Su Netflix è appena arrivsto Io sono l’Abisso, nuovo film di Donato Carrisi basato sul suo stesso omonimo romanzo del 2020. Il regista torna dunque dietro la macchina da presa a distanza di tre anni da L’Uomo del Labirinto e lo fa con una storia di serial killer e violenza ambientata sul Lago di Como. Il film ha un soggetto interessante e un’idea di base accattivante. Il cast, sebbene non possa contare sulle star a cui Carrisi ci ha abituati negli scorsi film, riesce a tenere lo schermo. Tuttavia la sceneggiatura piena di clichè e a tratti troppo confusionaria, rende questo Io sono l’Abisso davvero un film mediocre. Ma andiamo con ordine.
Io sono l’Abisso, Trailer
Io sono l’Abisso, il Cast
Michela Cescon: La Cacciatrice di Mosche
Gabriel Montesi: L’Uomo che Puliva
Sara Ciocca: La Ragazzina col Ciuffo Viola
Giordana Faggiano: Poliziotta
Sergio Albelli: Il Prof
Lidiya Liberman
Andrea Gherpelli
Katia Fellin
Adalgisa Manfrida
Saul Nanni: Raffaele
Federico Vanni
Diego Martin Romei
Leon Mancini
Daniele Parri
Michael Maggi
Io sono l’Abisso, la Trama
Un killer affetto da problemi psichici causati dai costanti abusi subiti dalla madre e dai compagni della donna agisce sul Lago di Como fingendosi un innoquo netturbino. Tuttavia la sua perfetta routine per non venire scoperto viene interrotta quando decide di salvare una ragazzina che si era buttata nel lago. Nel frattempo un’investigatrice che deve fare i conti con un tragico passato tenta di aiutare le donnne vittime di violenza e inizia a indagare sugli omicidi dello spazzino.
Io sono l’Abisso, la Recensione
Io sono l’Abisso è sicuramente un film che parte da un’idea di base molto ambiziosa. Carrisi tenta infatti di seguire contemporaneamente tre protagonisti (tutti rigorosamente senza nome) destinati ad incontrarsi. Il nostro killer con enormi problemi mentali, la nostra investigatrice dal tragico e passato e la nostra ragazzina suicida e poi salvata. Questa è sicuramente una delle cose meglio riuscite del film, in quanto il regista bilancia perfettamente il tempo in scena dei tre costruendo un background soddisfacente per ognuno di loro. Inoltre anche il ribaltamento dato dal fatto che gli spettatori sanno fin dalla prima scena chi il serial killer sia rende il concept di base abbastanza fresco. I problemi sorgono quando a questa buona intuizione iniziale, Carrisi inizi a collegare gli altri elementi della sceneggiatura.
Io sono l’Abisso soffre infatti di evidenti problemi che rovinano questo interessante concept. Innanzitutto i clichè, troppi e troppo evidenti. Il serial killer sociopatico abusato da ragazzino che sente le voci nella sua testa è un elemento così tanto utilizzato nel cinema da divenire stantio. Che poi nessuno ci spiegherà mai come sia possibile che un uomo con quel passato, incline alla violenza e con evidenti disturbi fisici e mentali non abbia un supervisore o almeno un medico che si occupi di lui. Il fatto che sia libero di agire e che viva da solo senza alcun controllo è solo un artifizio inverosimile per dare al killer il physique du rôle adatto alla parte.
Il killer di Io sono l’Abisso è così tanto stereotipato che, sebbene il film sia precedente alla serie tv, ricorda moltissimo Jeffrey Dahmer. Lo sguardo fisso, gli occhiali, le movenze lente, il fatto che droghi le sue vittime nei drink in discoteca. Tutto è così tanto già visto da essere incredibilmente simile a un killer reale divenuto celeberrimo con una serie tv. Tutto è chiaramente involontario, in quanto la serie dedicata a Dahmer è successiva al film. Tuttvia è ovvio che basandosi su terreni già così tanto battuti si finisca nel raccontare di persone già viste.
Dalla trappola dei clichè non fugge neanche la più giovane co-protagonista. La ragazzina (che in mancanza di nomi fornitici da Carrisi dobbiamo necessariamente chiamare così) è una delle classiche vittime del revenge porn su internet che troppo spesso sentiamo ai telegiornali. “Pecora nera” di una famiglia benestante, ribelle alle regole, con genitori austeri e che senza alcuna ragione che vi venga mostrata, sono freddi e algidi con lei creando quella classica condizione di giovane disagiata che si mette nei guai da sola.
