Viste le polemiche degli ultimi giorni è il caso di fare “luce”, diciamo così, sulla storica copertina di Dark Side of the Moon dei Pink Floyd e sul tanto contestato arcobaleno: qual è il significato originale dell’artwork?
Il significato dietro la famosissima copertina di Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, l’album capolavoro della band del 1973, appartiene per molti di noi (e specie per gli appassionati di musica) ad un corpus di conoscenze di base nelle quali ci si è imbattuti ancora in tenera età e che vengono, perciò, in genere date per scontate.
Ma è anche vero che sono passati cinquant’anni ed è possibile e anzi plausibile che, specie tra i giovanissimi e tra chi non mastica particolarmente di rock classico (che spesso è la stessa cosa) il senso di questa immagine possa sfuggire; e portare, perciò, al tipo di equivoco molto 2023 al quale abbiamo assistito.
Infatti, che si tratti di una grande presa in giro o meno, basterebbe giusto un po’ di conoscenza in più in materia per soffocare simili questioni sul nascere e, già che ci siamo, sedare omofobia e transfobia prima ancora che abbiano il tempo di tradursi in parole su Twitter. In questo caso, sarebbe sufficiente conoscere la storia di questa famosa copertina.
L’artwork è stato realizzato nel 1973 dal famoso studio grafico Hipgnosis, il più celebre nel campo delle cover di album musicali, assieme a George Hardie. Precedentemente Hipgnosis aveva già realizzato quasi tutte le copertine degli album dei Pink Floyd, comprese quelle di Ummagumma (1969), Atom Heart Mother (1970) e Meddle (1971).
L’idea per questa copertina in particolare è stata di Storm Thorgerson, leggendario designer di Hipgnosis e di fatto creativo in capo del gruppo. L’ispirazione veniva da una foto trovata semplicemente in un album di fotografie varie, e che rappresentava il fenomeno ottico della rifrazione della luce attraverso quello che viene chiamato un prisma dispersivo, risultando nel famoso arcobaleno.
Il quale, risalendo a studi effettuati nientemeno che da Isaac Newton all’inizio del diciottesimo secolo, non rappresenta altro che la scomposizione della luce bianca nelle sue varie componenti dello spettro ottico visibile. Ossia, appunto, i colori che associamo all’arcobaleno. La copertina è stata realizzata per illustrare pari pari questo concetto.
Che cosa c’entra la comunità LGBTQI? Assolutamente nulla: è infatti una coincidenza che il movimento sfrutti nelle sue varie forme proprio l’arcobaleno come simbolo e sulle proprie bandiere ai pride. In questo senso pare che l’autore della prima rainbow flag, Gilbert Baker, sia stato ispirato dalla canzone Over the Rainbow di Judy Garland ma anche da She’s a Rainbow, dei Rolling Stones.
In ogni caso l’arcobaleno vero e proprio, essendo un fenomeno metereologico (rain bow = arco di pioggia) è stato osservato fin dall’antichità e sfruttato in numerose occasioni nella cultura popolare (pensiamo per esempio ai Rainbow, gruppo rock di Ritchie Blackmore e Ronnie James Dio), oltre a queste. Di nuovo: basterebbe un pochettino di conoscenza in più, o anche solo di curiosità .
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