Ci sono film, a volte, che riescono a superare la loro condizione di opere limitate nel tempo e nello spazio. Ci sono film, a volte, che riescono a diventare qualcosa di più. Ci sono film, a volte, che diventano frammenti di memoria. È il caso di Aftersun, film d’esordio della 35enne regista scozzese Charlotte Wells, disponibile su Mubi dal 6 Gennaio, presentato per la prima volta al Festival di Cannes in occasione della settimana internazionale della critica.
Aftersun, la trama
La pellicola di Charlotte Wells, già amata e apprezzata in tutto il mondo, racconta di una breve vacanza estiva di un padre e una figlia, Calum e Sophie, rispettivamente interpretati da un commovente Paul Mescal (che probabilmente ritroveremo nel sequel de “Il Gladiatore“) e da una sorprendente Frankie Corio.
Aftersun, la recensione
In “Aftersun” Charlotte Wells riesce a creare potentissime immagini che raccontano storie
Una storia che è dunque apparentemente “piccola”, ma è proprio nelle pieghe di una settimana banale che lentamente il rapporto fra i due (che normalmente non vivono insieme) si solidifica e trova nuove strade. Il Calum di Paul Mescal è un giovane uomo sofferente, spezzato da un dolore continuamente tenuto fuori dallo sguardo (quello della piccola Sophie, che Charlotte Wells fa coincidere col nostro). Eppure quel dolore è egualmente percepibile, palpabile. Una frattura nell’anima che è resa materia concreta da una metaforica frattura al braccio.
I libri di Tai Chi sul comodino sono dettagli, dettagli che raccontano un uomo che tenta di trovare una pace forse irraggiungibile. “Non so se arriverò ai 40 anni, mi stupisco di essere arrivato ai 30“, lo sentiamo dire. La forza dell’opera di Charlotte Wells sta tutta nel ritrarre il legame fra i due, nel restituirlo a chi guarda con immensa forza e profondissimo calore pur senza mai stravolgere la narrazione con eventi particolarmente significativi.
Un film costruito sui silenzi, sui pomeriggi in piscina, sulle serate al karaoke (c’è tantissima musica, in Aftersun, da Unchained melody a My oh My degli Aqua fino aLosing my religion dei R.E.M.), su quei momenti estivi che sembrano perdersi nella noia e nel nulla ma sono in realtà carichi di tutta quella vita e quell’amore che, forse vanamente, si cerca di ritrovare (o ricordare) per tutta la vita.Â
Aftersun è infatti un film fatto della stessa materia dei ricordi. Ricordi che sono immagini, immagini intangibili soggette al tempo, alla possibilità di essere smarrite. Ricordi che si mescolano con immagini tangibili, quelle della videocamera che Sophie porta sempre con sè e con cui riprende i piccoli momenti di vita in compagnia del padre. Immagini che non possono essere smarrite.
Charlotte Wells ci racconta un legame padre-figlia che a tratti ricorda Somewhere (film di Sofia Coppola del 2010, Leone d’oro a Venezia), immerso in atmosfere colorate e sognanti che però sembrano nascondere un qualche tipo di dolore sommerso, in maniera simile a “Un Sogno chiamato Florida” (Sean Baker), un’altra straordinaria opera sull’infanzia e sul potere di un’immaginazione che cresce nonostante le mille difficoltà intorno.
Ciò che lascia senza fiato, in Aftersun, è la sua straordinaria natura di opera così profondamente personale per la regista (che ha lasciato intendere, in una lettera, che i fatti narrati, riprendono in parte la sua stessa vita) eppure così potenzialmente vicina a tutti.
Difficile non ritrovare un po’ di se stessi nel racconto del vuoto che lentamente divora Calum, difficile non comprendere il suo enorme tentativo di non far percepire tale vuoto a Sophie. Forse impossibile non restare senza fiato, col cuore in gola, davanti al loro rapporto che non esplode mai nella pura gioia ma è continuamente immerso in una sensazione dolce-amara, che sa di nostalgia, che sembra presagire la fine di un’estate.
Sophie è bambina e già donna, pur non potendo capire il vuoto che attanaglia il padre lo avverte ugualmente. Calum, pur non potendo non sprofondare, si regge in piedi a fatica per dare alla figlia un ricordo di lui (l’ultimo?) che resti per sempre impresso bellissimo e puro, come una fotografia da guardare a tantissimi anni di distanza, dopo moltissimo tempo. Lo stesso tempo che sembra non passare mai nei pomeriggi d’estate, lo stesso tempo che sfugge fra le dita come sabbia.
Aftersun è dunque un film dall’enorme potenza, capace di racchiudere così tanto in così poco. Un film in cui vengono raccontati dolori laceranti e amori immensi, sensazioni debordanti in attimi di quiete, il rumore frastornante delle paure che si scontra col silenzio e la quiete di un abbraccio fra padre e figlia, l’eternità congelata nel tempo.
Un’opera che non lascerà indifferenti e che mostra al mondo quello che sembra essere il talento purissimo di Charlotte Wells. Una regista da seguire in futuro con profondissimo interesse. Perchè già oggi, al primo film, ci ha regalato una delle opere più belle dell’anno. Aftersun, un film che è doloroso e bellissimo, immensamente nostalgico, come la fine dell’estate.