Noi abbiamo incontrato il regista e sceneggiatore Giacomo Abbruzzese, che dopo svariati cortometraggi e due documentari firma con Disco Boy il suo primo lungometraggio di fiction. Al centro personaggio di Alexsei, interpretato da uno straordinario Franz Rogowski, bielorusso determinato a superare illegalmente il confine francese e arruolarsi nella Legione straniera.
Ma ecco come Giacomo Abbruzzese ci racconta l’idea di raccontare la storia di un migrante da una prospettiva totalmente inedita, attraverso gli occhi di Alexsei, ma anche di Jomo e sua sorella Udoka, interpretati da Morr Ndiaye e Laëtitia Ky, nati sul Delta del Niger, destinati a incrociare la sua strada e cambiare per sempre il corso della sua vita.
MZP: La prima domanda è quasi obbligata dato il clima politico nel nostro paese. Con il tuo film volevo raccontare da una prospettiva diversa i flussi migratori, il desiderio di un futuro diverso, o meglio ancora il desiderio di cancellare tutto, il proprio nome, il proprio passato, per ricostruire da zero la propria vita?
Giacomo Abbruzzese: “Certo. Anzitutto i flussi migratori dall’Europa dell’Est sono stati molto poco rappresentati al cinema. Mi piaceva l’idea di cercare una prospettiva diversa, insolita. Il protagonista africano poi paradossalmente non è un migrante, è uno stanziale, quindi il suo personaggio va molto aldilà degli stereotipi sugli africani.”
“Jomo è una sorta di Don Chisciotte. Sarà sua sorella a capire che tutto è perduto e a partire per l’Europa, facendo da trait d’union tra i destini di Aleksei e Jomo.”
“Soprattutto, a me interessava fare un film di guerra dove per la prima volta l’altro esistesse pienamente. Normalmente nei film di guerra l’altro non esiste, per questo credo che una storia come questa al cinema non si sia mai vista. Nel film di guerra l’altro esiste come nemico e come vittima, ma esiste comunque solo per un minuto.”
Disco Boy. Giacomo Abbruzzese: “Ho immaginato il film come un percorso di ascensione”
Quali autori hanno influenzato il tuo cinema e in particolare Disco Boy? Come ti è venuta l’idea di fondere la struttura del film di guerra con la Club Culture?
Giacomo Abbruzzese: “La cultura dei club in qualche modo, per una certa generazione rappresenta l’ultimo avamposto del sacro. Attraverso la trance con un certo tipo di musica si cerca un rapporto con l’assoluto. Tutti abbiamo bisogno di cercare l’assoluto, anche se fingiamo di ignorare la questione, che lo vogliamo o no esiste un’altra dimensione.”
“Mi interessava raccontare i club in chiave sacra. infatti abbiamo girato in una vera chiesa trasformata in discoteca e la stessa colonna sonora, la techno di Vitalic ha elementi abissali, lirici, melancolici, che portano verso la trance e verso l’ascensione. Il film è costruito come un percorso verso l’ascensione.”
“A livello di reference, a me non piacciono i film citazionisti. Non mi piace il post-moderno. Mi interessa poco quel tipo di gioco, il gioco in cui lo spettatore si diverte a indovinare le citazioni. Anche da spettatore mi interessa non essere confortato in quello che so e quello che credo, ma essere spiazzato, vedere minate le mie certezze da tutti i punti di vista, estetici, filosofici, morali, politici.”
“Nel caso di Disco Boy il mio sguardo è anche costruito dai cineasti che io amo e sono parte di me. Ma non mi è mai capitato di girare una scena e andarmi a guardare come un altro regista ha girato una scena simile, non mi interessa. è normale e anche divertente che gli spettatori proiettino sul mio film qualcosa che hanno già visto.”
“Probabilmente alcune cose sono nell’aria e come artisti probabilmente le captiamo, come se avessimo delle antenne. Ma l’idea di avvicinare il corpo del ballerino al corpo del soldato non è un omaggio a Claire Denis, è un’idea che ho avuto incontrando una persona reale.”
Giacomo Abbruzzese: “Con Disco Boy abbiamo dimostrato che l’impossibile è possibile”
MZP: Hai appena accennato al fatto che la genesi del film inizia 8 anni fa. Qual è la storia di questa storia?
Giacomo Abbruzzese: “In realtà ci sono voluti 10 anni, tra ricerche, stesura della sceneggiatura e soprattutto per la ricerca dei fondi. abbiamo perso due anni per la pandemia, il film era già stato finanziato. È stato molto difficile fare un’opera prima così ambiziosa e così cara, abbiamo dovuto cercare soldi un po’ ovunque.”
“E anche quando alla fine abbiamo trovato questi 3 milioni e mezzo di budget chiunque incontrassi in Francia, dai direttori della fotografia ai direttori di produzione che cercavo di contattare, mi diceva sempre la stessa cosa: questo film è impossibile, servono minimo 45 giorni di riprese e 4 milioni e mezzo di budget.”
“Noi abbiamo girato in 32 giorni più uno, un giorno ho girato semplicemente io con una telecamerina insieme a Franz. Nell’ambiente, quando mi chiedono come avete fatto, rispondo: è stato un massacro. Personalmente ho perso 7 chili, recuperati solo durante il montaggio.”
“Ma è stato un massacro per tutti, non mi sono divertito, ogni giorno il mio unico pensiero era: salvare il film. sono riuscito a realizzare circa due terzi del decoupage previsto. Per questo sono felice che Disco Boy somigli al film che volevo fare. Però è stata una lotta che non auguro a nessuno e che spero di non dover mai rifare.”
“Paradossalmente è stato più semplice girare in Africa e in Polonia che non in Francia. In particolare in Polonia ho trovato una troupe di professionisti veramente straordinari. Parliamo di figure tecniche che capiscono il film, ci mettono l’anima, un fatto davvero molto raro.”
“Le serie garantiscono ingaggi anche per un anno, per questo è sempre più difficile trovare tecnici che si impegnino invece per un film d’autore. Io i miei film li ho sempre fatti così, con delle equipe commando, dove c’è solidarietà , dove tutti hanno un obiettivo comune.”
“Il film è una forma d’arte collettiva, è la cosa che più somiglia all’Opera in senso musicale classico.Oggi fare questo tipo di cinema non è certo un pranzo di gala, e questo film è stato fatto inevitabilmente nella sofferenza. Ma penso che abbiamo dimostrato con Disco Boy che l’impossibile era possibile.”
Se siamo abituati a interviste dove registi e autori si limitano fondamentalmente a risposte standard, ringraziando i loro straordinari attori per la meravigliosa avventura, la profondità e l’onestà di quest’intervista vi avrà già dato la misura di quanto Giacomo Abbruzzese sia un autore assolutamente anomalo rispetto al panorama contemporaneo.
Per questo, non possiamo che consigliarvi di non perdere Disco Boy, da questa settimana al cinema: un’opera lisergica, a tratti perturbante, lontana anni luce dal melodramma e dal patetismo, e per questo splendidamente originale.