Per certi versi i Beastie Boys erano e rimangono una delle formazioni hip-hop più sottovalutate di sempre. Ecco perché
Quando nel 1986 i Beastie Boys pubblicarono il loro primo album, Licensed to Ill, qualche critico parlò di “tre idioti che accidentalmente hanno fatto un capolavoro”; e a parte il fatto che quel capolavoro era prodotto da Rick Rubin, forse in quei primi anni i tre un po’ idioti lo erano davvero.
Coinvolti nell’industria discografica da Russell Simmons, manager dei Run DMC, i Beastie Boys erano nati come band hardcore punk presto convertita al rap: ma i loro primi testi parlavano di fare festa, bere, fare festa ancora e bere ancora. E di come tutti e tre fossero belli, scatenati e migliori degli altri.
Ci volle lo scontro con la casa discografica, la celebre Def Jam, e il mancato pagamento delle royalties dell’album per farli rinsavire; ma non solo: parodia di ciò che volevano parodiare, i tre si ritrovarono presto ad incarnare lo stereotipo delle star senza cervello e soffocate dalla loro fama. E, come risultato, ad odiare le loro stesse canzoni.
Da quel momento iniziò un percorso di riscoperta per Ad Rock (Adam Horovitz), Mike D (Michael Diamond) ed MCA (Adam Yauch), volto alla scoperta di sonorità nuove, all’espressione di messaggi positivi e costruttivi e all’allargamento della loro formazione come musicisti che li portò con il tempo a comprendere nella loro musica rock alternativo, jazz, soul, funk, punk ed elettronica.
A gran parte del pubblico questa complessità e ricercatezza nella loro discografia ancora sfugge: per tanti rimangono ancora i tre “idioti” di Fight for Your Right, o al limite occasionalmente tre clown del rap che facevano video divertenti e un po’ stupidi; tre casinisti, ma poco più. E basta invece immergersi un poco tra le loro canzoni per scoprire un tesoro immenso.
Questo a cominciare dalla loro ottima preparazione come strumentisti, sensibile a suoni alternative e punk, e passando per l’influenza della pratica buddista seguita da MCA (che incontrò anche il Dalai Lama, e organizzò il Tibetan Freedom Concert). Il loro ultimo album è uscito nel 2011 ed è il momento giusto, ora che non sono più in attività, per riscoprirli come si deve.
10. Make Some Noise, 2011
Uno degli ultimi veri classici della band, presentato con un video infarcito di celebrità (con non tre ma ben sei loro alter-ego), questo pezzo è interessante perché ribalta il senso di quella famosa e ignorante Fight for Your Right to Party: anziché combattere “per il diritto di fare festa”, un MCA maturo e del resto malato (morirà purtroppo di cancro nel 2012) canta: “We gonna party for the motherfucking right to fight“. Cioè: “Facciamo festa per il cazzo di diritto a combattere“. L’inizio e la fine della loro splendida parabola.
Su un campione che riprende la classica Rapper’s Delight della Sugar Hill Gang, i Beasties parlano qui di sé stessi e della loro stessa mitologia, dell’immagine che si sono cuciti addosso e di come il pubblico li percepisce dopo vent’anni di attività. E dimostrano di essere ancora imprevedibili, per non dire imperscrutabili: “We’re mesmerizing, tantalizing, captivating, devastating“. Ah già, e in questo video vengono rapiti dal Sasquatch (e c’è pure un gustoso cameo di un esordiente Kanye West sul finale).
8. Three MC’s and One DJ, 1998
Mix Master Mike è un DJ che ha collaborato con il trio dal 1998 al 2012, cioè fino al loro scioglimento. Responsabile tanto di scratch e lavoro di piatti dal vivo quanto della creazione di basi, rappresenta una delle tante significative figure che circondano i tre e alle quali i Beasties rendono sempre omaggio nel loro lavoro. Senza collaboratori come Mix Master Mike non sarebbero gli stessi e lo prova il bellissimo video della canzone: i tre rimangono immobili finché non arriva lui, portando con sé “la musica”.
