Ian Curtis: una delle figure più tragiche della storia del rock e della musica. Un uomo qualunque vessato dalla malattia e infine sconfitto dalla vita, o involontario profeta del post-punk e criptico poeta incompreso?
Si può fare musica nella gelida Manchester? Con gli occhi di un appassionato di oggi sì, perché le evoluzioni dei fratelli Gallagher negli anii ‘90 non sono di certo passate inosservate nemmeno agli occhi del più distratto dei fruitori. Anni in cui Noel e Liam, prima di dividersi in maniera burrascosa, scalavano le top 10 dell’orbe, non prima di aver ingaggiato una lotta senza quartiere contro Damon Albarn e i suoi Blur, al grido di: “Maledetti fighetti Londinesi. Noi siamo di Manchester!”.
Ma prima degli Oasis cosa ci si aspettava dalla scena musicale cittadina? Manchester è infatti nota per essere una località laboriosa grazie alla sua florida industria tessile, in particolare cotone, e per l’estrazione e lavorazione del carbone e non certo per i riff provenienti da una Fender e per concerti degni di un club.
A confermare questa tesi ci viene in soccorso un Irlandese duro come la roccia e capitano dello United che nei ‘90 mieteva successi calcistici in ogni angolo del vecchio continente: “Manchester è un luogo che rappresenta il massimo calcistico cui ambire, ma al tempo stesso una città dove alle 17 è notte fonda e la pioggia ti sferza per tutto l’anno” (Roy Keane)
Se a questo aggiungiamo che il protagonista della nostra storia non è di Manchester ma è nato e cresciuto nell’hinterland, il gioco è presto fatto e la vita gli potrà sembrare ancor più monotona di quanto possa immaginare. È proprio in questo ambiente non certo ovattato che a metà di Luglio del ‘56 venne alla luceIan Curtis, secondogenito di una coppia della working class locale.
Una famiglia come tante altre in cui Kevin e Doreen Curtis permisero al giovane di casa di trascorrere il tempo come meglio preferiva, a patto che il rendimento scolastico non subisse scossoni gravi causati dalla passione per la poesia e dal desiderio atavico di seguire le gesta del suo idolo, David Bowie.
L’impegno scolastico di Ian non si conclude però con il raggiungimento del diploma. Il ragazzo è infatti guidato dal desiderio sempre più profondo di provare a fare qualche cosa di propria creazione, grazie a qualche testo scritto di proprio pugno unito a una conoscenza musicale che oltre a Bowie si fregia di tutto quel che di eccellente proviene dall’Inghilterra dei ‘70; se pensate al punk rock e a Johnny Rotten state pensando fin troppo bene.
Perché è vero che Ian sia un ragazzo timido e che nella musica e nella lettura trovi la propria pace, ma è anche vero che vorrebbe trovare una strada professionale preferibilmente distante da Macclesfield e da un impiego nel locale ufficio di collocamento al quale parrebbe destinato per gli anni a venire.
Ian è infatti assunto per cercare collocazione per persone disabili con difficoltà di socializzazione e mentali. Casi difficili affidati a un ragazzo di appena 18 anni cui la vita ha dato in eredità una malattia quanto mai insidiosa: l’epilessia fotosensibile. In presenza di fonti di luce abbaglianti Ian diventa preda di convulsioni che possono essere sedate solamente dall’assunzione di medicinali ingeriti in quantità industriali.
Quindi decadentismo poetico, punk rock e hit del momento, diventano nella mente di Curtis un modo per sfuggire a una routine segnata fin dalle proprie origini, al punto che il matrimonio suggellato ad appena 19 anni con un’ex compagna di scuola sembrerebbe dare conferma al più classico dei mantra cantati da Giovanni Lindo Ferretti e i suoi CCCP: “Produci, consuma, crepa”.
Afferrato il coraggio a due mani, che per un giovane schivo non è assolutamente cosa semplice, Ian risponde a un annuncio appeso all’interno del negozio Virgin di Manchester. Difatti nel medesimo periodo in cui era alle prese con le proprie fantasie musicali, tre suoi conoscenti, fra loro ex compagni di classe e amici fin dall’infanzia, dopo aver assistito a un concerto della band locale dei Buzzcocks assieme ai Sex Pistols, ebbene sì, sempre loro, tenutosi presso la locale Free Trade Hall, decidono di tentare la fortuna afferrando i propri sogni a due mani e dando vita a un gruppo punk.
L’annuncio al quale risponde Ian è per la ricerca urgente di un cantante dotato di presenza scenica. Una presenza che in lui viene intravista, vuoi perché conosciuto dai tre, causa frequentazioni comuni, vuoi per la necessità di trovare velocemente un vocalist, dato che le possibilità di esibirsi live ci sono grazie anche all’aiuto di Martin Hannett, agente e produttore proprio dei concittadini Buzzcocks.
