Finita l’esperienza nella prestigiosissima writers’ room de I Soprano, Matthew Weiner propone a HBO un nuovo progetto al quale sta lavorando da un po’: si chiama Mad Men e racconta le vicende di un gruppo di pubblicitari nella Manhattan degli anni ’60. Ai vertici della nota tv via cavo la sceneggiatura dell’episodio pilota piace, ma vogliono che ci sia David Chase, già showrunner (e suo capo) per I Soprano, come produttore esecutivo.
A Chase lo script piace: pensa che il soggetto sia forte e abbia qualcosa di nuovo da dire, ma rifiuta lo stesso perché impegnato su altri lidi. Così quelli della HBO fanno un passo indietro e non se ne fa più niente. Richard Plepler, allora CEO di HBO definirà quella bocciatura come il suo più grande rimpianto: un autogol enorme in una carriera costellata invece da grandi successi.
Weiner non si scoraggia e lo propone a Showtime, ma niente. Dopo tanto peregrinare, il 19 luglio del 2007 va in onda negli Stati Uniti l’episodio pilota di Mad Men, di cui Matt Weiner è showrunner, head writer e produttore esecutivo. In Italia la serie arriva l’anno dopo, a marzo 2008 per la precisione, e ci mette poco a imporsi all’attenzione di pubblico e critica. A trasmetterlo è AMC, storica TV via cavo che nel suo catalogo vanta produzioni del calibro di Breaking bad, The walking deade Better call Saul.
Mad Men diventa un cult, va avanti per 7 stagioni concludendo il suo percorso nel 2015, con un totale di 92 episodi all’attivo, 4 Golden Globe e 15 Emmy Award.
Mad Men, la trama.
Sulla Madison Avenue di Manhattan, New York, c’è un’agenzia pubblicitaria che da anni detta legge e sbaraglia la concorrenza. Siamo negli anni ’60 e l’agenzia è la Sterling & Cooper. Il pezzo pregiato di questa scuderia di infallibili copywriter si chiama Don Draper, un uomo dall’indiscutibile fascino e dal talento impareggiabile.
Uno di quelli che le donne amano e gli uomini invidiano. La trama di Mad Men, volendo, è tutta qui: l’America raccontata attraverso un gruppo di creativi che tira le fila e influenza le tendenze del mercato e della politica. Ma ovviamente Mad Men non è solo questo. Nel racconto accorato di Matt Weiner c’è un dipinto fedele e imperituro dell’America di quel decennio, capace di resistere alla prova del tempo. Uno spaccato della società americana, delle opportunità e delle contraddizioni, di come tutto cambia per restare uguale.
Mad Men e il ruolo della donna
La serie di Matt Weiner è stata talvolta accusata di sciovinismo maschile. Un mondo governato dagli uomini in cui le donne possono al massimo ritagliarsi lo spazio di comprimarie. Negli uffici della Sterling & Cooper una pletora di uomini arriva ogni giorno a fare i propri porci comodi al cospetto di segretarie sottomesse, costrette a tutto quello che gli si dice perché sennò il posto di lavoro salta.
Quasi tutti i pubblicitari dell’agenzia sono adulteri e hanno avuto una relazione extraconiugale con una o più segretarie dell’ufficio. Una (Jane, segretaria di Don Draper per un breve periodo) ha addirittura fatto “carriera” diventando l’amante e poi la seconda moglie di uno dei soci fondatori, Sterling.
Ma allora Med Men è una serie maschilista e misogina? Nossignore. L’America del tempo era una società maschilista e misogina? Sissignore.
Mad Men è una serie che racconta l’America di quei tempi. Quelli in cui una donna doveva sgomitare dieci volte più di un uomo per far carriera; quelli in cui una gravidanza era un ostacolo, un problema che ti portava al bivio famiglia-carriera. Proprio come oggi. Siamo davanti a una di quelle serie che, come poche altre, hanno la forza e l’intelligenza di raccontare il presente raccontando il passato. Complice anche una writers’ room prevalentemente femminile, capace di dipingere personaggi femminili complessi e stratificati senza mai renderli macchiettistici.
Lo spiega bene il Los Angeles Time in un articolo dedicato alla serie:
“Il sessismo in particolare, è alquanto soffocante, ma è la forza contro la quale combattono i personaggi femminili più coinvolgenti, ed è l’opposizione a questo a definirle. L’interazione con la misoginia e l’aria di superiorità di tutti i giorni che dona ai personaggi uno scopo e una forma”.
La serie propone una bellissima dicotomia tra Peggy e Betty. Una polarizzazione forte ma al tempo stesso velata, quasi mai netta. Peggy Olson, uno dei personaggi più importanti e iconici dello show, partendo dal ruolo di semplice segretaria neo-assunta, riesce nel corso delle stagioni in una scalata professionale straordinaria che la porta a essere una copywriter alla pari con molti dei suoi colleghi maschi e appena un gradino sotto Don.
Con tanto di ufficio tutto suo che, episodio dopo episodio, diventa sempre più grande. A cosa deve rinunciare Peggy per arrivare così in alto? Alla maternità. Peggy porta avanti una gravidanza in maniera del tutto clandestina: la camuffa a lavoro, la camuffa a casa. Nessuno se ne accorge, incluso lo spettatore, al quale viene mostrata una Peggy emaciata, claudicante, ma mai dichiaratamente in stato interessante.
