Vi ricordate di questo bellissimo film? Un grande cult perso nel passato a tema videogiochi, che ci ricorda quando non a tutti piacevano ed erano una passione speciale per pochi
Il Piccolo Grande Mago dei Videogiochi (The Wizard) è un film del 1989 che parla, l’avrete indovinato, di videogame. Nello specifico, questo vecchio e polveroso cult movie segue le vicende appunto di un piccolo campione miracoloso dei videogiochi, un Tommy del joypad traumatizzato dalla perdita della sorellina.
Non parla, vive con sconforto la divisione della sua famiglia e ripete in continuazione la parola “California”, luogo ideale che lui identifica come l’ultimo nel quale si è sentito veramente felice assieme ai genitori e ai fratelli. Rischiando di finire in un istituto, Jimmy fugge con l’aiuto del fratello maggiore Corey e i due decidono di dirigersi proprio in California.
Più tardi incontrano la sveglia e furba Haley, e constatato il talento di Jimmy con i videogame (batte persino il pro gamer Lucas) decidono di farlo partecipare al Video Armageddon, una competizione proprio a tema videogiochi che si tiene ad Hollywood. Nel frattempo i familiari di Jimmy vanno alla sua ricerca, inscenando una specie di gara a chi lo trova per primo.
Tra costoro il padre Sam (Beau Bridges) e l’altro fratello, Nick (Christian Slater, giovanissimo), più il memorabile “cacciatore di taglie” signor Putnam, interpretato da Will Seltzer. Ovviamente, tutto finisce bene: dopo una gara combattuta e mille imprevisti Jimmy vince il torneo, ma non è la cosa più importante.
Il bambino voleva infatti solo recarsi a vedere i dinosauri di Cabazon, un’attrazione in California che richiama in lui appunto la perduta felicità e unità della sua famiglia, compresa la sorellina scomparsa. Il finale viene lasciato in sospeso, ma è chiaro che qualcosa è cambiato e tutti hanno imparato a guardare a Jimmy in un altro modo.
Una storia tutto sommato toccante e ben scritta se si pensa che questo film è stato definito, a più riprese e specie dai detrattori, come un gigantesco product placement. Negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80 infatti l’industria dei videogiochi è in piena ripresa dopo il crollo del 1983 e in particolare giochi per NES come Rad Racer e Ninja Gaiden (entrambi nel film) spopolano tra i giovanissimi.
E sempre Nintendo non perde occasione qui per dare mostra anche del suo avveniristico (e oggi ridicolo) Power Glove, il guanto magico che avrebbe dovuto sostituire i controller e che Lucas, il pro gamer che Jimmy sfida, utilizza per dare mostra di tutte le sue abilità ma anche di quanto la casa giapponese guardi avanti rispetto ai concorrenti.
E un’ulteriore dimostrazione, memorabile, arriva quando al Video Armaggedon il bambino si trova davanti un “nuovo gioco”, inedito all’epoca (sarebbe uscito in America solo nel 1990): Super Mario Bros. 3. E tutti ricordano come il film provveda, tramite il gameplay di Jimmy, a svelare anche un segreto in-game altrimenti molto difficile da scoprire.
Non è tutto qui, perchè per molti versi The Wizard tiene nei confronti dei videogame un approccio meno ingenuo rispetto anche a molti film di oggi sul tema: memorabile per esempio la scena in cui Sam, il padre di Jimmy e dei ragazzi, viene coinvolto dalla febbre del gaming nonostante la sua età e il suo scetticismo, dimostrando come i videogiochi non siano solo un passatempo qualunque.
In definitiva The Wizard è un film che oggi viene visto come un po’ sorpassato, certamente studiato a fini commerciali e per certi versi approssimativo. Ma per esempio l’idea di rappresentare un problema di salute mentale espresso tramite attività videoludica è pionieristica e rischiosa, ben “giocata” si può dire, e conferisce al film un certo spessore anche a distanza di tanti anni.
I personaggi sono ben scritti, la struttura da road movie s’inserisce in una certa tradizione filmica americana e la scelta della California come meta non è casuale: la stessa dei pionieri dei vecchio west. Il ritmo del film è ben studiato e coinvolge nelle vicende a prescindere dall’interesse per uno o l’altro dei protagonisti; e Lucas, un po’ uno Steve Harrington ante-litteram, è a dir poco memorabile.
Certo, probabilmente lo scopo finale del film era più che altro quello di fare promozione al nuovo, eclatante titolo di Super Mario (saga già ai tempi di enorme successo in America). Si potrebbe dire: e allora? Diciamo pure che sia una specie di enorme pubblicità: cosa ha di peggio rispetto agli orribili spot che promuovono oggi marche di auto con citazioni filosofiche? Anzi: magari tutti i product placement fossero così!