Ian viene quindi scritturato senza audizione e le performance live dei quattro, che nel frattempo avevano modificato il nome Stiff Kittens in Warsaw, in onore del pezzo strumentale Warszawa di David Bowie, diventano fin da subito un continuum ideale dell’onda punk-rock di matrice anglosassone. La mano di Ian si fa però quasi subito sentire facendo virare testi, musica e performance verso una maggiore introspezione personale, sovrapponendo all’uso smodato della batteria le tastiere e il sintetizzatore.
A fine ‘77 i Warsaw effettuano un nuovo cambio di nome dovuto all’avvento contestuale sulla scena punk Londinese dei Warsaw Pakt, omonimia che li spinge a variare il proprio nome in Joy Division, in ricordo dei gruppi di prigioniere dei lager scelte per intrattenere sessualmente gli ufficiali nazisti.
Il gruppo, che dopo vari cambi di formazione si stabilisce definitivamente in un assetto a quattro che prevede Bernard Summer alla chitarra, Peter Hook al basso e Stephen Morris, ex compagno di scuola di Ian, alla batteria, oltre allo stesso Curtis, diventa quasi immediatamente la spalla ideale per buona parte dei gruppi di Manchester e dintorni.
Fra questi Drones, Fall, V2, Panik e Slaughter and The Dogs e i soliti Buzzcocks, con i quali divideranno più volte il palco diventando, sulla scia di An Ideal Living, EP composto da quattro tracce, la vera attrazione della scena underground inglese anche grazie a quella presenza scenica che Ian sa fornire a ogni performance live e fatta di movimenti dinoccolati e sussulti che richiamano la tanto temuta epilessia.
A questo punto sale l’attesa per il primo LP, vero banco di prova per valutare le capacità del gruppo e per capire se quel che di buono s’era visto fino a quel punto corrispondesse a realtà.Unknown Pleasures, registrato ad aprile ‘79 presso gli Strawberry Studios di Stockport e in uscita nel giugno di quello stesso anno, reca in copertina uno sfondo nero percorso da una fila di onde elettromagnetiche, presentando dieci tracce successivamente diventate prodromi del post-punk e il cui trait d’union sono testi malinconici e introspettivi e impreziositi dalla voce cavernosa di Ian, il quale, a fronte dei primi successi in ambito musicale – il primo LP inizia infatti a cementare uno zoccolo sempre più numeroso di fans e critici – deve fare fronte ai primi problemi coniugali.
La moglie Deborah partorisce la figlia Natalie proprio in quel gelido Aprile del 1979 ma il matrimonio felice, suggellato qualche anno prima, sembra ormai uno sbiadito ricordo. Ian è sempre più distante. Perennemente impegnato fra concerti, la sala d’incisione, la stesura di nuovi pezzi, il lavoro presso l’ufficio di collocamento e l’interesse mostrato per Annik Honoré, giornalista con la quale stava intrecciando una relazione. Alla vigilia della partenza per la prima tournée del gruppo con direzione Stati Uniti e con una situazione famigliare ormai allo sbando Ian Curtis decide di affidare la propria vita a un cappio fissato a una rastrelliera della cucina e farla finita a 24 anni ancora da compiere.
Cosa l’abbia spinto a un gesto così estremo è ancora un tema controverso alimentato da accese discussioni fra componenti della band, parenti e fans. Forse la vita coniugale terminata dopo pochi anni e con lei le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare per poter frequentare la figlia Natalie, o forse la salute sempre più precaria che lo rendeva preda di convulsioni sempre più frequenti, oppure quei medicinali inghiottiti per curare le crisi epilettiche e fra i quali appare il fenobarbitone, anticonvulsivo che non di rado può causare effetti collaterali.
A trovarne il corpo fu Deborah alla quale la vita con Ian riservò un ultimo colpo di scena. Closer, disco postumo degli ormai sciolti Joy Division, è introdotto dal singolo Love Will Tear Us Apart, primo e ultimo vero successo commerciale della band. Un singolo capace forse di fornire parte di quelle spiegazioni per una decisione così assurda; su un intreccio di riff e tastiere la voce di Ian descrive la fine di un amore tormentato. Una fine che impone scelte sofferte ma inevitabili.
A soli tre mesi dalla sua scomparsa i membri superstiti dei Joy Division decidono di affrontare coraggiosamente lo shock gettandosi a capofitto in un nuovo progetto musicale denominato New Order, con il quale apriranno la strada ai primi vagiti della neonata new wave. Di Ian Curtis, scomparso giovane e con ancora molto da dire, ci restano una manciata di testi malinconici e ballabili, due dischi divenuti cult per la scena post-punk.
E poi: una voce baritonale e inconfondibile, il gusto per l’introspezione ma anche una descrizione differente proveniente da chi lo ha conosciuto come i suoi colleghi di band e dell’ufficio di collocamento, i quali lo dipingono come un ragazzo alla mano, cordiale, incline allo scherzo, quindi molto differente dalla figura del depresso cronico, ma al tempo stesso capace di estraniarsi improvvisamente, probabilmente conscio che la sua vita stesse bruciando velocemente, come una candela accesa da ambo i lati.