The Last of Us: la spiegazione del finale della prima stagione

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La prima stagione di The Last of Us è terminata e molti di voi, specie quelli che non hanno giocato il gioco, si staranno chiedendo: “Che cosa è successo?” Ve lo spieghiamo noi

Possiamo immaginare come molti di voi siano stati presi in contropiede dal finale della prima stagione di The Last of Us. Non preoccupatevi: è la stessa cosa che è successa dieci anni fa a chi ha giocato il videogioco Naughty Dog per la prima volta su PlayStation 3. Il motivo c’è, ed è specifico.

Semplicemente, come pubblico molti di noi tendono ad essere abituati alla figura dell’eroe protagonista coraggioso, buono e altruista. Restando in casa Naughty Dog, per esempio, un Nathan Drake: una simpatica canaglia, che non uccide innocenti (ma solo nemici senza personalità) e fa sempre, alla fine, ciò che è più giusto.

Joel Miller non è così, e veniamo portati a credere che lo sia solo perché in certe situazioni compie scelte avvedute, sagge e mature. Ma in realtà Joel è profondamente egoista: segnato dalla perdita della figlia Sarah, una volta ritrovatala in Ellie non vuole più lasciarla andare e arriva a tutto per impedirlo.

Forse lui stesso è cosciente di questo pericoloso lato del suo carattere, segnato dal trauma di quella esperienza. Ed ecco perché all’inizio designa Ellie come “cargo” e cerca di mantenere le distanze da lei: ha paura di ciò che da lui potrebbe emergere, di diventare pericoloso fino a non sapersi più riconoscere.

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D’altronde il punto è che nel mondo post-apocalittico segnato dal Cordyceps c’è poco spazio per umanità e sentimenti; a sopravvivere sono quelli che fanno della morale un’eccezione e della brutalità la regola. E la stessa Ellie inizia a capire come funziona, quando massacra l’inquietante David con una violenza inaudita per una ragazza della sua età.

Perché? Diciamo che ha imparato o sta imparando da Joel, che diviene per lei come un padre a tutti gli effetti e perciò “le insegna”. Come vediamo quindi il legame tra i due è a doppio filo e quando i chirurghi delle Lucciole stanno per spezzarlo per sempre a Salt Lake City, operando la ragazza per trovare un vaccino contro il Cordyceps, Joel non può non intervenire.

Poco conta che di mezzo ci vadano, potenzialmente, il futuro e la salvezza di tutto il mondo. Joel non esita a uccidere per quella che per lui è la cosa in quel momento più importante: sua “figlia”. Un comportamento razionalmente biasimevole, ma chiedetevi (specie chi di voi ha figli): sicuri che non avreste fatto lo stesso?

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Qui sta il grande spessore della storia raccontata in The Last of Us: Joel è cattivo? No, è umano. Profondamente umano, con i pregi e i difetti che questo comporta. E sia la serie che il gioco ci mettono di fronte al dilemma morale di un protagonista che non è più bello, simpatico o coraggioso, ma è… realistico. Si comporta come si comporterebbe una persona reale.

E la sua scelta meschina viene perpetuata quando Ellie intende sapere se davvero la versione censurata di quel che è accaduto all’ospedale, da lui fornita a lei, sia verità. Joel risponde: “Lo giuro”. Non può certo permettersi di perdere la “figlia” ritrovata proprio adesso, dopo tutta la sofferenza e il dolore che ha causato ma che ha anche dovuto sopportare. In ogni caso, la cosa non finirà lì.

Concludendo: se volevate un personaggio protagonista “tradizionale”, che fa sempre la cosa giusta e insegna a tutti ad essere buoni, forse The Last of Us non è una serie per voi. Perché Joel non è nemmeno l’anti-eroe che tanto piace a un certo tipo di pubblico. Non è un eroe: è solo un uomo. E di uomini, reali e credibili, se ne sono visti finora in un videogioco davvero pochi.

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