7. Sure Shot, 1994
“‘Cause you can’t, you won’t, and you don’t stop“: un pezzo apparentemente stereotipico di un certo rap auto-celebrativo e che, invece, nasconde una miriade di messaggi positivi; dall’incitamento al rispetto per le donne all’invito alla riflessione e alla contemplazione, il testo invita alla ricerca di un metodo per mettere a segno “un colpo sicuro” come metafora per la riscoperta di una sicurezza di sé e della decisione a crescere oltre sé stessi e i propri limiti. Filosofia rap come anche oggi ben poca se ne trova.
6. Body Movin’, 1998
Il brano è celebre nella versione remix del famoso produttore inglese Fatboy Slim (che, confidiamo, non ha bisogno di presentazioni) e per il videoclip che parodizza il nostro italianissimo Diabolik. Qui i Beasties mostrano tutta la loro abilità come macchiette e attori, comici e non, capaci di interpretare vari ruoli e di fare di un pezzo che è un inno alla corporeità e all’espressione della propria fisicità una classica hit di fine anni ’90. Immancabile.
5. Alive, 1999
Riassunto: i Beastie Boys fanno gli scemi in giro per New York (e sono pure divertenti) e nel frattempo parlano di problemi sociali, razzismo e omofobia, pregiudizi ed economia, pacifismo e unità. Un testo che potrebbe facilmente essere stucchevole e banale, e invece non lo è: anzi, è un perfetto esempio dell’etica progressista sposata dal trio in una delle loro canzoni più positive: “Dip dip dive so socialize / Open up your ears and clean out your eyes / If you learn to love you’re in for a surprise / It could be nice to be alive“.
Avete presente quando sentite parlare di hip-hop old school? Ecco, questa canzone riassume alla perfezione il concetto: prodotta dai miracolosi Dust Brothers, vede i tre passarsi il flow come una palla in una partita di basket, ballando con le voci su una base composta da una texture di campioni e sample più fitta di quel che sembra. Nel 1989 i Beasties sono ancora molto goliardici e festiaioli, ma già qui si coglie una ricerca di complessità non indifferente, nonostante le apparenze.
3. So What’Cha Want, 1992
Una bellissima traccia di dissing-anti-dissing che vede i tre rappare su una base alt rock che più anni ’90 non si può (e suonata da loro), con una ritmica rocciosa e imperante, voci eteree e distorte e passaggi di chitarra essenziali e asciutti tenuti a freno per colpire di più. Si tratta per metà del classico braggadocio rap ma con rime e riferimenti imprevedibili e volto più a sottolineare l’autenticità musicale e di intenti del trio che a prendersela con chicchessia. Un loro classico atteggiamento.
2. Sabotage, 1994
Sapevamo che stavate aspettando questo pezzo in lista e naturalmente non poteva mancare: i Beasties più rock e alternative si giocano una canzone di protesta atipica e surreale con un riff di basso di MCA e la voce urlata di Ad Rock che sembra cercare collegamenti con il grunge e con la scena dell’epoca. Tutto memorabile e ancor di più, chiaramente, grazie al famosissimo video diretto da Spike Jonze nel quale i tre si trasformano in detective stereotipati anni ’70.
1. An Open Letter to NYC, 2004
Forse uno dei brani rap più sottovalutati di sempre, questa canzone è una lettera d’amore per New York scritta all’indomani del 9/11. Sfrutta un campione di Sonic Reducer dei Dead Boys (storico gruppo punk della città) e sostiene un coraggioso messaggio di fratellanza, tessendo le lodi di una città che pur riprendendosi ancora dal trauma degli attentati è sempre decisa ad “accettare gente da ogni dove, da ovunque venga”. Nel 2004, anno della rielezione di Bush, è praticamente la miglior presa di posizione possibile.
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