Inoltre, il fatto che a soli 13 anni venga “venduta” dal ragazzo che ha le sue foto intime nel telefono per ricatto, crea l’ennesimo clichè narrativo pensato a priori ma che mal si colloca nel contesto che ci viene presentato. Discorso diverso per l’investigatrice che, sebbene viva in un situazione che sà molto di già visto, ha un background interessante e ci viene presentata e costruita in modo abbastanza originale, per gli standard di Io sono l’Abisso almeno.
Altro enorme problema di questo film sono le esagerazioni costanti che Carrisi crea per stupire lo spettatore. Il nostro killer non è stato abusato sessualmente o picchiato con una cinta, cosa classica di queste situazioni, no. A lui vengono strappati dalla madre e dai compagni di sorta, i denti con una pinza e viene stretta la testa in una morsa d’acciaio. La ragazzina non viene ricattata in modo che si confà a degli adolescenti viziosi e criminali. No. Lei viene fatta addirittura prostituire e venduta per soldi a terze persone e costretta a fare sesso in stanze nascoste durante le feste. Clichè anche questi tipici di giovani donne abusate, ma non tredicenni. Il sentore di esagerazione permea quasi ogni momento del film.
Arriviamo infine al tasto più dolente. La scenggiatura. Io sono l’Abisso non riesce quasi mai ad essere chiaro con lo spettatore. Troppe cose vengono suggerite e mai spiegate per bene, troppi momenti sono forzati e accatastati uno sull’altro per arrivare al punto di svolta che Carrisi aveva in mente. Un esempio, forse il peggiore di tutti, (quindi qualche SPOILER) può aiutare a capire cosa intendiamo.
La giovane protagonista getta il suo peluche preferito nella spazzatura. Il killer netturbino che aveva visto lo stesso pupazzo nelle foto di lei recuperate dal telefono (che funziona perfettamente dopo giorni nel Lago, ma tant’è) lo trova e senza nessun collegamento che ci venga spiegato lo riporta alla sua proprietaria.
Lo spettatore deve dunque dare per scontato che il killer controlli ogni singolo sacchetto di spazzatura del Lago così come visto fare all’inizio con la prima vittima, che non esistano altri netturbini e che lavori solo lui in quella zona e che riesca a collegare quel peluche ritirato casualmente dall’immondizia alla ragazza delle foto e riportarglielo scoprendo, senza nessuna particolare capacità deduttiva o investigativa, chi questa giovane sia.
Questa sequenza basata su elementi casuali crea a cascata altri elementi casuali e forzati successivi e fondamentali alla trama. La ragazzina dopo il ritrovamento del peluce, infatti capisce che c’è di mezzo la spazzatura e quindi butta una lettera indirizzata al killer che, ovviamente la trova, e accorre a salvarla. E così via, tra una forzatura e l’altra, fino alla fine.
Perchè poi lui non dovrebbe sapere cos’è uno smartphone nel 2019? Non ci viene mai presentato come un recluso, anzi. Perchè uno degli elementi fondamentali delle indagini sono dei cerini, oggetti oramai desueti, regalati nelle discoteche? Una continua forzatura per ogni elemento che alla lunga stanca davvero lo spettatore.
Insomma Io sono l’Abisso è un film decisamente mediocre. La regia di Carrisi, piena di artifizi e arzigogoli fini a sè stessi, come l’abuso di piani olandesi o di movimenti di macchina concentrici prolungati, non aiuta a rendere meno tediosa una vicenda che in ogni frangnete confonde e non stupisce. Ed è davvero un peccato perchè, come detto, il concept di base, una fotografia interessante e un cast davvero affiatato e di talento, avrebbe potuto sicuramente creare un film gradevole. Ma purtroppo le troppe forzature di sceneggiatura e i momenti nei quali le cose vengono solo mostrate e non spegeate per bene, annoiano rapidamente lo spettatore che è portato a capire poco o nulla e dimenticare rapidamente il film.
Voi che ne pensate? Avete già visto Io sono l’Abisso?