I Paramore in versione post-punk con un album profondo, malinconico, introspettivo e rabbioso. Come non li avete mai sentiti.
“Mi sento così inutile dietro a questo computer“: lo canta Hayley Williams, storica vocalist e leader dei Paramore, ed è solo uno dei versi della ormai storica band americana che colpiscono come proiettili tra le liriche amare del loro nuovissimo disco: This Is Why. Il primo album strettamente post-punk del gruppo e anche, fino ad oggi, quello più intenso in tutti i sensi.
Dimenticati gli esordi pop punk e superata la fase indie rock degli anni ’10, il trio ri-composto con Zac Farro (batteria) e Taylor York (chitarra) si affida infatti a sonorità che richiamano (influenza già dichiarata) gli inglesi Bloc Party ma anche, per esempio inFigure 8, i Foals di Total Life Forever e poi a tratti indietro fino a Siouxsie and the Banshees e al sound classico del genere fine anni ’70.
Ritmi concitati, intrecci raffinati di chitarra, atmosfere dalle ricche sfumature e la potente voce della Williams sono gli elementi che concorrono alla costruzione di un sound unico per il 2023: di una band pop che non è più pop solo ora che non è più un crimine e di un gruppo punk che non è mai stato punk ma lo è, oggi, più autenticamente di molti altri.
E non basta il suono: le riflessioni liriche della Williams riportano il sentire di una generazione intera, la sua (millennial; lei è classe 1988), che dopo gli anni del virus si sente impotente di fronte all’evidente fallimento dell’utopia della comunicazione social e affronta con scoraggiamento il nuovo mondo degli anni ’20 fatto di forzata iper-connettività, infodemia palpitante e inconfessabile fragilità mentale.
Il recupero di una dimensione strettamente umana, personale e sia pure da anti-hero è essenziale in un mondo che ci vuole buoni, competitivi, positivi ed interessanti. “Odio ammettere che migliorare è noioso“, canta sempre la Williams con l’amaro in bocca di mille sedute di terapia alle spalle. E, in Running Out of Time: “E se io fossi solo una stronza egoista?“
L’album è quindi questa ricerca eterna di un perché: più un sussurro sconsolato che un grido di rabbia, più uno sguardo introspettivo che un pugno contro il muro. Le canzoni suonano come pacate constatazioni di fronte a una realtà che non si può cambiare, che è cristallizzata a meno che non lo decida il “cuore collettivo” (The News) che è la famigerata rete. E che, ovviamente, non decide mai davvero in tal senso e mai lo farà.
Tutte le dieci canzoni dell’album funzionano benissimo ma a spiccare sono sicuramente la title track, The News, C’est Comme Ça, You First e Figure 8. I Paramore mostrano tutta la maturità musicale dei loro quasi vent’anni di carriera (ebbene sì) e anche la volontà di fare quello che vogliono, con la sicurezza di chi il suo posto nella storia della musica se l’è conquistato di disco in disco e non ha più nulla da dover dimostrare.
Allora il trio può dedicarsi a una concettualizzazione matura di argomenti e spunti sempre sviluppati nel repertorio della band ma oggi acuiti e resi urgenti dall’intensità dei tempi: tra pandemia e guerra si parla di iper-competitività, di ansia insinuante, di rapporti insostenibili e di quella forma di disperata egomania che ormai, in fondo, affligge tutti noi. E lo sappiamo il perché. Questo è il perché.