Una delle più belle, profonde e sottovalutate canzoni scritte da Kurt Cobain per i Nirvana: un testo che prova come lo scomparso cantante fosse un autentico poeta generazionale
Tante sono le canzoni e i testi che si potrebbero portare ad esempio delle incredibili doti poetiche dello scomparso Kurt Cobain. Ma un brano come All Apologies, pubblicato nell’ultimo album dei Nirvana, In Utero (1993), ne è forse la dimostrazione più completa perché rappresenta uno sforzo lirico esistenzialista e davvero notevole, che guarda al di là del significato stesso della vita.
Non stiamo esagerando: chi lo conosce sa che Cobain s’è sempre interrogato su queste alte tematiche e nella sua epoca le ha espresse con la musica rock e la sua chitarra; ma, fosse vissuto nell’800, sarebbe di sicuro stato un poeta tragico o una figura sofferente del tardo romanticismo.
All Apologies, scritta tra il 1990 e il 1993, è una canzone nella quale Cobain porge al mondo “tutte le mie scuse” per non poter mai essere altro che sé stesso, fedele al suo essere, con difetti e paranoie; incapace di semplice felicità, di accontentarsi di una vita banale o di non trovare difficoltà e complessità in ogni cosa.
“What else should I be? All apologies What else could I say? Everyone is gay What else could I write? I don’t have the right What else should I be? All apologies“
“Cos’altro potrei essere? Tutte le mie scuse Cos’altro potrei dire? Tutti sono allegri Cos’altro potrei scrivere? Non ne ho il diritto Cos’altro potrei essere? Tutte le mie scuse”
La fedeltà alla propria natura assume per lui l’importanza di un senso del vivere stesso, laddove come esprime nel refrain e in chiusura: “Sposato, sepolto, alla fine è tutto ciò che siamo”: la società e specie quella moderna ci valuta come individui solo in base al funzionamento delle nostre relazioni e come procreatori; dopo, possiamo anche morire.
Ed emerge qui il tema del rapporto d’amore, che chiama in causa chiaramente il legame tra Kurt e Courtney, sempre combattuto e che come sappiamo incontra difficoltà notevoli in molteplici occasioni, affacciandosi su abissi di violenza psicologica e finendo, di fatto, in tragedia. Difficile dire se o quanto la canzone parli proprio di lei.
Alcuni riferimenti si trovano, come nel verso “vergogna color spuma d’acqua”: molto criptica, questa espressione sembra far riferimento al colore degli occhi della Love, che possiamo immaginare abbiano colpito Kurt più volte con sguardi accusatori o biasimevoli volti proprio a criticare la sua irrimediabile natura.
“In the sun In the sun, I feel as one In the sun In the sun Married Buried“
“Dentro al sole, dentro al sole Mi sento completo Dentro al sole, dentro al sole Sposato, sepolto”
L’ultima strofa è la più poetica e la più profonda: Kurt sa che la felicità pura è propria delle persone che pensano poco e che sono in grado di trarre gioia dalle piccole e semplici cose, senza inutili complicazioni. Lui non ne è in grado: per ciò cerca un “nido di sale”, un riparo che disinfetti tutte le sue ferite, sia quelle fisiche che quelle psicologiche. Una relazione per esempio, appunto.
“Bruciato dal sole / Bruciato dal freddo” è un verso che si riferisce all’impossibilità di trovare mai, ovunque si vada (un deserto all’equatore, o le nevi dell’artico, per esempio) un posto in cui sentirsi davvero a casa o in pace con sé stessi. Comunque vada si rimane sempre bruciati, specie se iper-sensibili come lui.
Il verso più bello, “Soffocata dalle ceneri del suo nemico”, è anche il più imperscrutabile. Non sappiamo se si riferisca alla Love o al genere femminile per intero, ma esprime un concetto chiaro: nell’amore non ci sono vincitori e anche “lei” (her), chiunque ella sia, rimane ironicamente vinta in seguito alla sua vittoria nella relazione: il suo nemico, il suo (ex-)partner brucia, ma la trascina via con sé.
“I wish I was like you Easily amused Find my nest of salt Everything is my fault I’ll take all the blame Aqua sea foam shame Sunburn freezer burn Choking on the ashes of her enemy“
“Vorrei essere come te Facilmente divertito Trovare il mio nido di sale È tutto a causa mia Prenderò tutta la colpa Vergogna color spuma d’acqua Bruciato dal sole, bruciato dal freddo Soffocata dalle ceneri del suo nemico”
“All in all is all we are“
“Alla fine è tutto ciò che siamo”
“Dentro al sole mi sento completo” canta Cobain; o “Mi sento un tutt’uno”: il bisogno di una completezza, una necessità primordiale quasi platonica, è impossibile da soddisfare se non mirando a qualcosa di meno carnale e immediato e di più alto ed astratto; che sia un Dio, che sia l’amore, che sia un altro mondo o l’aldilà: il sole lo rappresenta.
Ed è comunque tutto vano perché l’eco di “All in all is all we are”, cantato in armonia con Dave Grohl mentre la canzone lentamente si chiude suggerendo l’approssimarsi di una fine inevitabile e silenziosa (bene si coglie nella performance dell’Unplugged), è foriero di una futilità suprema che tutto inghiotte: a che serve porsi tante domande, se il finale è sempre quello per tutti?
Inoltre la chiusura del brano sembra riferirsi la famosa citazione di Neil Young ripresa dallo stesso Cobain nella sua lettera d’addio: “Meglio bruciare in fretta che svanire lentamente“. Il tipo di destino indegno e privo di significato che Kurt vuole evitare e che, come sappiamo, a modo suo riuscirà a sfuggire.