Maneskin: per Pitchfork in Rush! sono “assolutamente terribili ad ogni livello concepibile”

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Pitchfork stronca terribilmente Rush! dei Maneskin, con un bel 2 (su 10) e distruggendoli in una recensione tremenda

Doveva succedere prima o poi: voce del fenomeno Maneskin è infine giunta anche dalle parti dei temutissimi di Pitchfork, che per chi non lo sapesse è il magazine musicale in assoluto più radicale ed estremo, che non perdona alcun tipo di musica che sia meno che geniale o sperimentale e avversa da vent’anni e più qualunque fenomeno commerciale.

La loro recensione (la potete leggere qui) si può riassumere così: i Maneskin non sono veramente alternativi perché la musica alternativa non esiste più; sono un fenomeno costruito, perfettamente cesellato e figlio della nostra era. Risposta: grazie, lo sapevamo già. Il problema di fondo è sempre quello: i critici, specie quelli ideologizzati e di vecchio stampo, non sopportano i fenomeni di successo.

E chiaramente, solito discorso, chi conosce la storia della musica sa benissimo che tutto quello che fanno i Maneskin è già stato fatto, almeno dagli anni ’70 in poi, in una forma o nell’altra. Ma è altrettanto ovvio che i quattro vanno ascoltati al netto di questo discorso: siamo in un’epoca in cui l’originalità in musica è una chimera e non è solo il caso del quartetto romano.

Ma citiamo alcune frasi della recensione del loro ultimo album ad opera di Pitchfork: “Rush! è assolutamente terribile ad ogni livello concepibile: vocalmente stridente, musicalmente monodimensionale, liricamente [come testi] poco immaginativo. Ed è un album rock che più lo riproduci ad alto volume, peggio suona”. E non è finita.

Mammamia, uno dei singoli di punta dell’album, viene definita come: “Una scelta che fa venire in mente una band di liceali che fanno prove, o un mal di testa”. E si aggiunge: “La loro influenza primaria sembra essere Seven Nation Army cantata [dai tifosi] a una partita di calcio, seguita da vicino dagli ultimi Red Hot Chili Peppers, seguiti estensivamente da… niente”.

Si attacca l’ipocrisia del messaggio alternativo e “rock” dei Maneskin così come, anche, la loro pretesa di un’immagine pansessuale e progressista laddove le musiche richiamano di fatto il “dick rock” dei gruppi fallici e maschilisti degli anni ’70 (i Led Zeppelin, per esempio) e avendo inoltre la colpa di affidarsi a produzioni marcatamente pop come quelle per mano di un Max Martin.

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Sex-idiot rock” viene definita questa musica e si sostiene pure che meriterebbe meglio di così. Non aiuta, ulteriore accusa a carico, che: “Il loro successo sia stato spinto da reality show europei [Eurovision e Sanremo sarebbero reality show, ok], algoritmi e ‘vantaggio cumulativo'”. Insomma, per Pitchfork il peggio del peggio.

La cosa che non va giù, chiaramente, è quella che non va giù a tutti i detrattori dei Maneskin: che, cioè, dai fan vengano visti come un gruppo autenticamente alternativo; così come per esempio, ai tempi, non si sopportava che in tal modo venissero visti per esempio i Tokio Hotel, un fenomeno mediatico (più che musicale) molto simile. Insomma: “Volete mettere con *inserire gruppo cult della propria giovinezza*?”

E non c’è da aspettarsi di meno da critici che fanno ragionamenti come il seguente: “L’alternative rock [negli Stati Uniti] era un genere che prevedeva – d’accordo con le leggi sociali degli anni ’80 e ’90 – che ciò che ti piaceva segnalava quello che non ti piaceva: avendo un disco dei Sonic Youth rimpiazzavi l’energia che altrimenti sarebbe stata consumata da un disco degli Spin Doctors“.

“Era una [legge] fisica, più o meno, e ci costruivi intorno la tua identità”. Un’idea tremenda, per non dire apertamente stupida, che risponde all’ideologia dicotomica di Pino Scotto: “Ci sono due tipi di musica: la musica buona, e la musica di merda”. Per fortuna, oggi non si ragiona più così e questa concezione ideologica della musica viene finalmente abbandonata.

Una cosa, infatti, Pitchfork la dice giusta: “Il problema è che circa dieci anni fa, all’alba dell’era dello streaming, l’alternative per come lo conoscevamo si è estinto. Fruire di musica sui servizi in streaming ha reso la musica un evento multiversale, una conversione di massa all’ascolto di tutto, ovunque, nello stesso tempo“. Potrà non piacere, ma è proprio così.

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E dice quindi la recensione: “I generi si sono insilati […], appassendo fuori e fiorendo dentro”. E quindi i Maneskin sono “Caos in un vuoto, e rimaniamo con il senso di una band che suona come la parodia di una copertina del NME dei primi anni ’00 e le cui vibrazioni sarebbero meglio descritte come una versione alla Cirque du Soleil dei Buckcherry“.

Si può essere d’accordo o meno ma rimane il fatto che i Maneskin sono il sintomo di un’era, con pregi e difetti. E poi, ovviamente, non si considera il solito fattore generazionale: è chiaro che i giovanissimi che scoprono i Maneskin su TikTok non avranno mai ascoltato, sia pure, i White Stripes, i Led Zeppelin e forse nemmeno i Buckcherry. Ecco perché, per loro, pare di sentire qualcosa di autenticamente originale.

Inoltre, per quanto retorico possa sembrare, è vero che il loro successo ha fornito un’alternativa particolarmente appagante, al cambio di decennio, al dominio di trap, rap, R&B iper-prodotto e pop. Questo un altro dei motivi della loro popolarità e se non si può fare di meglio è semplicemente perché il pubblico non è curioso: ci sono molte altre band rock più meritevoli dei Maneskin? Sì, ma non risaltano come loro.

Questo perché, e dovrebbe essere ovvio a chiunque, i Maneskin non sono un fenomeno musicale ma un fenomeno mediatico. Dire che la loro musica è scontata è… scontato. Dire che sono ipocriti è ipocrita. Dire che fanno cose già fatte… serve anche dirlo? Insomma, se c’è bisogno di un gruppo o di un artista da prendere di mira quello ci sarà sempre, Maneskin o non Maneskin. Ma se in quanto appassionati di musica è proprio questo il vostro bisogno primario, una o due domande magari potete anche porvele.

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