronte ad un assassino professionista che si muove in un mondo di assassini professionisti. Il bene e il male non sono più polarizzati ai due estremi, ma confluiscono l’uno nell’altro, in un sostrato linguistico di rara fascinazione.

john wick

Una saga dove i generi si mescolano, creando un mondo dove la fiducia nel prossimo scarseggia, per ovvi motivi. “Trust no one“, come recitava lo slogan di X-Files, dunque. Un’altra icona ma del passato, che poco c’entra con il nostro John, ma è utile per richiamare il passato, per l’appunto. Chad Stahelski guarda proprio indietro nel tempo, ad un cinema che negli anni Ottanta spopolava in lungo e in largo. Un cinema d’azione che avrebbe cambiato l’approccio da lì a sempre e che porta la firma di John Woo.

Impossibile guardare le sparatorie di John Wick e non pensare ai film di Woo, alla trilogia di A Better Tomorrow o a Hard Boiled. Film che hanno creato l’arte marziale delle sparatorie, chiamato tanto simpaticamente quanto correttamente, gun-fu. Una crasi perfetta che unisce le sparatorie all’arte marziale. Ogni proiettile, ogni pugno tirato, ogni pugnalata inferta al nemico, sono come un balletto. Tutto al loro posto, al momento giusto, in una precisa sincronia, il cui piacere visivo è aumentato ancor di più da una fotografia al neon di rara bellezza.

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Una danza di morte sinuosa e ipnotica, che cattura lo sguardo regalando poesia. Suona quasi paradossale: come può una pugnalata essere poetica? Ebbene, John Woo (e Wick) ha dimostrato che è possibile. Senza scomodare l’ormai consueto bullet time “firmato” sorelle Wachowski, prestato a più film e a più riprese e nato con Matrix.

John Wick 4

L’approccio di Stahelski, inizialmente coadiuvato da Leitch, è stato figlio del loro mestiere originario: lo stuntman. I due infatti nascono proprio come controfigure esperte nel gestire scene pericolose. Ecco quindi che la saga John Wick assume un punto di vista del tutto differente. Un mero pretesto per sfogare l’action nella sua accezione più pura? Anche. E con accezione assolutamente positiva.

John Wick ha regalato una lunghissima serie di sequenze d’azione dove è stata messa in scena un qualcosa finora mai visto: una morbosa meticolosità. Leggendo interviste e dichiarazioni, riscontriamo come il regista abbia curato ogni minimo dettaglio, portando avanti le sue idee di caos organizzato. Un ossimoro che genera di fatto il paradosso di violenza poetica di cui sopra. Che poi è un altro ossimoro, insomma.

La violenza delle scene action diventa quindi esercizio di stile portato a pieno compimento, esaltazione dei corpi e della loro distruzione. Con precisa accuratezza, Stahelski ha portato il mondo dello stunt al cinema, restituendo la meticolosità dei movimenti che la figura è costretta a fare per non farsi del male. Mettere in scena dunque il pericolo ma senza danneggiare la messa in scena stessa, giocare con la sospensione dell’incredulità ad ogni costo.

L’amalgamo di generi, perfettamente dosati tra loro, si sposa perfettamente con la costante ricerca di sinuosità nei movimenti e adrenalina costante. Il risultato è di fatto un supereroe umano, divinizzato dal “suo” mondo criminale e riportato giù dal suo essere inevitabilmente umano. John Wick vince, John Wick sanguina. Sembra invincibile, non è immortale. Ma comunque vada, il terrore scorrerà negli occhi di vorrà sfidarlo. Al contrario di quelli che non vedono l’ora di vedere ancora e ancora John Wick.