Educazione fisica: Recensione del film di S.Cipani scritto dai Fratelli D’Innocenzo
Tra le novità al cinema questo 16 Marzo anche Educazione fisica, opera seconda di Stefano Cipani, da una sceneggiatura dei Fratelli D'Innocenzo. La nostra recensione.
Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public e da Sguardi Altrove Film Festival(a Milano fino al 18 Marzo), arriva questa settimana al cinema il provocatorio secondo lungometraggio di Stefano Cipani, Educazione fisica, con Claudio Santamaria, Sergio Rubini, Angela Finocchiaro e Raffaella Rea.
Fabio e Damiano D’Innocenzo hanno scritto soggetto e sceneggiatura ispirati dall’opera teatrale La palestra di Giorgio Scianna, un testo che il regista Stefano Cipani, già autore di Mio fratello rincorre i dinosauri, sognava di adattare per il grande schermo dal lontano 2014.
E se apparentemente le premesse sembrano ricordare il folgorante Carnage di Roman Polanski (2011), la regia di Educazione fisica si ispira in realtà a un grande classico della cinematografia americana, La parola ai giurati di Sidney Lumet (1957), mentre il tema centrale dell’opera rivela una natura ben più acre, cruda e violenta.
Il film di Stefano Cipani ci riporta così a una realtà tutta italiana. Ovvero, l’aggressività crescente dei genitori iper-protettivi, sempre pronti a giustificare e difendere i propri figli, perfino di fronte all’orrore, in aperta rottura rottura rispetto alle generazioni precedenti, che riconoscevano ancora agli insegnanti e i professori rispetto e autorevolezza.
Educazione fisica sceglie così di addentrarsi in un territorio particolarmente oscuro, raccontando una violenza che va ben oltre la difesa di adolescenti immaturi e viziati. Dopo il durissimo La ragazza ha volato di Wilma Labate, i Fratelli D’Innocenzo tornano infatti a esplorare il tema dello stupro, l’ipocrisia e la retorica che colpisce doppiamente la vittima.
Educazione fisica: La trama
Franco Zucca (Claudio Santamaria), Carmen Majano (Raffaella Rea) e i coniugi Stanchi (Sergio Rubini e Angela Finocchiaro) vengono convocati urgentemente dalla Preside Peruggia (Giovanna Mezzogiorno). I loro tre figli sono amici, frequentano la stessa classe, eppure i genitori non hanno idea della ragione di questa improvvisa chiamata.
I genitori si ritrovano così nella palestra dell’istituto, un luogo squallido e fatiscente, che si rivelerà teatro di un fatto particolarmente increscioso. Prima di rivolgersi alle autorità, la Preside ha deciso infatti di avvertirli che una ragazzina, compagna di classe dei loro figli, ha mosso nei loro confronti delle accuse particolarmente gravi.
E con sua grande sorpresa, la donna scoprirà che i genitori non hanno alcun interesse ad ascoltare la verità, ma piuttosto sono pronti a tutto per sottrarre i loro ragazzi alla giustizia.
Educazione fisica: Recensione
Ispirato al più classico tra i legal drama, La parola ai giurati, Educazione fisica di Stefano Cipani riesce a combinare efficacemente l’assetto profondamente teatrale della sceneggiatura con una regia sempre più vicina al thriller, pronta a rendere dinamica e sempre più violenta e claustrofobica la dinamica di questo processo privato.
I quattro genitori di Educazione fisica si mostrano infatti profondamente diversi per estrazione sociale, istruzione e condizioni economiche, eppure sono pronti istantaneamente ad allearsi per sottrarre quei figli così oscenamente colpevoli al confronto con la polizia e la giustizia.
Fin dove saranno disposti a spingersi per insabbiare la verità? Certo, saranno subito pronti ad attingere al prontuario della retorica più vile e sessista, così comunemente associato a qualunque accusa di abuso sessuale. La ragazza mente, la ragazza li ha provocati, la ragazza in realtà ha una brutta fama, perciò era certo consenziente, o forse loro hanno frainteso.
La rappresentazione spietata di come in pochi minuti si proceda a colpevolizzare la vittima, cresce di pari passo al clima di violenza strisciante, che ridurrà la preside letteralmente a un animale braccato, prigioniera in un luogo che sembra chiudersi intorno a lei come una trappola.
Stefano Cipani rivela così un’ottima padronanza del mezzo cinematografico, sfruttando al massimo le potenzialità di quell’unico spazio e chiuso e naturalmente del suo grandissimo cast di attori, pronti a sostenere una prova dove l’orrore non è mai mostrato, avviene solo fuori scena, eppure esplode in tutta la sua veemenza tramite il linguaggio.
E il risultato è un film minimale, distinto da una grande eleganza sul versante formale eppure forte, disturbante nel suo contenuto. Una storia forse irrealistica, forzata fino agli estremi, che pure ci ricorda in modo secco e intelligente quella violenza che si annida oltre l’apparenza borghese, oltre il mito della famiglia all’italiana.