Questa, tra l’altro, è una delle poche cose della serie veramente poco credibili: come si fa a non accorgersi di una donna al nono mese? Fatto sta che comunque Peggy “la fa franca”, partorisce nell’anonimato più totale e torna a lavoro come se niente fosse successo, liberandosi immediatamente della prole.
A fare da contraltare c’è Betty Draper, la moglie di Don. Lei una carriera non ce l’ha. Ha sfornato figli e sta a casa tutto il giorno a badare a loro. È il classico angelo del focolare. Bellissima e capace, vive la sua vita da casalinga mentre Don è fuori a vivere la sua vita da stimato pubblicitario e conclamato adultero.
Anche il personaggio di Betty, proprio come quello di Peggy, vive un’evoluzione interessante. Perché se per certi versi la parabola dell’underdog che da segretaria diventa copy può essere classica, quella di Betty è sicuramente più imprevedibile: quando la sua idea di famiglia va in crisi, lascia Don, fa i bagagli e va via. Da quel momento in poi il suo personaggio cambia radicalmente perché getta via la maschera che aveva portato per tutti quegli anni, percorrendo una parabola meno classica e più sorprendente.
Mad Men, il cast.
Don Draper interpretato da Jon Hamm. Peggy Olson interpretata da Elisabeth Moss. Pete Campbell interpretato da Vincent Kartheiser. Betty Draper interpretata da January Jones. Joan Holloway interpretata da Christina Hendricks. Salvatore Romano interpretato da Bryan Batt. Paul Kinsey interpretato da Michael Gladis. Ken Cosgrove interpretato da Aaron Staton. Harry Crane interpretato da Rich Sommer. Rachel Menken interpretata da Maggie Siff. Roger Sterling interpretato da John Slattery. Bertram Cooper interpretato da Robert Morse. Lane Pryce interpretato da Jared Harris.
Mad Men e la storia con la S maiuscola.
Un’altra grande forza di Mad Men è quella di raccontare personaggi all’interno di un mondo che è in continuo cambiamento. La storia parte nel 1960, e il suo creatore spiega perché ha scelto di ambientarla in quel determinato periodo storico:
“Ogni volta che ho provato a cercare qualcosa di interessante di cui scrivere, quel qualcosa era accaduto nel 1960. Se guardate sull’almanacco cosa è successo quell’anno, vi esploderà la testa e non mi riferisco solo all’elezione di J. F. Kennedy. La pillola (contraccetiva ndr) arrivò sul mercato nel marzo del 1960, fu il più grande cambiamento su scala mondiale. Davvero. È sorprendente. Soprattutto se guardate ai film degli anni ’50. Una volta era inaccettabile parlare del fatto che gli adolescenti facessero sesso, cosa che invece facevano, ovviamente. All’improvviso, nei film, c’era una ragazza che restava in cinta, ma del come, non se ne parlava mai, quella questione era stata rimossa dalla società. Ecco cosa mi interessava del 1960.”
In Mad Men la Storia, quella con la -s- maiuscola, è sempre presente. Scandisce le stagioni. Non sta sullo sfondo; tutt’altro. Entra prepotentemente e si intreccia con la vita dei personaggi. Dalla crisi missilistica a Cuba, all’elezione di JFK, all’allunaggio. Spesso questi eventi ci vengono mostrati dal televisore o dalla radio di uno dei personaggi: è una scelta voluta, non certo casuale. Ci fa sincronizzare: l’intento chiaro è quello di settare lo spettatore sul grande orologio della Storia.
In questo Weiner percorre una direzione diametralmente opposta a quella del suo maestro David Chase che ne I Soprano lascia che la storia resti sullo sfondo e al centro ci siano le vicende di Tony e soci. La faccenda degli attentati alle Torre Gemelle viene liquidata in un dialogo veloce che ruba qualche battuta; fossimo stati in Mad Men avrebbe occupato una puntata intera. La scelta è quella di essere sempre bigger than life: i protagonisti tirano le fila del Paese, tirano ad esempio la volata elettorale al futuro presidente degli Stati Uniti; è chiaro che per personaggi così, la Storia ha il suo peso. Eccome se ce l’ha.
Se Peggy è il volto del cambiamento, Don Draper è il suo esatto opposto. Il suo immobilismo è quello di un uomo che viene da un’altra epoca. Don vive un conflitto con la Storia: proprio come sua moglie, indossa una maschera. Come Betty vive gli anni ’60 come fossero i ’50. Vivono l’American dream, almeno in apparenza. Non fosse per il lavoro, comprerebbe una casa in campagna dove far crescere i figli e una Cadillac nuova ogni anno.
Don è figlio di quel mondo lì, un mondo che non esiste più. Un mondo che ha perso la sua innocenza con l’assassinio di J.F. Kennedy e con lei un ideale puro di America pacifica. Un mondo che viene scosso di continuo e che Matt Weiner ci racconta magistralmente indagando gli angoli più bui della società americana di quel decennio: dall’abuso di alcol e sigarette all’omofobia; dall’adulterio al sessismo; dal razzismo al femminismo.